Singolo condomino e beni comuni

AutoreDomenico Capra
Pagine14-18
14
dott
1/2014 Arch. loc. e cond.
RIFORMA DEL CONDOMINIO
SINGOLO CONDOMINO
E BENI COMUNI (*)
di Domenico Capra
(*) Intervento svolto al XXIII Convegno Coordinamento legali Con-
fedilizia tenutosi a Piacenza il 21 settembre 2013.
1. La disciplina delle parti comuni è conformata al
principio della indivisibilità e della loro inseparabilità da
quelle di pertinenza esclusiva dei condomini.
Non può il singolo pretendere di disporre unilateralmen-
te, delle parti comuni, separatamente come se fossero au-
tonome e indipendenti da quelle in proprietà solitaria.(1)
Ciò signif‌ica che di regola l’alienante di una porzione
di piano di sua esclusiva proprietà non può riservare a se
il diritto di comproprietà, e quindi l’uso, di parti comuni
destinate al complesso condominiale, salvo le precisazioni
derivanti da Cass. 2255/2000.
2. Si legge spesso che in ogni caso, il singolo condomino
conserva la facoltà di servirsi del bene comune.
É vero, ma solamente nel senso che ha diritto di fare le
scale, e usare l’ascensore e passeggiare in cortile, ossia di
utilizzare il bene con gli altri e nella stessa misura poiché
la proporzionalità del diritto al valore non tocca la misura
dell’esercizio del diritto medesimo, ma – sostanzialmente
– serve per la determinazione del concorso alle spese o
ai vantaggi derivanti sostanzialmente dallo sfruttamento
indiretto della parte comune, non certo da quello diretto.
Il diritto di comproprietà che ha ad oggetto la cosa, il
servizio o l’impianto nella sua interezza, rimanendo limi-
tato il complesso delle facoltà che normalmente apparten-
gono al proprietario esclusivo al f‌ine di consentire a tutti i
condomini l’utilizzo del bene (2).
La disciplina del condominio riprende al novellato
art. 1118, comma 1, c.c., il concetto di proporzionalità del
diritto di ciascun condomino sulle parti comuni “al valore
dell’unità immobiliare” (3); concetto già sancito nell’am-
bito della comunione dei diritti reali dall’art. 1101 c.c. (4),
anche se con differenti contenuti.
La nuova formulazione dell’art. 1118 c.c. omette di
regolare l’attuazione del diritto, ossia la misura e i limiti
dell’uso che ciascuno può fare della cosa comune.
Pertanto, si deve ritenere che tali misure e limiti resti-
no regolati dal disposto dell’art. 1102 c.c., dettato in tema
di comunione, in forza del rinvio ex art. 1139 c.c..
3. Vorrei ora concentrare la mia attenzione su di una
fattispecie particolare che ritengo meritevole di attenzio-
ne, ossia la costituzione di diritti personali di godimento
sul bene comune a opera del singolo condomino.
La disciplina positiva (5) del condomino (non diversa-
mente in questa prospettiva) ruota intorno a una regola,
costituita dalla norme di organizzazione collettiva, e ad
alcune eccezioni, nell’ambito delle quali trova spazio l’ini-
ziativa individuale, mai completamente libera nelle mo-
dalità di estrinsecazione, subendo essa ovvie limitazioni
derivanti dalla possibile iniziativa individuale altrui.
Nella disamina delle facoltà del condomino relative ai
beni comuni, nonché delle regole di amministrazione e ge-
stione del bene comune, si deve tenere presente il duplice
aspetto condivisibilmente individuato nella presenza di
un «foro interno» e di un foro «esterno» della comunione
o del condominio (6).
Si consideri, per esempio, un utilizzo individuale ex
art. 1102 c.c..
Esso incontra i limiti stabiliti dalla norma medesima
(ossequio della destinazione e assenza di ostacoli al pari
utilizzo degli altri comunisti), ed è suscettibile di essere ap-
prezzato anche alla stregua di atto che, in ipotesi, avrebbe
dovuto essere compiuto solamente all’esito di una decisio-
ne adottata a maggioranza, per es. l’art. 1120 comma 1 che
rimanda (nel caso di interventi volti al miglior godimento
del bene comune, al quinto comma dell’art. 1136).
É doverosa una valutazione in entrambe le prospettive
ricordate, secondo una selezione inevitabilmente casisti-
ca. Saranno le circostanze del caso concreto e i connotati
reali del fatto che suggeriranno all’interprete l’ottica mag-
giormente aderente al caso di specie.
Vorrei rimarcare che la violazione di ogni norma che
pone una regola di amministrazione, può essere osservata
sia in relazione alle conseguenze della violazione stessa
rispetto al gruppo (impugnazioni dell’atto compiuto, tu-
tela risarcitoria o ripristinatoria) sia avendo riguardo agli
effetti dell’atto compiuto nei confronti dei terzi (7).
Riguardo all’assetto organizzativo del condominio,
anche in relazione alle parti comuni, è da ribadire che il
diritto del singolo partecipante è essenzialmente quello di
concorrere con altri nell’amministrazione del bene. Gli atti
lasciati alla piena autonomia del condomino riguardano le
porzioni in proprietà esclusiva.
Le iniziative individuali sul bene comune sono viste si-
curamente come eccezioni, e sono circondate da cautele,
anche là dove si tratti soltanto di contribuire alle spese.
Con il che si conferma una situazione di necessario
concorso fra i partecipanti nell’adozione di qualunque
decisione inerente il bene comune.
Anche in relazione alla costituzione di diritti personali
di godimento emerge dalla disciplina positiva il principio
che individua in capo al singolo condomino il diritto di
concorrere nell’amministrazione, ossia il diritto «di par-
tecipare alla formazione delle decisioni che il condominio
deve assumere per la gestione del bene indiviso» (8).
Quanto alla costituzione di diritti personali di godimen-
to, è inevitabile il riferimento al modello rappresentato dal
rapporto di locazione.
Le locazioni di beni comuni a terzi rientrano nelle
prerogative dell’assemblea ai sensi dell’art. 1120 comma
1 c.c. (per la comunione l’art. 1108 ult. comma. c.c. f‌issa
la regola dell’unanimità dei consensi per le locazioni di

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