La sottile distinzione tra 'sopraelevazione', 'uso della cosa comune' e 'innovazione'. Un caso senza precedenti: l'«altana»

AutoreArcangela Maria Tamburro
Pagine709-713
709
dott
Arch. loc. e cond. 6/2013
DOTTRINA
LA SOTTILE DISTINZIONE
TRA “SOPRAELEVAZIONE”,
“USO DELLA COSA COMUNE”
E “INNOVAZIONE”.
UN CASO SENZA PRECEDENTI:
L’«ALTANA» (*)
di Arcangela Maria Tamburro
(*) Il presente contributo conserva la propria validità anche dopo
l’entrata in vigore della riforma del condominio.
SOMMARIO
1. Premessa. 2. “Sopraelevazione” e “uso della cosa comune”:
due concetti a confronto. 3. … e l’“innovazione”?. 4. Sui con-
cetti di sopraelevazione e uso della cosa comune la Cassazione
non si “smentisce”. In particolare, l’inedito caso dell’altana.
5. Considerazioni critiche conclusive: l’ombra della recente
riforma condominiale sulla decisione della Cassazione.
1. Premessa
In un edif‌icio condominiale spesso capita che un
condomino realizzi opere su parti comuni dell’edif‌icio al
f‌ine di un miglior godimento delle stesse. Come è noto, la
realizzazione di esse incontra limiti e condizioni contenuti
negli articoli 1102, 1120 e 1127 c.c. a seconda del tipo di
opera che si intende realizzare e dello scopo che con essa
si intende raggiungere, ovvero: semplice forma d’uso della
cosa comune, innovazione o sopraelevazione. Tuttavia, ed
è questo il punto, non sempre è agevole individuare quale
delle anzidette fattispecie integri l’opera realizzata da un
condomino al f‌ine di poterla dichiarare illegittima o meno
in base alle citate disposizioni. Sulla questione della di-
stinzione fra le suddette fattispecie, in particolare, quella
tra “sopraelevazione” e “uso della cosa comune”, si è occu-
pata in svariate occasioni la giurisprudenza di legittimità,
la quale nel corso degli anni è pervenuta ad un consolida-
to orientamento, confermato da ultimo nella sentenza n.
5039 del 28 febbraio 2013, nella quale la Suprema Corte,
affrontando per la prima volta il caso condominiale di una
costruzione particolare, ossia quello di un’altana in legno,
ha colto l’occasione, per l’appunto, di ritornare sulla di-
stinzione in oggetto. Ora, però, prima di scendere nel me-
rito della anzidetta sentenza, è bene fare un passo indietro
sulla questione della distinzione delle fattispecie sopra
considerate, evidenziando l’evoluzione giurisprudenziale
che si è avuta nel corso del tempo sino ai giorni nostri, al
f‌ine poi di meglio capire quali cambiamenti interpretativi
si siano avuti o meno in merito e se la legge di riforma del
condominio, entrata nel frattempo in vigore, abbia inciso
o meno sull’orientamento interpretativo cui è pervenuta
la Suprema Corte.
2. “Sopraelevazione” e “uso della cosa comune”: due
concetti a confronto
Con il termine “sopraelevazione” si intende, ai sensi
dell’art. 1127, commi 1 e 4, c.c., la costruzione sopra l’ulti-
mo piano di nuovi piani o nuove fabbriche, le cui superf‌ici
e volumetrie si vanno ad aggiungere a quelle preesistenti e
si pongono sopra la linea terminale dell’ultimo piano pree-
sistente, come si può dedurre dal verbo “elevare” utilizzato
nel primo comma e dall’espressione “area da occuparsi con
la nuova fabbrica” utilizzata nel quarto comma, e che “può
consistere anche in materiale diverso da cemento o late-
rizi, purché sia stabile e compatta …” (così, Cass. 1 luglio
1997 n. 5839). Essa è consentita al proprietario dell’ultimo
piano o a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare,
salvo che risulti altrimenti dal titolo. I commi successivi
del citato articolo stabiliscono, invece, le sue condizioni e
i suoi limiti, ovvero: la sua non ammissibilità se le condi-
zioni statiche dell’edif‌icio non la consentono; la possibilità
per i condòmini di opporsi ove pregiudichi l’aspetto ar-
chitettonico dell’edif‌icio ovvero diminuisca notevolmente
l’aria o la luce dei piani sottostanti; il pagamento di un’in-
dennità e la ricostruzione del lastrico solare di cui tutti o
parte dei condòmini avevano il diritto di usare. Pertanto,
si tratterrebbe, a mio avviso, di una forma speciale d’uso
della colonna d’aria comune e soprastante l’edif‌icio condo-
miniale, in linea col disposto di cui all’art. 840, comma 2, e
934 c.c.. Da ciò ne consegue che l’art. 1127 c.c. costituireb-
be strutturalmente una norma speciale rispetto a quella
generale prevista dall’art. 1102 c.c., che disciplina l’uso
della cosa comune nell’ambito della comunione ordinaria
e che trova applicazione anche in materia condominiale,
soltanto, però, in via subordinata, in virtù del disposto di
cui all’art. 1139 c.c.. Infatti, mentre l’art. 1102 c.c. stabili-
sce che ciascun condomino può “servirsi” della cosa comu-
ne, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca
agli altri condòmini di farne parimenti uso secondo il loro
diritto, apportando anche “modif‌icazioni” per il miglior
godimento della cosa comune, l’art. 1127 c.c. stabilisce,
invece, che il proprietario dell’ultimo piano (o chi è pro-
prietario esclusivo del lastrico solare) può “elevare” nuovi
piani o nuove fabbriche, dove il verbo “elevare” costituisce,
a mio avviso, una forma specif‌ica dell’attività individuata
nel verbo “servirsi” della cosa comune (nella specie, della
colonna d’aria soprastante) o di “utilizzo” della medesima,
consentito dalla legge a determinate condizioni e entro
certi limiti specif‌ici, utilizzo che avviene specif‌icatamente
mediante occupazione dell’anzidetto spazio aereo comune
per l’intero.
Dunque, si ha “uso della cosa comune” quando non solo
si apportano “modif‌icazioni”, ma si compiano anche altre
attività od opere di utilizzo della cosa comune, purché
rispettando le condizioni imposte dall’art. 1102, comma
1, c.c.; mentre, si ha “sopraelevazione” quando si utilizza
principalmente la colonna d’aria soprastante dell’edif‌icio
condominiale e, quindi, comune, mediante occupazione di

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