Sentenza Nº 58011 della Corte Suprema di Cassazione, 29-12-2017

Presiding JudgePICCIALLI PATRIZIA
ECLIECLI:IT:CASS:2017:58011PEN
Date29 Dicembre 2017
Judgement Number58011
CourtQuarta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI
BOLZANO
nei confronti di:
SCHERER FRANZ nato il 31/08/1965 a CERMES
avverso l'ordinanza del 30/03/2017 del GIP TRIBUNALE di BOLZANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSX
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PAVICH;
lette/sentite le conclusioni del PG
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Penale Sent. Sez. 4 Num. 58011 Anno 2017
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 24/11/2017
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, con
provvedimento emesso in data 30 marzo 2017, ha rigettato la richiesta di
archiviazione avanzata dal Pubblico ministero nei confronti di Franz Sherer, in
relazione al reato di guida in stato d'ebbrezza (art. 186, comma 2, lettera C, Cod.
Strada), disponendo l'imputazione coattiva a carico dello Sherer in ordine a tale
addebito e indicando, quali aggravanti da contestare, quelle di cui all'art. 186,
commi
2-bis e 2-sexies
Cod. Strada.
2.
Avverso il citato provvedimento ricorre il Procuratore della Repubblica di
Bolzano, con atto contenente un unico motivo di doglianza nel quale si contesta
violazione di legge processuale
ex
art. 606, comma 1, lettera C, cod.proc.pen. in
relazione all'art. 409 del codice di rito: deduce il P.M. ricorrente che il giudicante
ha formulato l'imputazione coattiva in violazione del contraddittorio, nonché del
secondo comma del citato art. 409, senza fissare udienza in camera di consiglio e
per di più indicando anche le aggravanti da contestare. Ciò integra una fattispecie
di atto abnorme, sia in relazione alla violazione del principio del contraddittorio,
sia in relazione all'esercizio di prerogative attribuite in via esclusiva al Pubblico
ministero ai fini dell'esercizio dell'azione penale.
3.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di
Cassazione ha concluso chiedendo la declaratoria di nullità del provvedimento
impugnato e la restituzione degli atti al Tribunale di Bolzano.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In estrema sintesi, le doglianze del Procuratore della Repubblica ricorrente
attengono a due specifiche questioni: ossia all'avere il G.i.p disposto l'imputazione
coatta senza fissare l'udienza in camera di consiglio
ex
art. 409, comma 2,
cod.proc.pen., violando così una disposizione di legge posta a presidio del principio
del contraddittorio; e al fatto che lo stesso organo giudicante, disponendo
inaudita
altera parte
di procedere all'imputazione coattiva e per di più integrando quella
originaria con l'indicazione di due circostanze aggravanti, ha indebitamente
"espropriato" l'organo requirente di prerogative sue proprie, strettamente
connesse all'esercizio dell'azione penale.
Sebbene non possa sottacersi che le ragioni poste a base del ricorso
presentino elementi meritevoli di attenzione, in relazione al peculiare
modus
procedendi
nella specie seguito dal giudice per le indagini preliminari, nondimeno
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
il ricorso é inammissibile, perché proposto avverso un provvedimento
non ricorribile e che, ancorché adottato in violazione della legge,
non può definirsi abnorme.
1.1. In primo luogo va chiarito che non vi sono, nel vigente ordinamento
processuale, disposizioni che consentano l'autonoma impugnabilità del
provvedimento emesso dal G.i.p. con il quale é stato ordinato al P.M. di formulare
l'imputazione coattiva. All'uopo é sufficiente il richiamo alla norma generale di cui
all'art. 568 cod.proc.pen., da cui si ricava che il citato provvedimento non é
ascrivibile a nessuna delle fattispecie di provvedimenti cui la predetta norma
attribuisce, in stretto regime di tassatività, il carattere dell'autonoma
impugnabilità o della ricorribilità diretta per cassazione; né é dato rinvenire, nel
sistema processuale, alcuna disposizione particolare che qualifichi il
provvedimento
de quo
come impugnabile.
1.2. In alternativa, quindi, quest'ultimo sarebbe impugnabile ove esso fosse
qualificabile come abnorme.
Ma va detto che l'istituto dell'abnormità, come ribadito dalla costante
giurisprudenza (vds.
ex multis
Sez. 6, Sentenza n. 48760 del 06/12/2011,
Mannino) ha natura affatto eccezionale, essendo teso a offrire un
«correttivo al
suddetto principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, nel senso che si é
inteso apprestare il rimedio del ricorso per cassazione contro quei provvedimenti
del giudice che, pur risultando affetti da anomalie genetiche o funzionali così
radicali da non poter essere inquadrate in alcuno schema legale, non sono tuttavia
impugnabili. Il ricorso per cassazione costituisce, dunque, l'unico strumento
processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti destabilizzanti, altrimenti non
rimediabili, dell'atto abnorme».
Vale la pena ricordare, al riguardo, che la categoria dell'abnormità non é
disciplinata dal codice
di
rito ed é demandata all'elaborazione giurisprudenziale,
proprio nell'intento di rispondere ad esigenze di giustizia sostanziale nei casi in cui
l'applicazione della legge non condurrebbe a soluzioni soddisfacenti in tal senso.
La Relazione al progetto preliminare del vigente Codice di procedura penale (pag.
126) chiarisce infatti che «é
rimasta esclusa l'espressa previsione
dell'impugnazione dei provvedimenti abnormi, attesa la rilevante difficoltà di
una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di
rilevarne l'esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità. Se
infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni
impugnazione non prevista, é vero pure che il generale rimedio del ricorso per
cassazione consente comunque l'esperimento di un gravame atto a rimuovere
un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini
diversi da quelli previsti dall'ordinamento».
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1.3. Nella fattispecie, deve constatarsi che il giudicante ha ordinato al P.M.,
con provvedimento emesso
de plano
anziché nel contraddittorio, di procedere ad
imputazione coattiva: in tal modo può affermarsi che egli ha bensì agito
nell'ambito di un potere espressamente conferitogli dall'ordinamento (in specie
dall'art. 409, comma 4, cod.proc.pen.); ma lo ha fatto in modo sicuramente
irrituale, ossia non consentendo alle parti (e, dunque, anche al P.M.) di partecipare
al previsto contraddittorio nell'apposita udienza camerale.
Tanto, ad avviso della Corte, integra sicuramente una nullità a carattere
generale e assoluto ai sensi degli artt. 178, lett. b), e 179 cod. proc. pen., per
violazione del principio del contraddittorio affermato dall'art. 111, commi 2, e 4,
Cost., e, segnatamente, della disciplina concernente la partecipazione del P.M. al
procedimento.
1.4. Nondimeno, deve ribadirsi una volta di più quanto costantemente
affermato dalla giurisprudenza di legittimità circa la netta distinzione fra la nozione
di "illegittimità" o di "nullità" dell'atto, e quella di "abnormità". Al riguardo,
numerosi sono gli arresti giurisprudenziali nei quali si afferma che l'atto illegittimo,
o nullo, non per questo é anche "abnorme" (e, dunque, soggetto a impugnazione
anche se non rientrante nelle fattispecie evocate dall'art. 568 cod.proc.pen.),
Per chiarire l'eccezionalità della nozione di abnormità e i limiti ristretti in cui
può parlarsi di atto abnorme (specie nei rapporti tra organo giudicante e organo
requirente), si rammenta che il punto d'arrivo dell'elaborazione giurisprudenziale
in subiecta materia é costituito dalla sentenza a Sezioni Unite Toni (Sez. U,
Sentenza n. 25957 del 26/03/2009), in cui si é affermato che l'abnormità,
«più
che rappresentare un vizio dell'atto in sé, da cui scaturiscono determinate
patologie sul piano processuale, integra - sempre e comunque - uno sviamento
della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla
legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale é riconosciuta
dall'ordinamento»;
dopo avere chiarito che abnormità strutturale e funzionale si
saldano, in definitiva, all'interno di un "fenomeno unitario" dato dalla carenza o
assenza di potere del giudice che ha adottato il provvedimento (ciò che
contraddistingue l'abnormità dell'atto rispetto alla non abnormità é proprio
«l'esistenza o meno del potere di adottarlo»),
le Sezioni Unite ribadiscono che la
categoria dell'abnormità presenta indubbi caratteri di eccezionalità, in relazione
alla deroga che viene attuata sia rispetto al principio di tassatività delle nullità (art.
177 cod. proc. pen.), sia rispetto al principio di tassatività dei mezzi di
impugnazione (art. 568 cod. proc. pen.). Di tal che
«non appare ... conforme al
sistema, per le caratteristiche di assoluta tipicità e residualità del fenomeno,
dilatare il concetto di abnormità, per non utilizzarlo impropriamente per far fronte
a situazioni di illegittimità considerate altrimenti non inquadrabili né rimediabili».
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La sentenza a Sezioni Unite Toni delinea perciò, sulla base di siffatte premesse
sistematiche, le conseguenti applicazioni della nozione di abnormità per quel che
concerne i rapporti tra giudice e pubblico ministero, di particolare interesse ai fini
del ricorso in esame: applicazioni che confinano l'ipotesi dell'abnormità strutturale
«al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli
dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto)»
o di
«deviazione del
provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di un
esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale
radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioé completamente al di
fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere
in concreto)». Con riguardo all'abnormità funzionale riscontrabile nel caso di stasi
del processo e di impossibilità di proseguirlo, essa secondo le Sezioni Unite
«va
limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero
un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del
procedimento o del processo»,
mentre negli altri casi il P.M.
é «tenuto ad osservare
i provvedimenti emessi dal giudice».
1.5. L'adesione ai principi affermati dalla richiamata giurisprudenza apicale,
in cui é evidente la preoccupazione di sottolineare l'eccezionalità dell'istituto in
modo da renderlo compatibile con il principio di tassatività che governa le
impugnazioni, porta a concludere che il provvedimento impugnato, pur
sicuramente affetto da illegittimità (anzi, da nullità assoluta), non può qualificarsi
come abnorme. Questo anche se, come si é cercato di osservare attraverso una
breve disamina sistematica dell'istituto, la perimetrazione della nozione di
"abnormità" é istituzionalmente demandata alla giurisprudenza e al suo prudente
apprezzamento, con riguardo a quelle ipotesi in cui, lungi dall'estendere la nozione
in esame ad atti illegittimi solo sulla base di una valutazione "quantitativa" del
grado d'illegittimità che li caratterizza, il sistema é chiamato a reagire ad atti che
comportino l'indebita stasi o l'indebita regressione del procedimento, ovvero che
si pongano in frontale, irrimediabile e insanabile contrasto con le finalità
fondamentali di ciascun istituto processuale, o con principi cardine
dell'ordinamento.
1.6. A fronte di ciò, e per venire più direttamente all'esame delle questioni
poste dal ricorso, la giurisprudenza di legittimità é sostanzialmente consolidata nel
non offrire spazio alla ricorribilità per cassazione del provvedimento con cui il G.i.p.
ordina la formulazione dell'imputazione coattiva senza fissare udienza in camera
di consiglio.
Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, non é impugnabile in sede di
legittimità, neppure sotto il profilo dell'abnormità, l'ordinanza con cui il giudice per
le indagini preliminari, a fronte della richiesta di archiviazione, abbia disposto
de
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la trasmissione degli atti al P.M. per la formulazione dell'imputazione (Sez.
6, n. 40768 del 09/11/2006 - dep. 14/12/2006, Raymond, Rv. 235527; Sez. 5, n.
41903 del 3 ottobre 2003, Nofal Yehia; Sez. 2, n. 22625 del 20 aprile 2001, P.M.
c. ignoti; Sez. 2, n. 2035 del 10 aprile 1995, P.M. in proc. Saracino). Da ultimo,
nel solco di tale orientamento, si pone Sez. 2, Sentenza n. 24793 del 05/06/2015,
P.M. c. Asavinei, Rv. 264363, nella cui motivazione si legge che, poiché
«al giudice
per le indagini preliminari compete senz'altro il compito (e la "funzione") di
esercitare il proprio controllo in sede di richiesta di archiviazione, ed impedire,
dunque, che la domanda di "inazione" del pubblico ministero possa sottrarsi alle
garanzie del sindacato giurisdizionale, imposto dall'art. 112 Cost., alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza. 88 del 1991, ne deriva
che la facoltà (come si é detto, costituzionalmente configurata) di imporre al
pubblico ministero di formulare la imputazione rappresenta uno snodo
sicuramente insito nelle attribuzioni del giudice richiesto di pronunciarsi sulla
archiviazione. La elusione del contraddittorio, dunque, potrà viziare il
provvedimento ma non potrà certo renderlo abnorme nel senso che si é dianzi
chiarito».
1.7. Quanto, infine, al fatto che nell'imputazione coattiva il giudice per le
indagini preliminari ha indicato le circostanze aggravanti da inserire
nell'imputazione stessa, pure sotto tale profilo il provvedimento impugnato si
sottrae alla taccia d'abnormità: ed invero, in base alla più recente, prevalente e
qui condivisa giurisprudenza di legittimità, rientra certamente nelle attribuzioni del
giudice per le indagini preliminari quella di individuare l'esatta qualificazione
giuridica dei fatti, sotto ogni profilo: non solo per quanto riguarda il corretto
nomen
iuris
da attribuire al fatto sottoposto alla sua cognizione (cfr. da ultimo Sez. 1,
Sentenza n. 47919 del 29/09/2016, Guarnieri, Rv. 268138), ma anche per ciò che
attiene alla ravvisabilità di un'aggravante non inserita nell'addebito originario (yds.
Sez. 6, Sentenza n. 47292 del 09/09/2015, Marino, Rv. 265335).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 ItiVe.mbre 2017.
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