Diritto al silenzio della persona già sottoposta ad indagini preliminari e compatibilità con l'ufficio di testimone

AutoreTommaso Coletta
Pagine701-704

Page 701

  1. Premessa. - Il tribunale dauno stimola, con la pronunzia in esame 1, nuovi spunti di riflessione su uno dei temi più controversi del diritto processuale delle prove: quello relativo alla configurabilità, o meno, di un diritto al silenzio a favore della persona già sottoposta ad indagini preliminari, la cui posizione sia stata archiviata e che debba essere esaminata - in perdurante pendenza del decreto di archiviazione - in un procedimento connesso o collegato.

    Tema che la recente modifica normativa, introdotta con la legge 1 marzo 2001 n. 63 (in attuazione della novella costituzionale sul cosiddetto giusto processo) - per quanto sia venuta ad incidere proprio sulle norme oggetto di controversia interpretativa (gli articoli 197, 198 e 210 c.p.p.) - non pare aver devalorizzato nelle sue varie implicazioni problematiche, non avendolo affrontato in modo diretto.

    Il giudice territoriale - in contrasto con il dominante orientamento della giurisprudenza di legittimità - perviene alla seguente, condivisa conclusione: il soggetto che sia stato in passato indagato per il medesimo reato, nell'ambito di un diverso procedimento definitosi con pronuncia di archiviazione (ma connesso ai sensi dell'art. 12 lett. a, c.p.p., per concorso di persone nel reato), va esaminato in sede dibattimentale in qualità di testimone, non rientrando detta figura soggettiva tra quelle per le quali l'art. 197 c.p.p. dispone un regime di incompatibilità con la testimonianza.

    Appare opportuno ripercorrere storicamente la vexata quaestio, onde verificare se la soluzione adottata con la sentenza in esame sia meramente deviazionistica, ovvero si inserisca in modo coerente e compatibile nel tessuto normativo derivato dalla novella introdotta con la legge 1 marzo 2001 n. 63. Tale legge infatti - pur nella mancanza di chiarezza cui si faceva cenno più sopra - ha comunque modificato il regime regolatore di riferimento cui si agganciava l'indirizzo giurisprudenziale dominante.

  2. Evoluzione giurisprudenziale. - In sede di prima applicazione del nuovo codice di rito, la Corte costituzionale - pronunciando con sentenza di mero rigetto (quindi non vincolante) - precisò che il precetto di cui all'art. 197 c.p.p. sull'incompatibilità dell'imputato in reato connesso con l'ufficio di testimone contiene disposizioni di garanzia che come tali devono essere applicate, ai sensi dell'art. 6 c.p.p. (norma che parifica diritti e garanzie dell'indagato a quelli dell'imputato), anche alla persona sottoposta alle indagini preliminari 2.

    A fronte dell'obiezione mossa in prevenzione dal giudice remittente - secondo cui l'art. 61 c.p.p. estende diritti e garanzie dell'imputato solo al soggetto che sia ancora e attualmente sottoposto a indagini preliminari (tale non essendo più colui nei cui confronti sia stato emesso decreto di archiviazione) - il giudice delle leggi superò l'argomento (ancorato evidentemente sulla nozione di attualità della posizione) evidenziando che l'incompatibilità in esame era normativamente prevista anche nei confronti dell'imputato che avesse perso tale qualità a seguito di una sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o di una sentenza irrevocabile di condanna 3.

    Da ciò doveva trarsi la conseguenza che se il già imputato era tutelato dal regime della incompatibilità testimoniale, a fortiori lo era per coerenza anche il già indagato.

    A seguito di tale pronuncia, la Corte di cassazione si orientò in prima battuta in senso difforme, indirizzandosi verso la tesi della compatibilità con l'ufficio di testimone per il soggetto già indagato per reato connesso 4.

    Sostenne che l'art. 197 c.p.p. ha natura di norma eccezionale perché pone specifiche eccezioni al dovere generale di rendere testimonianza, dovere fissato dalla legge e resoPage 702 imperativo dalla previsione della sanzione penale (art. 372 c.p.); e, pertanto, l'interpretazione dell'articolo 197 c.p.p. doveva essere strettamente legata al significato del suo contenuto letterale e non consentiva estensioni che si ponessero eventualmente in contrasto con tale significato.

    Da ciò arguì che il legislatore aveva inteso limitare l'incompatibilità soltanto nei confronti di chi ha realmente e formalmente assunto la posizione di imputato: donde, l'impossibilità giuridica di estendere il disposto legislativo dell'indagato, e la conseguenza che la norma dell'articolo 61 secondo comma c.p.p. non fosse correlabile in un combinato disposto con l'art. 197 c.p.p.

    Seguì un periodo di notevoli incertezze giurisprudenziali, sintomatico della oggettiva difficoltà nel contemperare i principi di garanzia dell'imputato/indagato con il fondamentale assioma del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova e con il principio, del pari assiomatico, della doverosa ricerca processuale della verità storica: principi messi in evidente discussione dell'estensione del diritto al silenzio.

    Così per un verso si consolidò a livello di giurisprudenza territoriale uno zoccolo duro fortemente favorevole all'esame dibattimentale in veste di testimone del già indagato 5; per altro verso il giudice della legittimità mutò il proprio originario orientamento adeguandosi all'autorevole (per quanto non vincolante) interpretazione restrittiva fornita dalla Corte costituzionale 6.

    E mentre la giurisprudenza della Suprema Corte mostrava di non approfondire più di tanto le ragioni di una opzione interpretativa fatta a monte dal giudice costituzionale (e a cui si adeguava in modo pressoché supino), i giudici di merito esplicitavano il proprio diverso convincimento ancorandolo a svariate argomentazioni di accattivante spessore persuasivo.

    Ad esempio, a fronte dell'obiezione secondo cui la incompatibilità a testimoniare del soggetto già indagato si giustifica e si legittima sulla base di un principio di garanzia e sul conseguente rispetto della massima normativa nemo tenetur se detegere, si sosteneva incisivamente che l'assunzione della qualità di teste da parte dell'indagato di reato connesso è accompagnata comunque da un apposito e altro apparato di garanzie atte a evitare l'autoincriminazione, dovendosi all'uopo applicare il più conferente disposto dell'articolo 198 secondo comma c.p.p., secondo cui il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT