Sistema di regole contrattuali

AutoreMario Giovanni Garofalo - Massimo Roccella
Pagine147-182

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@ART. 1. INSCINDIBILITÀ DELLE DISPOSIZIONI CONTRATTUALI E CONDIZIONI DI MIGLIOR FAVORE.

Le disposizioni del presente Contratto, nell’ambito di ogni istituto, sono correlative ed inscindibili fra loro e non sono cumulabili con alcun altro trattamento.

Agli effetti del precedente comma si considerano costituenti un unico istituto il complesso degli istituti di carattere normativoregolamentare (norme generali disciplinari, ferie, preavviso e trattamento di fine rapporto, malattia ed infortunio, puerperio).

Ferma restando la inscindibilità di cui sopra, le parti, col presente Contratto, non hanno inteso sostituire le condizioni, anche di fatto, più favorevoli al lavoratore attualmente in servizio non derivanti da accordi nazionali, le quali continueranno ad essere mantenute ad personam.

@Commento di Maurizio Ricci

Sommario: 1. La clausola di inscindibilità: una norma ormai molto datata. – 2. Le condizioni di miglior favore.

  1. – Come è ampiamente noto, in occasione dei periodici rinnovi contrattuali (triennali o quadriennali), non tutte le norme sono modificate in tutto o in parte. La disposizione in esame è sicuramente una di quelle meno oggetto di cambiamenti nel corso degli anni: anzi, la sua attuale formulazione, diffusa anche in ccnl di altre categorie professionali, è rimasta inalterata nel tempo, tanto è vero che è prevista nello stesso testo già nel ccnl del 19831. Gli unici mutamenti hanno coinvolto solo parte della rubrica (“condizioni di miglior

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    favore”), non sempre riportata integralmente da tutti i contratti man mano stipulati2.

    L’immarcescibile “fascino” dell’art. 1 non è tanto dovuto all’assenza di problemi applicativi3, quanto al fatto che molto spesso i soggetti negoziali non modificano norme, che pur hanno presentato profili di criticità nella prassi applicativa, confermando così il noto fenomeno delle clausole di “vischiosità contrattuale”, già ben descritto molti anni or sono4.

    Nell’articolo in esame si afferma innanzi tutto il principio dell’inscindibilità delle disposizioni del ccnl, per ogni istituto contrattuale, nonché il divieto di cumulabilità con altri trattamenti normativi (co. 1), tranne per le eccezioni poi descritte (co. 3). Subito dopo se ne afferma un terzo (l’unicità dell’insieme degli istituti), intendendo per tale “il complesso degli istituti di carattere normativoregolamentare (norme generali disciplinari, ferie, preavviso e trattamento fine rapporto, malattia e infortunio, puerperio)” (co. 2). Proprio la descritta definizione ha suscitato molti dubbi tra gli interpreti, trattandosi di una formulazione molto ampia rispetto a quella ricavabile dalla legge, così da estendere l’inscindibilità del ccnl o alla sua interezza o alle sue parti più significative5.

    La finalità dell’art. 1 è risolvere l’insorgere di eventuali conflitti nel caso di una regolamentazione di più fonti normative nella disciplina dei rapporti di lavoro e, pur apprezzabile, non suscita complessi problemi limitatamente ai rapporti tra contratti collettivi di pari o diverso livello. Nel caso di specie non si applicano i principi di gerarchia e di specialità, in quanto proprio delle fonti legislative, ma si fa riferimento all’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle differenti disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante6.

    La descritta finalità, invece, è resa complessa nella relazione con la disciplina del codice civile, emanato nel periodo corporativo, prima quindi della stipulazione degli attuali contratti collettivi di diritto comune. In particolare, possibili contrasti possono manifestarsi nel rapporto legge/contratto collettivo, perché nell’articolo in esame si adopera un termine di confronto (istituto) non corrispondente a quello legale (clausola) in contrasto con le norme, di cui agli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c.7, nonché nel rapporto contratto collettivo/ contratto individuale (art. 2077 c.c.) per lo stesso motivo innanzi indicato8.

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    Nel conflitto di norme imperative di legge e norme, altrettanto inderogabili, della contrattazione collettiva, entrambe fonti integrative vincolanti rispetto al contratto individuale di lavoro (art. 1374 c.c.), prevalgono queste ultime, purché tutelino in melius, nel loro complesso, gli interessi specifici. A conferma della prevalenza delle fonti inderogabili (legge e autonomia collettiva) rispetto al contratto individuale va ricordata l’eccezione a conferma della regola descritta: il lavoratore può consentire una diversa (nel senso di peggiorativa) regolazione dei patti, non essendo sufficiente a ciò la semplice adesione al sindacato firmatario del contratto, ma occorrendo in tal caso un esplicito ed espresso mandato da parte dello stesso lavoratore9.

    In merito al campo soggettivo di applicazione del principio di inscindibilità, talvolta, in giurisprudenza si è affermata l’efficacia soggettiva erga omnes dei contratti collettivi aziendali nei confronti anche dei lavoratori non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti. Infatti, tale efficacia è stata affermata come regola generale in funzione delle esigenze perseguite (tutela di interessi collettivi e inscindibilità della disciplina), purché – in ossequio al principio di libertà sindacale e in coerenza al nostro sistema giuridico privatistico – la stessa efficacia non sia estesa ai lavoratori, che non la desiderino espressamente10.

  2. – Per verificare l’effettiva portata del principio di inscindibilità delle disposizioni contrattuali, (co. 1), occorre analizzare la norma con cui si afferma la sua operatività pur subordinandola a due limiti (co. 3). Con il primo si introduce il principio del favor per il lavoratore: la citata inscindibilità viene meno nell’ipotesi in cui lo stesso lavoratore non sia titolare di “condizioni, anche di fatto, più favorevoli”. Con il secondo si circoscrive l’àmbito applicativo di tali condizioni alla fonte negoziale da cui esse promanano, escludendone la sussistenza solo se abbia avuto origine da un precedente contratto collettivo nazionale: sono fatti salvi perciò i contratti sia individuali, sia di qualsiasi altro livello negoziale (p. es., territoriale, aziendale).

    Definiti i limiti nell’applicazione del principio di miglior favore, infine, nella norma in esame si afferma il mantenimento delle condizioni migliorative ad personam (co. 3).

    Ad avviso di un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, in occasione di futuri benefici contrattuali, si prevede la riassorbibilità dei trattamenti più favorevoli11. Peraltro, tale principio è stato confermato anche in presenza di prassi aziendali osservate per alcuni anni (p. es., dopo tre rinnovi di ccnl), durante i quali il datore di lavoro non aveva assorbito gli aumenti retributivi, ma aveva cominciato a farlo solo in una fase successiva: si è riconosciuta la legittimità della condotta datoriale, in quanto l’assorbimento rappresenterebbe “l’esercizio di una facoltà e non l’effetto automatico dell’aumento

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    contrattuale; e l’iniziale scelta datoriale (di non esercitare la facoltà) non (sarebbe) irreversibile”12.

    Rispetto alla regola generale della riassorbibilità si sono fissate alcune eccezioni. Innanzi tutto nel caso in cui la fonte negoziale (contratto collettivo o individuale) non lo preveda espressamente; inoltre, ove il beneficio contrattuale sia stato introdotto da una pattuizione collettiva o individuale come per i superminimi di merito (per doti del lavoratore, qualità delle mansioni o “crescente professionalità” del lavoratore13).

    La norma qui analizzata va poi coordinata con altre del ccnl che, in modo differenziato e per specifici istituti, regolano i rapporti con le condizioni già vigenti. Nell’economia del lavoro, ovviamente, non si può dar conto di tutte; ci si può limitare a osservare che sono talmente numerose per cui, già molti anni or sono, alcuni interpreti si sono giustamente interrogati per individuare la regola generale voluta dai soggetti negoziali: se quella qui in esame oppure quelle differentemente desumibili dalle diverse disposizioni14.

    Problema ulteriore è rappresentato dalle modalità di determinazione del trattamento più favorevole a fronte dell’inesistenza di un parametro normativo utilizzabile in tal senso. Secondo un consolidato orientamento15, il carattere più favorevole della clausola del contratto individuale deve essere “oggettivamente riconoscibile (e quindi determinabile dal giudice in caso di contestazione)”, né va valutato “in funzione di situazioni individuali del singolo lavoratore”.

    @ART. 2. DECORRENZA E DURATA.

    In applicazione di quanto previsto dal Protocollo 23 luglio 1993, il Contratto collettivo nazionale di lavoro ha durata quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte retributiva.

    Salve le decorrenze particolari previste per singoli istituti, il presente Contratto decorre dal 1° gennaio 2008 ed avrà vigore fino a tutto il 31 dicembre 2011; per la parte economica il primo biennio avrà vigore fino a tutto il 31 dicembre 2009.

    Il Contratto si intenderà rinnovato secondo la durata di cui al primo comma se non disdetto, tre mesi prima della scadenza, con raccomandata a.r. In caso di disdetta il presente Contratto resterà in vigore fino a che non sia stato sostituito dal successivo Contratto nazionale.

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    @Commento di Vincenzo Bavaro

    Sommario: 1. La durata del Contratto nazionale. – 1.1. Segue: la durata del Contratto nazionale nell’accordo separato del 15 ottobre 2009. – 2. Disdetta e ultrattività del contratto collettivo. – 3. L’efficacia giuridica dell’accordo separato del 15 ottobre 2009.

  3. – Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, al contratto collettivo di diritto comune non si applica l’art. 2071, comma 3, c.c. sicché la durata del contratto collettivo dipende dalla liberà volontà delle parti16. I contratti collettivi a tempo indeterminato sono pienamente legittimi a lasciano...

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