L'attuazione delle sentenze della Corte di giustizia da parte degli enti pubblici territoriali

AutoreA. Di Stefano
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Adriana Di Stefano*

L’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia da parte degli enti pubblici territoriali

Sommario: 1. Premessa. – 2. Considerazioni sull’adempimento degli obblighi derivanti da sentenze comunitarie ed in particolare dalle sentenze emesse dalla Corte di giustizia in esito a procedimenti ex artt. 226-228 TCE. La nozione di “ente pubblico territoriale” nella giurisprudenza della Corte di giustizia. – 3. Adempimento di obblighi comunitari e competenze regionali dopo la riforma del titolo V, parte II Cost. La disciplina della l. 4 febbraio 2005 n. 11. – 4. La strategia delle “leggi comunitarie regionali”. – 5. Conclusioni.

1. Tenteremo in questo contributo di descrivere i fondamentali nodi problematici posti dall’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia da parte degli enti pubblici territoriali, assumendo a punto privilegiato di osservazione l’esperienza italiana maturata a partire dalla riforma del titolo V Cost., con particolare riferimento agli interventi legislativi di attuazione delle disposizioni emendate.

Questo tema si inquadra entro la più ampia e complessa questione (già nota agli studiosi) del contemperamento tra l’esigenza di un corretto e uniforme adempimento degli obblighi di fonte comunitaria e quella del rispetto degli assetti istituzionali interni di competenze tra autorità statali e locali1.

* Assegnista di ricerca in Diritto internazionale, Università degli Studi di Catania.

1La trattazione proposta si concentrerà sull’analisi dei proili problematici di più rilevante attualità riproposti, nel nostro ordinamento, in seguito alla recente riforma legislativa dei meccanismi interni di esecuzione degli obblighi comunitari, alla luce della novella costituzionale del titolo V e del nuovo ruolo assunto dalle autonomie regionali nel sistema complessivo dei rapporti con l’Unione europea. Assumeremo pertanto a riferimento esclusivo della questione l’esperienza italiana (Regioni e Province autonome, quali enti dotati di competenze normative funzionali all’attuazione di atti comunitari), trascurando in questa sede vicende comparabili relative all’intervento di “enti pubblici territoriali” in altri ordinamenti di Stati membri dell’Unione europea. Cfr., in generale, sul tema in considerazione M. Cartabia, J. H. H. Weiler, L’Italia in Europa. Proili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000; B. Caravita, La Costituzione dopo la riforma del titolo V: Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002; P. Caretti, Stato, Regioni, Enti locali tra innovazione e continuità. Torino, 2003; L. Chieffi (a cura di), Regioni e dinamiche di integrazione europea, Torino, 2003; A. D’Atena (a cura), L’Europa delle Autonomie. Le Regioni e l’Unione europea, Milano, 2003; M. Buquicchio (a cura di), Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle Regioni, Bari, 2004; L. Chieffi, G. Clemente di San Luca (a cura di), Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, Torino, 2004; G. Cataldi, A. Papa (a cura di), Formazione del diritto comunitario e internazionale e sua applicazione interna. Il ruolo delle

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Quaderni 2006 — Cooperazione giudiziaria ed eicacia delle sentenze: problematiche di diritto internazionale ed europeo

2. Qualche breve cenno preliminare non può esser taciuto in questa sede, a ini di inquadramento generale del tema in discussione, alla complessa questione dell’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia, nonché alla stessa individuazione della nozione di ente pubblico territoriale alla luce della giurisprudenza sovranazionale. L’economia di questo intervento preclude, riteniamo, una trattazione sistematica di tutti i problemi implicati dalle questioni in discorso. Ci limiteremo pertanto ad alcune sommarie notazioni preliminari.

L’esecuzione delle sentenze della Corte di giustizia è disciplinata dall’art. 228 TCE per quel che riguarda le sentenze emesse in esito al procedimento di infrazione. Vi si legge infatti che «lo Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta»2.

In realtà una problematica comparabile è conigurabile anche per le sentenze emesse in relazione ad altri procedimenti giudiziari che si svolgano davanti alla Corte. Si pensi ad esempio alla possibilità che uno Stato abbia adottato un provvedimento di attuazione di una direttiva sulla base di una interpretazione di essa che venga poi sconfessata dalla Corte con una sua sentenza ex art. 234 TCE. È chiaro che lo Stato sarà tenuto a rimuovere l’atto adottato ove esso risulti incompatibile con l’interpretazione adottata dalla Corte nella sua sentenza. Tale operazione, tuttavia, non potrebbe probabilmente essere tecnicamente descritta come “esecuzione” della sentenza, se non in senso lato.

Le stesse considerazioni potrebbero valere a proposito delle sentenze di annullamento che la Corte adotti in relazione ad atti comunitari. Si pensi all’ipotesi in cui questi atti abbiano formato oggetto, ovviamente prima del loro annullamento, di provvedimenti di attuazione. Senza dubbio, venutone meno l’oggetto (il presupposto), questi ultimi provvedimenti andrebbero rimossi. E ciò potrebbe conigurarsi, sia pure in senso lato, come “esecuzione” della sentenza.

Con certezza, tuttavia, quando nel lessico comunitario ci si riferisce all’esecuzione della sentenza si fa riferimento alla sentenza emessa in esito al procedimento di infra-zione.

Regioni e dello Stato nelle esperienze italiana e spagnola, Napoli, 2005; L. Daniele (a cura di), Regioni e auto-nomie territoriali nel diritto internazionale ed europeo, Napoli, 2006.

2Il base all’art. 228 TCE «1. Quando la Corte di giustizia riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del presente Trattato, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. 2. Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso detti provvedimenti, la Commissione, dopo aver dato a tale Stato la possibilità di presentare le sue osservazioni, formula un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Qualora lo Stato membro in questione non abbia preso entro il termine issato dalla Commissione i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta, la Commissione può adire la Corte di giustizia. In questa azione essa precisa l’importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che consideri adeguato alle circostanze. La Corte di giustizia, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità…». Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa riproduce la disposizione de qua all’art. III-362. In argomento cfr., in particolare, L. Fumagalli, La responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario, Milano, 2000; Id., Articoli 226-228, in F. Pocar (a cura di), Commentario breve ai Trattati della Comunità e dell’Unione europea, Padova, 2001, p 753 ss.; P. Mori, Articoli 226-229, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione e della Comunità europea, Milano, 2004, p. 1057 ss., autori ai quali può farsi riferimento anche per le considerazioni che seguono nel testo.

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Adriana Di Stefano, L’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia da parte degli enti pubblici territoriali

In relazione a tale sentenza, una interpretazione accreditata dell’art. 228 aferma senza mezzi termini che essa deve venire considerata una sentenza meramente dichiarativa, nel senso che la Corte non ha il potere di “condannare” lo Stato all’adozione di questo o quel provvedimento ed a maggior ragione che la sentenza della Corte non produce alcun efetto sugli atti dello Stato incompatibili con la sentenza adottata3.

Quanto appena afermato non implica però che dall’adozione della sentenza non scaturiscano obblighi positivi a carico dello Stato, quelli appunto relativi all’adozione dei provvedimenti che l’art. 228 identiica come «provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta», anche se l’accertamento dell’infrazione statale non determina in capo alla Corte il potere di indicare con efetti vincolanti allo Stato inadempiente le possibili misure da adottarsi al ine di porre rimedio alle violazioni, in ottemperanza al giudicato comunitario.

In deinitiva, quindi, sussiste un obbligo positivo di esecuzione della sentenza, ma esso si conigura come un obbligo di risultato, ben potendo lo Stato provvedere nella maniera che ritenga più idonea al conseguimento del risultato della conformità del proprio ordinamento al disposto della sentenza da eseguirsi (ad esempio, modiica, abrogazione o introduzione di una norma giuridica). Lo Stato dichiarato responsabile in esito a un procedimento per infrazione resta dunque libero di individuare gli strumenti più idonei a porre rimedio all’accertato inadempimento, dando attuazione agli obblighi derivanti dal diritto comunitario.

La giurisprudenza della Corte di Lussemburgo ha comunque evidenziato l’esistenza di alcune limitazioni al potere dello Stato di individuare in piena autonomia gli inter-venti utili al ine dell’esecuzione della sentenza. Si è così afermato, tra l’altro, che non può considerarsi esecuzione della sentenza una prassi amministrativa che, pur conformandosi al disposto della sentenza nell’interpretazione di una data normativa interna che la Corte abbia considerato incompatibile con il diritto comunitario, lasci però sussistere la normativa stessa4. È stato inoltre ritenuto che lo Stato debba eliminare la normativa incompatibile con l’ordinamento comunitario con efetto retroattivo5.

Ove il provvedimento della Corte riconosca poi la...

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