Misure di sicurezza e di prevenzione nel nostro ordinamento

AutoreAntonio Leggiero
Pagine262-264
262
dott
3/2013 Rivista penale
DOTTRINA
MISURE DI SICUREZZA
E DI PREVENZIONE
NEL NOSTRO ORDINAMENTO
di Antonio Leggiero
Nel nostro ordinamento, com’è noto, coesistono gli
istituti giuridici delle misure di sicurezza e delle misure
di prevenzione. Entrambi preziosi strumenti normativi di
repressione (ma anche di prevenzione in senso lato) della
criminalità.
Sia le misure di sicurezza che di prevenzione sono ac-
comunate da una medesima matrice la quale agisce da co-
mune denominatore, sancendone la nascita e l’operatività
in funzione di difesa sociale, oltre che di supporto all’isti-
tuto della pena, quest’ultimo rimedio elettivo ineludibile
ed imprescindibile di ogni tipo di diritto penale.
Prima di addentrarci nella disamina concettuale e nel-
l’esplorazione funzionale di tali istituti, è opportuno rico-
struire la loro origine, la ratio iuris nonché il loro excursus
storico.
Ebbene, iniziando dalla ricostruzione delle vicende
esistenziali delle prime, dal punto di vista storico - com’è
noto - le misure di sicurezza sono più risalenti nel tempo,
sia a livello di elaborazione concettuale e dottrinale che a
livello di introduzione nel nostro ordinamento.
Infatti, le stesse furono concepite dai giuristi della
Scuola di Diritto Positivo (o Seconda Scuola) i quali, verso
la f‌ine dell’ottocento, soprattutto con il prezioso contributo
scientif‌ico-dottrinale degli esponenti più arguti e fecondi
di tale movimento (Raffaele Garofalo ed Enrico Ferri),
elaborarono il concetto di misura di sicurezza sociale.
In estrema sintesi, il loro costrutto dogmatico era f‌i-
nalizzato alla realizzazione di un sistema giuridico di tipo
penale estremizzato, dove, nel tempo, le misure di sicurez-
za avrebbero f‌inito per soppiantare tout court le pene.
Ciò al f‌ine di una neutralizzazione dei soggetti so-
cialmente pericolosi insieme con una tendenziale eradi-
cazione totale di ogni sacca di pericolosità dal consesso
sociale.
Questi autori, infatti, ritenevano che tali misure fos-
sero da preferirsi alle pene, in quanto queste ultime nor-
malmente avevano una f‌ine e non consentivano, pertanto,
di tutelarsi adeguatamente nei confronti di soggetti po-
tenzialmente pericolosi a tempo indeterminato.
Ergo la necessità della maieutica di un nuovo strumen-
to – la misura di sicurezza - che sarebbe stato maggior-
mente prof‌icuo con un’operatività prolungata, f‌ino a che
il soggetto fosse stato pericoloso: vale a dire indetermina-
tamente.
Tale assunto, per certi versi sconcertante nell’ottica
giuridica e f‌ilosof‌ica contemporanea, era perfettamente in
sintonia con i dettami del positivismo imperanti all’epoca,
i quali, fra l’altro, avevano recepito l’impostazione del “de-
linquente nato” lombrosiano, soggetto che, nato criminale,
sarebbe morto, irrimediabilmente ed irreversibilmente,
criminale.
Del resto, è opportuno in un’ottica di comparazione
criminologica di tipo diacronico, evidenziare come, at-
tualmente, con la sconfessione quasi totale di quello che
è stato def‌inito il “mito risocializzativo” (nel senso di una
possibilità indiscriminata di recupero di ogni reo con le
tecniche delle scienze dell’uomo), si stia affermandosi
prepotentemente (soprattutto negli USA) un approccio di
politica criminale def‌inito dell’ “incapacitazione selettiva”.
Tale approccio tende a predisporre dei meccanismi
giuridico-normativi di enucleazione dei soggetti forte-
mente pericolosi dal contesto sociale, grazie anche al varo
di adeguati strumenti di politica criminale f‌inalizzati alla
neutralizzazione giudiziaria di tali individui.
Ciò in un’ottica di rispetto formale dei fondamentali
diritti umani.
In sostanza, una rivisitazione dei vecchi postulati tanto
cari alla Scuola Positiva!
Ciò detto – sebbene tale precisazione sia tanto pleona-
stica, quanto lapalissiana - è doveroso ricordare che né il
nostro ordinamento giuridico né quello di altri Stati, nel
corso della storia, hanno mai proceduto alla soppressione
della pena, in luogo della misura di sicurezza.
Ragion per cui, tale intento ha f‌inito per cristallizzarsi nel
novero delle congerie concettuali f‌ilosof‌iche e giuridiche.
Ciò, invece, che è avvenuto in Italia è stato l’ingresso
nel nostro ordinamento delle misure di sicurezza sociali
con il varo del Codice Rocco del 1930, il quale ha conferito
piena dignità ed ospitalità a tali istituti, in abbinamento,
però, al sistema delle pene, partorendo e realizzando quel-
lo che è stato def‌inito il sistema del doppio binario.
A questo punto è opportuno precisare che nel nostro
ordinamento esistono misure di sicurezza di tipo detentivo
e di tipo non detentivo.
Tuttavia, il nostro discorso verterà esclusivamente –
alla luce della maggiore importanza delle stesse - sulle
prime.
In ogni caso, se questo è stato l’iterstorico delle misure
di sicurezza, diverso è stato quello che ha visto protagoni-
ste le misure di prevenzione.
Queste ultime, infatti, sono state introdotte in tempi
relativamente più recenti, con la legge 1423 del 1956, gra-
zie ad un importante intervento normativo di conio extra-
codicistico e soprattutto in una cornice costituzionale di
riferimento profondamente mutata, dal momento che nel
frattempo, era stata varata la nostra Grundnormnel 1948.
Tali misure sarebbero servite (anche esse) a corrobo-
rare l’operatività di difesa sociale nella repressione e nella
riduzione della pericolosità di determinati soggetti, crean-
do un nuovo sistema di tutela dell’individuo e del contesto
sociale.

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