Sindaco che querela infondatamente consigliere comunale di opposizione: querela come mezzo di contrapposizione politica

AutoreFrancesco Paolo Garzone
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giur giur
Rivista penale 10/2018
MERITO
3. In particolare, la condanna del querelante al paga-
mento delle spese processuali ed al risarcimento del
danno patito dall’imputato: una rilevante leva per san-
zionare gli abusi nella proposizione della querela quale
strumento di, impropria, contrapposizione politica
Il capo della sentenza commentata che, per pregio giu-
ridico ed infrequenza del decisum, più si intende con le
presenti brevi note valorizzare è senza dubbio quello re-
lativo alla condanna dei querelanti alle spese e ai danni.
Benchè, infatti, tale istituto sia espressamente previsto
dal combinato disposto degli articoli 427 e 542 c.p.p, de-
sueta è la sua applicazione nella pratica giudiziaria.
Una sua rilevante applicazione risulta, pertanto, degna
di nota.
Presupposti della condanna del querelante al paga-
mento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato
nonché alla rifusione delle spese e al risarcimento del dan-
no in favore dell’imputato e del responsabile civile sono:
– l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussi-
ste o perché l’imputato non lo ha commesso;
– il trattarsi di reato perseguibile a querela (art. 542 c.p.p.);
– la colpa del querelante (C. cost., 21 aprile 1993, n.
180; C. cost., 3 dicembre 1993, n. 423);
limitatamente alla condanna alla rifusione delle spese
sostenute dall’imputato si richiede, inoltre:
– la domanda proposta nell’interesse dello stesso;
quanto, inf‌ine, alla condanna al risarcimento del dan-
no, è necessaria anche la:
– colpa grave del querelante (art. 427 c.p.p.).
“In materia di spese processuali penali, a differenza
del processo civile, nei rapporti tra Stato e imputato non
vige il principio della soccombenza. La materia è regola-
ta dalle norme del codice di procedura penale, le quali
escludono che lo Stato possa essere chiamato a rifonde-
re le spese sopportate dall’imputato prosciolto o assolto,
benché l’assistenza tecnica sia obbligatoria e non gratuita”
(Cass., 4 giugno 1991, Drexi).
Alcuna rifusione delle spese processuali compete, per-
tanto, all’imputato – ancorché assolto con formula piena –
per reati procedibili d’uff‌icio (Cass., sez. II, 11 aprile 2001
- 23 maggio 2001, n. 20957): “La qualif‌icazione dell’atto di
parte come querela o denuncia va effettuata in relazione
all’imputazione formulata; pertanto, qualora si sia proce-
duto per un reato contravvenzionale, l’atto va qualif‌icato
come denuncia con conseguente impossibilità di condan-
nare la parte alle spese ai sensi degli artt. 427 e 542, non
avendo essa la veste di querelante” (Cass., sez. I, 27 set-
tembre 1994 - 31 ottobre 1994, n. 10908; Cass., sez. III, 7
dicembre 2011 - 19 dicembre 2011, n. 46779).
Trattandosi di delitti procedibili a querela della per-
sona offesa, invece, all’imputato che ne abbia fatto richie-
sta (deve intendersi, nelle conclusioni ex art. 523 c.p.p.)
e dipoi assolto perché il fatto non sussiste o per non avere
commesso il fatto può competere il rimborso delle spese
processuali ed il risarcimento del danno.
Tale diritto, tuttavia, non scaturisce come conseguen-
za automatica dell’assoluzione ma fonda su un giudizio di
responsabilità del querelante.
Responsabilità che viene tratteggiata diversamente
dal Legislatore quanto alla condanna alla rifusione delle
spese processuali piuttosto che al risarcimento del danno.
In applicazione delle sentenze della Corte costitu-
zionale sopra richiamate, infatti, la giurisprudenza di
legittimità ha più volte affermato che: “La condanna del
querelante alle spese processuali, in caso di assoluzione
dell’imputato per insussistenza del fatto o per non averlo
egli commesso, deve essere preceduta dall’accertamento
e, quindi, da un motivato giudizio sull’esistenza dell’e-
lemento della colpa nell’esercizio del diritto di querela”
(Cass., sez. VI, 27 marzo 2009 - 6 luglio 2009, n. 27494),
“ma la motivazione può essere anche implicitamente
contenuta nel discorso giustif‌icativo svolto a fondamento
della decisione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto
implicitamente esistente la motivazione sulla esistenza
della colpa del querelante in considerazione delle ragioni
poste a base dell’assoluzione degli imputati, pronunciata
per insussistenza del fatto, dopo la positiva ricognizione
della infondatezza della querela e non per mera insuff‌i-
cienza e contraddittorietà delle prove a carico)” (Cass.,
sez. V, 7 ottobre 2014 - 19 novembre 2014, n. 47967).
La condanna del querelante al risarcimento del danno
patito dall’imputato presuppone, viceversa, un più intenso
giudizio di colpa grave: “In tema di risarcimento del danno
in favore dell’imputato e del responsabile civile, la colpa
grave, rilevante a tal f‌ine, quando si tratti di reato perse-
guibile a querela, si concreta in una trascuratezza del più
alto grado e consiste nel non avvertire l’ingiustizia di una
pretesa, ancorché essa appaia palese a chi valuti i fatti
con ponderazione ed imparzialità” (Cass., sez. V, 16 giugno
2004 - 21 luglio 2004, n. 31728).
L’eccezione rispetto al paradigma della responsabilità
aquiliana ex art. 2043 cod. civ. – di per sé restrittiva dell’area
di risarcibilità del danno derivante da querela infondata piut-
tosto che da qualsiasi altro fatto doloso o colposo – può essere
giustif‌icata, sotto il prof‌ilo dommatico, dal vaglio che l’istanza
punitiva della persona offesa riceve ad opera del P.M. nonché
dal favor del Legislatore rispetto all’emersione delle notizie
di reato; cionondimeno l’istituto meriterebbe una decisa ri-
valutazione ed una più ampia applicazione in funzione dei
principi costituzionali di economia processuale, eff‌icienza e
buon andamento dell’Amministrazione della Giustizia.
Anche la leva delle statuizioni civili e concernenti le
spese processuali, in altri termini, come già ampiamente
avviene in tutti gli altri ambiti processuali, si presta ad
essere impiegata dal Giudice penale al f‌ine di scoraggiare
la proposizione di istanze punitive (specie ove strumen-
tali ad uno scopo di contrapposizione politica) manife-
stamente infondate o pretestuose; in tal modo utilizzata
contribuirebbe, unitamente ad istituti più di recente in-
trodotti dal Legislatore: si pensi, a scopo esemplif‌icativo,
10/2018 Rivista penale
MERITO
SINDACO CHE QUERELA
INFONDATAMENTE
CONSIGLIERE COMUNALE
DI OPPOSIZIONE:
QUERELA COME MEZZO
DI CONTRAPPOSIZIONE
POLITICA
di Francesco Paolo Garzone
SOMMARIO
1. La vicenda processuale. 2. La decisione del Giudice di Pace.
3. In particolare, la condanna del querelante al pagamento
delle spese processuali ed al risarcimento del danno patito
dall’imputato: una rilevante leva per sanzionare gli abusi nel-
la proposizione della querela quale strumento di, impropria,
contrapposizione politica.
1. La vicenda processuale
In seguito a denuncia querela sporta dal Sindaco e
dal Dirigente dell’uff‌icio lavori pubblici del suo Comune,
un Consigliere di opposizione veniva tratto a giudizio per
rispondere del reato di cui all’art. 595 c.p. perché, comu-
nicando con alcune dipendenti dello stesso Ente civico,
avrebbe (il condizionale è d’obbligo, trattandosi di fatti
ancora sub iudice) commentato gli esiti di un bando di
gara per la manutenzione di una serie di strade locali in
senso critico delle scelte – procedure ristrette – in prece-
denza compiute dalla stessa Amministrazione.
2. La decisione del Giudice di Pace
Il Giudice di prime cure, esclusa la stessa sussistenza
storica di un (primo) fatto ascritto all’imputato e premes-
sa la dubbia consistenza letterale (sulla base delle risul-
tanze dell’istruzione probatoria dibattimentale) dell’e-
spressione asseritamente impiegata dall’imputato in una
(seconda) occasione, pronunciava sentenza di assoluzio-
ne con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Anche al di là di quanto sopra succintamente riferito, ri-
teneva – infatti – che, “quand’anche effettivamente proffe-
rita, l’espressione (contestata) sarebbe comunque priva di
qualsiasi attitudine a ledere la reputazione dei querelanti”.
E ciò in quanto il Sindaco, “come tale, non operava né la
scelta della procedura di gara da esperire né del contraen-
te della Pubblica Amministrazione e né, inf‌ine, partecipava
alla relativa selezione”; pertanto, alcuna “lesione della pro-
pria reputazione avrebbe mai potuto ricevere dall’espres-
sione incriminata, quand’anche essa fosse stata profferita”.
Apprezzava, inoltre, la “verità” della critica sottesa
all’espressione contestata (si legge, infatti, nella sentenza
commentata che: “Attraverso la deposizione del teste L.
e, soprattutto, la documentazione prodotta dalla difesa, è
emerso un sistema in cui, in effetti, la regola nella scelta
del contraente della P.A. sovente non era costituita dalla
gara aperta a seguito di regolare pubblicazione di bando,
ma a seconda dei casi, dall’aff‌idamento diretto … o “in
economia” …, ovvero dalla “procedura negoziata senza
previa pubblicazione del bando” …, e tanto anche per in-
terventi economicamente consistenti ed obbiettivamente
programmabili. Ne derivava, come conseguenza, sicura-
mente contraria allo spirito della legge, una indubbia re-
strizione della concorrenza e la possibilità, proporzional-
mente più elevata, che la stessa impresa fosse in effetti
aff‌idataria di più lavori”).
Signif‌icativo, in tal senso, è il richiamo operato dalla
sentenza commentata alla recente pronuncia della Su-
prema Corte di Cassazione n. 317/2018 del 14 novembre
2017 (dep. 9 gennaio 2018), per cui, in mancanza “della
offensività delle espressioni utilizzate dagli imputati …
va esclusa la sussistenza del reato”; soltanto in presenza
della stessa va, invece, valutata la sussistenza del “diritto
di critica, (il quale) attiene ad un giudizio valutativo che
trae spunto da un fatto ed esclude la punibilità di affer-
mazioni lesive dell’altrui reputazione purché le modalità
espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o
alla protesta espresse, in considerazione degli interessi e
dei valori che si ritengono compromessi (sez. I, n. 36045
del 13 giugno 2014, Rv. 261122).
Si deve, altresì, considerare, nella valutazione del re-
quisito della continenza, il complessivo contesto dialettico
in cui si realizza la condotta e verif‌icare se i toni utilizzati
dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infa-
manti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al
tema in discussione (sez. V, n. 4853 del 18 novembre 2016,
dep. 1 febbraio 2017, Rv. 269093).
In quest’ambito, il rispetto della verità del fatto assume
un rilievo più limitato e necessariamente aff‌ievolito rispet-
to al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più
quella politica, quale espressione di opinione meramente
soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che
non può, per def‌inizione, pretendersi rigorosamente obiet-
tiva ed asettica (sez. V, n. 25518 del 26 settembre 2016,
dep. 23 maggio 2017, Rv. 270284).
Va, invece, esclusa l’applicabilità dell’esimente qualora
le espressioni denigratorie siano generiche e non collega-
bili a specif‌ici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente
espressive di sentimenti ostili (sez. V, n. 48712 del 26 set-
tembre 2014, Rv. 26148901; sez. V, sentenza n. 48712 del
26 settembre 2014, Rv. 261489) o espressione di un attac-
co personale lesivo della dignità morale ed intellettuale
dell’avversario (sez. V, n. 8824 dell’1 dicembre 2010, dep. 7
marzo 2011, Rv. 250218).”

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