I sindacati di voto e la vendita del voto: problemi giuridici di liceità degli accordi sul voto ed ipotesi di diversità delle due fattispecie

AutoreBarbara Francone
Pagine479-505
Barbara Francone
I sindacati di voto e la vendita del voto:
problemi giuridici di liceità degli accordi sul voto
ed ipotesi di diversità delle due fattispecie
S: 1. Identicazione della fattispecie. – 2. Il tema oggetto di indagine e la problematica dei vinco-
li di voto da convenzione. – 3. Nozione di atto di disposizione del voto: Convenzione sulla titolarità
del voto e convenzioni sull’esercizio del voto. – 4. Il passaggio dal codice di commercio al codice civi-
le del 1942. – 5. La vendita del voto.
1. Nell’ordinamento non si ritrova l’aermazione di un principio generale che
escluda a priori la libera disposizione del voto da parte dell’azionista, ma la giurispruden-
za come anche la dottrina ne hanno sempre ostacolato l’ammissibilità ponendo come
limiti l’esistenza di norme volte a garantire un corretto funzionamento della società
(persona giuridica), in particolare il principio generale di divieto di condizionamenti, a
presidio di un rapporto formalmente corretto tra i soci nell’interesse comune.
Esaminando più da vicino le impostazioni dottrinarie, è possibile notare la presenza
di alcuni argomenti contro qualunque atto di disposizione.
La prima obiezione invocata a supporto della tesi che nega la liceità dei patti sul
voto è quella della indisponibilità del diritto di voto, in quanto sono considerati invalidi
i patti con cui si pretenda di trasferire un diritto autonomamente inalienabile qual è il
diritto di voto1, non essendo lo stesso oggetto di commercio2. Alcuni Autori, proprio in
assenza di un espresso regolamento, sostengono che la disposizione del voto urti contro
il buon costume3, ovvero con il principio per cui il voto deve essere esercitato nell’inte-
resse sociale.
1 G. Ct, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Giurè 1958, 10; Corte d’appello di Milano,
sent. 12 dicembre 1911in Riv. dir. comm. 1912, II, 314 con nota di S, che ha ritenuto “manifesta-
mente contrario alla morale che i soci possano mettere all’incanto la loro coscienza, a disposizione del mi-
glior oerente”.
2 L’incommerciabilità del diritto di voto ha rappresentato il metro di giudizio di qualunque scissione fra la
titolarità dell’azione e l’esercizio del diritto di voto: M, Cessione del diritto di voto e sindacati azio-
nari secondo il progetto del nuovo codice di commercio, in Dir. eprat. Comm., 1930,I, p. 357; V, Tratta-
to di diritto commerciale, Le società commerciali, II, Milano, 1923, p.231, Gli azionisti non possono alienare o
vincolare il loro diritto di voto, in Riv. dir. comm., 1914, I, 173; L L, La cessione e il vincolo del diritto
di voto nelle società per azioni,in Riv. dir. comm., 1915, II, p. 71; B, Ancora a proposito di nuove forme
contrattuali in Riv. dir. comm., 1905, I, 143; D, L’invalidità della deliberazione di assemblea delle socie-
tà anonime, Milano, 1937, 180. Faceva riferimento all’incommerciabilità del voto anche S, L’assem-
blea generale degli azionisti, Milano, 1914, 107.
Sulla non negoziabilità del voto si fondano anche le risalenti pronunce della Cassazione: Cass. 10 maggio
1934, in Foro it., 1934, Ic. 1862; Cass. 3 marzo 1938, n. 706, in Foro it., 1938, I, 612; Cass. 13 gennaio
1932, in Foro it, 1932, I, 331.
3 G. C, (nt. 1), 234, per il quale “è il voto in generale, dovunque debba essere espresso, a non poter
formare oggetto di mercato”.
480 Studi in onore di Umberto Belviso
Le argomentazioni a sostegno dell’invalidità di qualunque atto di disposizione del
voto, erano basate proprio sull’eventuale contrasto che i vincoli potessero creare sul rap-
porto tra l’interesse individuale del socio e l’interesse sociale. Si sottolineava in partico-
lare che il socio non poteva esercitare il diritto di voto in conitto con l’interesse sociale,
a maggior ragione, non poteva disporne, vincolandosi negozialmente ad esercitarlo, in
contrasto con l’interesse della società.
In particolare si aermava che l’illiceità degli atti di disposizione del voto, fosse desu-
mibile dalla disciplina del conitto d’interessi del socio (art. 2373 c.c.), in quanto lo stesso
mirerebbe al soddisfacimento di un interesse individuale rispetto alle esigenze sociali.4
Alle impostazioni suddette si aggiunge un altro argomento a conferma della contra-
rietà agli atti di disposizione, ossia il pericolo che questi creassero una turbativa dei proces-
si decisionali. Si è discusso, infatti, circa la legittimità della predeterminazione del voto ri-
spetto alla riunione assembleare, la necessità che il voto sia non solo manifestato, ma anche
formato nella riunione, a seguito e sulla base dei risultati del dibattito assembleare5.
4 Si pensi al corrispettivo promesso al socio per votare in un determinato modo, con la conseguenza che il
voto stesso ne risulterebbe viziato e determinerebbe l’annullabilità della deliberazione assunta, ove ricorrano
pure le ulteriori condizioni della marginalità del voto del socio in conitto d’ interessi e della potenziale
dannosità della deliberazione per la società. Questa è la tesi sostenuta da J, Ammissibilità e limiti
dell’accordo di cessione del voto in cambio di un corrispettivo (con considerazioni in merito alla c.d. vendita del
voto), nota a Cass., 22 ottobre 1996, 9191, in Giur. Comm. 1997, II, 240. Il riferimento all’interesse socia-
le per sostenere ta tesi della nullità di qualsiasi patto sul voto nonché sulla vendita, era presente anche in
V, (nt. 2), 174 “un voto disciplinato con vincoli precedenti all’assemblea non è un voto dato nell’in-
teresse della società, ma un voto precostituito a vantaggio esclusivo dell’azionista che n’ebbe un compenso.
Si potrebbe dire che con questo voto l’azionista non mira ad avvantaggiarsi pel tramite della società, in se-
guito al vantaggio conseguibile dalla società, insieme con gli altri azionisti, ma si avvantaggia direttamente,
personalmente, probabilmente a scapito della società, e degli altri soci.
Contra: si sta incontrando però sempre maggior adesione, specie nella dottrina più recente, la tesi permissi-
va che, pur con delle limitazioni, ammette in linea di principio, la vendita del voto o patti di disposizione
sul voto: si veda G. R P, Le delibere delle assemblee delle società, Milano, 1951, 100; S. G,
La rappresentanza in assemblea, Milano 1975, 185; W, Concorrenza e mercato azionario in Quader-
ni di Giur. Comm., Milano 1978, 125; F, I contratti parasociali Milano, 1987, 350, per il quale è
naturale che il socio tenda a trarre il maggior protto possibile dalla propria partecipazione societaria ed anzi
tale fenomeno è stato istituzionalizzato con l’introduzione delle azioni di risparmio; B, Assemblee
ordinarie e straordinarie, Padova, 1999, 282; C, Diritto delle società in Diritto commericiale, vol
2, Torino, 1999, 331; A, Il diritto alla liquidazione della quota la previsione di un corrispettivo in Guida
al diritto, 1997, 42; O, I patti parasociali: ancora una svolta legislativa, in Riv. dir. civ.,1998, II, 221, ri-
tiene ammissibile la vendita del voto ad un altro socio e per un tempo limitato, ma non a titolo denitivo o
comunque ad un terzo.
G.A. R, I sindacati di voto, in Trattato Colombo e Portale, Torino, 1994, III* 576; T, I contratti
parasociali, Milano 2000; v. A. T, in R. L, T, Le società di capitali in Trattato di diritto privato,
diretto da M. Bessone, vol XVII, Torino 2000.
5 Da tali considerazioni deriva che è illecito e perciò nullo qualsiasi vincolo preventivo del diritto di voto,
vincolo che, senza implicare il trasferimento del diritto stesso, limiti la libertà di agire dell’azionista.
A questa conclusione arrivava la giurisprudenza in un caso in cui il socio si era obbligato a votare in un de-
terminato senso nell’assemblea (Appello di Milano, 12 dicembre 1911, in Riv.dir comm. 1912, II,314).
L’accordo intervenuto tra le parti, imponendo all’azionista una determinata linea di condotta coincidente
con la volontà del creditore, equivale ad una cessione indiretta del voto.
Ancora sulla nullità di ogni obbligazione assunta, Trib. di Roma 14 luglio 1914 in Riv. dir. comm. 1915, II,
68 op. cit. con nota di L L; È nulla per mancanza di causa lecita l’obbligazione assunta da un socio di

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