Solo dal singolo regolamento comunale può dedursi la natura tributaria o meno del cosap

AutoreFranco Spezia
Pagine341-343

Page 341

La sentenza delle Sezioni Unite, in rassegna (12 giugno 2003, n. 12167) si inserisce nell'ampio dibattito sviluppatosi negli ultimi anni circa i limiti della giurisdizione tributaria in relazione ad alcuni canoni/tributi introdotti recentemente dal legislatore, e di cui è espressione anche la sentenza Commissione tributaria regionale di Bologna (in questa Rivista 2004, 210), ancora, in momento successivo alla sentenza che si annota, di cui hanno avviso a quest'ultima.

Il D.L.vo n. 546/92 (novellato dalla L. 448/2001) ha stabilito con chiarezza le imposte ed i tributi assoggettati alla giurisdizione tributaria (art. 2), nella quale rientravano dunque i tributi comunali e locali, nonché tutti quelle imposte che, in virtù delle leggi vigenti all'epoca, erano individuavate (o potevano definirsi) come tasse.

Successivamente il legislatore ha innovato diverse materie, nell'ottica della defiscalizzazione, in alcuni casi introducendo canoni in sostituzione delle tasse previgenti, in altri dando la facoltà agli enti locali (Comuni e Province) di operare detta sostituzione.

In relazione al caso di specie, l'art. 63 del D.L.vo 15 dicembre 1997, n. 446 ha introdotto il canone di occupazione di suolo pubblico (COSAP) in luogo della tassa di occupazione di suolo pubblico (TOSAP), entrata in vigore con il D.L.vo 15 novembre 1993, n. 507.

Questa modifica rappresenta non solo una svolta nel rapporto pubblica amministrazione/contribuente ed una significativa scelta di politica legislativa, ma introduce altresì una novità estremamente rilevante, posto che in tal modo viene automaticamente affermata la giurisdizione del giudice ordinario: dunque i Tribunali, in luogo delle Commissioni tributarie.

È pacifico infatti che le controversie relativa ai canoni ricadano sotto la giurisdizione dell'AGO, mentre, come detto, le controversie inerenti tasse o tributi, sotto la giurisdizione tributaria.

I principi che sottendono a questa distinzione sono noti. Nella materia che ci occupa, si è detto che la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche ha natura di imposta, dato che prescinde da servizi resi dal concedente e non mira al recupero in tutto o in parte di costi, né è, comunque, ad essi commisurato, e trova la sua giustificazione nell'espressione di capacità contributiva, rappresentata dal godimento di tipo esclusivo di spazi ed aree altrimenti comprese nel sistema della viabilità pubblica. (cfr. Cass. civ. sez. I, 8 luglio 1998, n. 6666; Consiglio di Stato, 31 maggio 1992, n. 10318).

Il canone, in sostanza, rappresenta il corrispettivo del titolo che legittima il solo concessionario a servirsi di una porzione del territorio appartenente all'ente locale.

Il rapporto ente/privato viene ad essere configurato secondo il più classico schema sinallagmatico, alla prestazione dell'ente pubblico (concessione dell'uso dell'area) corrisponde la controprestazione del privato (pagamento di un canone). Sennonché, se la ratio che sottintendeva all'introduzione dei canoni era condivisibile, posto che mirava ad evitare imposizioni coattive, svincolate da un qualunque rapporto tra i vantaggi arrecati al contribuente ed il sacrificio della collettività (ed i costi relativi) dell'ente (anche se non ci si può nascondere che la conseguente competenza dei Tribunali, con tempi relativi, in luogo delle più celeri Commissioni...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT