Il sostituto del difensore, sospeso fra dimensione privatistica dell'istituto e controllo del magistrato penale

AutoreDomenico Potetti
Pagine229-234

Page 229

@1. Introduzione. Il problema di fondo: concezione «privatistica» o «pubblicistica» dell'istituto.

La figura del sostituto del difensore titolare pare destinata ad evocare, anche nel vigore del nuovo codice di procedura penale, problemi di non minore spessore rispetto a quelli dibattuti vigente il rito abrogato; ed anzi, se è vero che il nuovo rito penale pretende dal difensore un maggiore impegno, sia qualitativo che quantitativo, è ragionevole sostenere che la designazione del «difensore sostituto» sia destinata a presentarsi, in molti casi, come una necessità.

Sicché i problemi che riguardano tale istituto sembrano dover assumere una nuova importanza.

Si tratta infatti di problemi di pratico interesse, trattandosi in definitiva di appurare, nei singoli casi concreti, quale sia il difensore legittimato alla rappresentanza tecnica di un soggetto del procedimento penale.

Scopo di questo scritto è in particolare quello di esaminare la legittimazione del sostituto del difensore, fornendo inoltre al lettore una panoramica giurisprudenziale e dottrinaria nella quale orientarsi.

Un esempio concreto (non esaustivo) può essere individuato nel caso in cui il difensore titolare (di fiducia o di ufficio) abbia designato un sostituto (ex art. 102 c.p.p.) in un momento, eventualmente anche remoto, del procedimento, ed in seguito non sia più comparso ad atti del procedimento stesso, anche a notevole distanza di tempo dalla designazione del sostituto.

La prospettiva non muterebbe se il sostituto fosse stato nominato dall'autorità giudiziaria, ex art. 97 comma 4 c.p.p.

Che fare se il sostituto continui a comparire agli atti del procedimento rivendicando la sua legittimazione a difendere sulla base di un atto di designazione ormai annoso?

La prospettazione del problema sopra accennato pone evidentemente l'interprete dinanzi ad una scelta preliminare «di fondo», sul come concepire il rapporto fra difensore titolare e suo sostituto. Se concepirlo, in particolare, come un rapporto di natura «privatistica», sul quale il magistrato non possa e non debba esercitare alcun sindacato; o se, invece, concepirlo come un rapporto rilevante anche su di un piano superiore, che trascenda il privato interesse, per attingere interessi pubblici e quindi indisponibili.

Va anche evidenziato che l'importanza dell'istituto in esame (il sostituto del difensore), quantomeno nell'ipotesi di cui all'art. 102 c.p.p., consiste in ciò: che ancor oggi, come fu osservato sotto il vigore del codice di rito penale abrogato 1, detto istituto svolge la funzione di assicurare la permanenza di un legame fra la parte e il suo difensore di fiducia, per il tramite di un soggetto designato da quest'ultimo.

Il sostituto del difensore, di cui all'art. 102 c.p.p., è un soggetto che esiste in quanto gode della fiducia del difensore titolare, il quale, a sua volta, gode della fiducia del difeso; ne consegue che, sia pure in modo mediato, anche il sostituto trae legittimazione dalla nomina fiduciaria del difeso; e che quindi tale istituto, paragonato ad un ipotetico difensore di nomina pubblica, rappresenta un elemento di maggior garanzia per il difeso medesimo.

@2. La nomina in prevenzione. La prevalenza della concezione privatistica dell'istituto.

Pare possibile, stante la lettera dell'art. 102 c.p.p. («. . . per il caso di impedimento. . .»), che la nomina del sostituto avvenga «in prevenzione». In altre parole, è possibile che il difensore titolare, anche nel momento stesso di iniziare la sua opera professionale, ed a prescindere dalla attualità di un suo impedimento, scelga un sostituto, per l'ipotesi (eventualmente futura ed incerta) in cui lui stesso sia colto da «impedimento».

Si consideri, con l'occasione, che la possibilità di nominare un sostituto non è riservata al solo difensore di fiducia, spettando la stessa facoltà anche al difensore di ufficio; trattasi della logica conseguenza della introdotta immutabilità del difensore d'ufficio. Inoltre, sul piano letterale, tale prerogativa del difensore d'ufficio consegue non solo alla permissiva formulazione dell'art. 102 c.p.p. (che si riferisce genericamente al difensore, e quindi non solo a quello di fiducia), ma anche alla previsione del difensore di ufficio nell'ambito del comma 4 dell'art. 97 c.p.p. 2.

Altro argomento per sostenere la possibilità di una designazione (del sostituto) in prevenzione, è stato rinvenuto nel comma 5 dell'art. 486 c.p.p. («. . . quando il difensore impedito ha designato un sostituto. . .»).

Escluso infatti, si è sostenuto, che il sostituto de quo sia stato designato ad hoc (perché ciò equivarrebbe a non voler far valere l'impedimento) la norma farebbe riferimento proprio al sostituto designato genericamente, in prevenzione, per quel procedimento 3.

Venendo ora ad esaminare più da vicino il problema sopra posto, circa la concezione «pubblicistica» o «privatistica» del ruolo riconosciuto al sostituto del difensore (con conseguente eventuale possibilità, o non, di controllo ed intervento del magistrato, direttamente incidente, a sua volta, sulla «durata in carica» del sostituto medesimo), pare opportuno riannodare la presente trattazione alla elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto il vigore dell'art. 127 c.p.p. abrogato.

Quella norma prevedeva la figura del sostituto limitatamente al dibattimento.

Ebbene, pur con tale forte limitazione, già allora parte della giurisprudenza 4 di legittimità si era mostrata più «liberale», affermando che il sostituto «durava» nella carica tanto quanto l'impedimento (o, se si vuole, il bisogno della sostituzione); tale durata, quindi, poteva anche estendersi all'intero dibattimento (e quindi non essere limitata alla occasione singola, ad esempio alla singola udienza).

Tale risalente opinione giurisprudenziale è quella che dovrebbe aver prevalso con l'entrata in vigore del nuovoPage 230 codice di rito, almeno stando alla stessa Relazione al Codice 5.

Ivi si sostiene, fra l'altro, che il rapporto parte-difensore è di natura essenzialmente privatistica, sicché non pareva doversi prevedere vincoli o interferenze, ove la parte nulla obiettasse all'opera del sostituto (ove invece la parte non condividesse la sostituzione, avrebbe potuto provvedere a nominare altro difensore, o chiedere la sostituzione del difensore d'ufficio).

Quanto all'aspetto temporale dell'opera del sostituto, la Relazione non solo legittima espressamente l'interpretazione secondo la quale la designazione del sostituto può essere fatta in via preventiva, e quindi a prescindere dall'attualità dell'impedimento, ma rende esplicita la volontà non solo di porre dei limiti temporali alla sostituzione, ma di fare in modo che detti limiti non possano essere determinati aprioristicamente, e che non debbano necessariamente coincidere con determinate cadenze o momenti processuali, dovendo invece essere calibrati ai tempi, più o meno lunghi, dell'impedimento.

La suddetta concezione «privatistica» dell'istituto, ove condivisa (come avviene nella Relazione al Codice), è tale da guidare l'interprete non solo con riguardo alla «durata» delle funzioni svolte dal sostituto del difensore, ma anche con riguardo al presupposto stesso dell'intervento di un tale soggetto nel procedimento penale.

Lasciando da parte il caso in cui è la stessa Autorità Giudiziaria a designare il sostituto (art. 97 comma 4 c.p.p.), l'art. 102 c.p.p. individua tale presupposto con il termine di «impedimento» 6.

Diversamente, l'abrogato art. 127 c.p.p. consentiva la sostituzione nel caso di legittimo impedimento.

Tale differenza letterale non è casuale.

Per spiegare la variazione letterale ci soccorre ancora la Relazione al Codice, dalla quale si apprende che fu ritenuto opportuno non fissare limiti all'istituto in relazione alla qualità dell'impedimento, anche se nel progetto del 1978 si prevedeva la possibilità di sostituzione del difensore solo nel caso di impedimento «legittimo», mentre la Commissione consultiva aveva proposto di prevedere che l'impedimento dovesse essere «giustificato».

Si apprende dunque dalla Relazione, che, a prescindere dalla difficoltà di definire contenutisticamente le due nozioni in questione, e di stabilire in che modo tali condizioni dovessero essere accertate, la scelta era stata quella di negare che la qualità dell'impedimento posta a base della sostituzione potesse avere rilevanza sull'efficacia processuale della sostituzione medesima, per confinare invece detta qualità sul piano della deontologia professionale del difensore.

Si può ben dire, quindi, che la fisionomia dell'istituto, per come emerge dalla Relazione al Codice, assume una colorazione nettamente privatistica; in altre parole, una valenza meramente interna al rapporto fra cliente e professionista, cui il magistrato rimane sostanzialmente estraneo, non potendo sindacare la consistenza (e pertanto la stessa necessità) dell'impedimento del difensore titolare, e quindi nemmeno la stessa durata della sostituzione.

Pare evidente, infatti, che, affermare da un lato che la sostituzione dura quanto l'impedimento, e poi negare al magistrato, d'altro lato, la possibilità di sindacare la sussistenza dell'impedimento stesso sul piano processuale, equivale a privare il magistrato di ogni effettivo potere di controllo sull'uso che si farà dell'istituto in questione 7.

Dunque, se si segue tale impostazione, il controllo effettivo circa la concreta attuazione dell'istituto rimane di fatto affidato al cliente-difeso 8. Sicché mi sembra quantomeno da considerare dubitativamente l'efficacia garantista di una tale scelta, a meno che non si voglia ritenere (ma l'esperienza dovrebbe facilmente smentire un tale assunto) che i soggetti coinvolti a vario titolo nel processo abbiano, in generale, attenzione e capacità per vegliare direttamente sul tecnico svolgimento dell'incarico difensivo.

Inoltre una tale impostazione (privatistica, appunto) finisce per valorizzare la norma di cui all'art. 2232 c.c., della quale l'art. 102 c.p.p...

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