Sinistro mortale e danno biologico

AutoreEdgardo Colombini
Pagine543-551

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Ritorna frequentemente in dottrina come in giurisprudenza la questione relativa alla trasmissibilità o meno jure hereditatis del danno biologico sia quando la morte dell'infortunato consegua direttamente ed immediatamente al sinistro sia quando la morte del soggetto infortunato sopravvenga dopo un più o meno breve periodo di tempo rispetto all'accadimento sinistrosico.

Senza riandare più di tanto all'indietro ricorderemo come, in una sentenza del Tribunale di Milano (sez. XII, 2 settembre 1993, n. 8166, in questa Rivista pag. 33), si escludesse la possibilità di agire per il risarcimento del danno biologico iure hereditatis trattandosi di un diritto personalissimo quale la salute che si annulla nel momento stesso dell'evento dannoso morte. Il ragionamento partiva, in quel caso, come spesso avveniva in allora di fronte al problema che stiamo esaminando, da una pronuncia della Corte costituzionale n. 184/1986 in cui si rilevava che il danno biologico è «un tertium genus rispetto alle categorie del danno patrimoniale e di quello morale poiché queste ultime sono danni conseguenza dell'evento dannoso, mentre il primo è danno evento perché si produce nel momento in cui viene leso il bene salute: in altre parole, il danno patrimoniale e quello morale sono l'effetto del fatto antigiuridico materialmente apprezzabile, mentre il danno biologico è il danno ingiusto previsto e tutelato dall'art. 2043 c.c. che fa sorgere il diritto risarcitorio. Tale danno ingiusto incide sulla pienezza del bene salute limitandola e, contemporaneamente, riducendo la capacità del soggetto di mettere a profitto il complesso delle sue potenzialità psico-fisiche a scopo produttivo. Il danno biologico trova quindi il suo fondamento nell'art. 32 della Costituzione: anzi, è la violazione stessa dell'art. 32 della Carta fondamentale, la cui sanzione viene prevista, come ipotesi generale, nell'art. 2043 c.c.; ma esso presuppone l'esistenza in vita della persona lesa e nulla ha a che fare con la morte istantanea o ad intervallo di tempo non apprezzabile perché l'evento morte annulla l'esistenza e quindi anche la manifestazione in cui si estrinseca l'integrità psico-fisica. Se pertanto l'evento dannoso morte annulla l'esistenza della persona, viene annullato lo stesso fatto ingiusto (?), posto che il bene salute non può essere leso non esistendo più. Conseguentemente, in mancanza del fatto ingiusto - lesione della salute - non può esservi neppure un obbligo risarcitorio e quindi non può riconoscersi il diritto al risarcimento del danno biologico alla persona, la cui esistenza è venuta meno: cade pertanto la possibilità di agire per il risarcimento del danno biologico iure hereditatis».

Tralasciando per il momento dal soffermarci su questa distinzione fra danno evento e danno conseguenza che ci ha sempre lasciato perplessi, desideriamo rammentare che anche il Tribunale di Firenze (22 dicembre 1992 n. 2584, in Arch. civ., 1993, pag. 717) perveniva alle medesime conclusioni attraverso un percorso logico alquanto semplificato ma sostanzialmente riduttivo, atteso che leggiamo in motivazione come l'art. 2043 c.c., imponendo il risarcimento del danno ingiusto senza alcuna altra qualificazione, abbia riguardato un genus caratterizzato dalla sua ingiustizia e del quale - accanto alle tradizionali categorie del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale - costituisce una specie il danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sè e per sè considerata, in quanto incidente sul valore umano in tutta la sua concreta dimensione che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica. Ma dopo questa premessa sic et simpliciter si passava a sostenere che tale danno (quello biologico: ndr) «concernente la riparazione delle lesioni apportate ad un diritto personalissimo del danneggiato, non può essere riconosciuto a soggetti estranei all'ambito di riferibilità di una tale lesione e, in particolare, agli eredi della vittima, che non hanno subito alcun danno nella loro integrità psico-fisica quando il decesso della vittima è stato istantaneo».

Sentenza, questa del Tribunale di Firenze, che si rifaceva pedissequamente nella sua motivazione a una pronuncia della Corte Suprema (sez. III, 20 dicembre 1988 n. 6938, in Arch. civ. 1989, pag. 1035).

Da ricordare anche una decisione del Tribunale di Savona (11 maggio 1992 n. 288, in questa Rivistaquesta Rivista 1993, pagg. 337 e segg.) che, richiamandosi alla pronuncia della Cassazione appena citata, dopo aver osservato che tale sentenza riguardava la fattispecie di una morte sopravvenuta a causa dell'incidente pochi istanti dopo il suo verificarsi, porta alla nostra attenzione un ulteriore elemento relativo alla «identificazione del bene giuridico violato, essendo conseguita alla lesione del bene salute la lesione del bene vita»: in tali casi - secondo questa sentenza - «è infatti ancora apertissima la questione della riconducibilità al danno biologico del solo bene vita e conseguentemente dell'idoneità dell'evento morte a far insorgere immediatamente nella sfera patrimoniale dell'ucciso un diritto al risarcimento del danno».

E si aggiunge che «se allora il diritto alla integrità biologica ha natura personalissima, la sua tutela è affidata esclusivamente al soggetto che subisce la violazione di tale diritto e gli eredi non potranno certo esercitare quello stesso diritto iure hereditatis».

Se passiamo ad esaminare l'orientamento della Corte Suprema possiamo constatare come si propenda per una risposta negativa al problema sostenendosi che «la persona deceduta immediatamente in conseguenza dell'altrui atto illecito non acquista e non trasmette agli eredi alcun diritto al risarcimento del danno biologico» (Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1999, n. 12756, in Arch. civ. 2000, pag. 1047).

Decisione che ricalca quella contenuta nella sentenza n. 491 del 20 gennaio 1999, sempre della III sez., della Corte Suprema (in questa Rivista 1999, pag. 1032) nella quale era dato di leggere che «la lesione dell'integrità fisica con esitoPage 544 letale, intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questa fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere».

Ancora più esplicita una sentenza del 14 febbraio 2000 n. 1633 (in Arch. civ. 2000, pag. 1415), in cui è dato di leggere che «la morte di un soggetto causata in modo immediato dall'altrui atto illecito, non fa acquistare al defunto - e quindi non fa trasmettere agli eredi - né il diritto al risarcimento del danno biologico, né quello al risarcimento del danno per perdita della vita, inconcepibile con riguardo ad un bene insuscettibile di essere reintegrato anche solo per equivalente».

Di fronte poi alla ipotizzabilità di un contrasto con il dettato costituzionale, nella situazione di specie, degli artt. 2043 e 1223 c.c., la Suprema Corte (sez. III, 25 febbraio 2000, n. 2134, in questa Rivista 2001, pag. 158) risponde che gli articoli in questione «nella parte in cui non consentono il risarcimento del danno biologico iure successionis nell'ipotesi in cui l'evento morte del de cuius, causato dalla condotta illecita altrui, sia contestuale, o di poco susseguente alle lesioni, come, invece, viene ammesso quando la vittima delle stesse sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, manifestamente non si pongono in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Infatti, come affermato dalla

Corte costituzionale (sentenza n. 372 del 1994), per un verso, vita e salute sono beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti; per l'altro, in caso di morte immediata, l'esistenza di un diritto al risarcimento del danno in capo al de cuius, trasmissibile iure successionis è da escludere per un duplice ordine di motivi, uno dei quali attinenti alla situazione giuridica soggettiva, non essendo più in vita la persona offesa, e l'altro correlato alla circostanza che la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite».

Spiegazione - incentrata sulla situazione giuridica correlata alla inesistenza in vita del soggetto infortunato e sulla inesistenza di una perdita - che non ci convince, come avremo modo di chiarire al prosieguo.

Una qualche apertura, quanto meno de iure condendo, si può invece riscontrare in una più recente decisione della Corte di cassazione (sez. III, 2 aprile 2001, n. 4783, in questa Rivista 2001, pag. 454), nella quale, dopo aver confermato che «la morte di un soggetto, causata in modo immediato dall'altrui atto illecito, non fa acquisire al defunto - quindi non fa trasmettere agli eredi - né il diritto al risarcimento del danno biologico né quello al risarcimento del danno per perdita della vita», si ammette che «questa Corte conosce tuttavia la dottrina che propone una tesi di tutela più estesa, proprio per la discrasia che si crea tra morte immediata e lesioni mortali, con conseguente disparità di trattamento per i superstiti. È una discrasia che è superata da norme...

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