Sentenza Nº 48750 della Corte Suprema di Cassazione, 05-12-2013

Presiding JudgeMANNINO SAVERIO FELICE
ECLIECLI:IT:CASS:2013:48750PEN
Judgement Number48750
Date05 Dicembre 2013
CourtTerza Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PIPINO VINCENZO N. IL 22/07/1943
CONTI MAURIZIO N. IL 23/10/1956
HRUSTIC VEJSIL DETTO MAURO N. IL 01/12/1977
LIAMIDOVIC ALJIL' LATITANTE' N. IL 25/07/1974
ZANE FABIO N. IL 25/02/1962
ZORZI ARMANDO N. IL 13/12/1967
avverso la sentenza n. 1068/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
21/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Udito, per la parte civile, l'Av
Penale Sent. Sez. 3 Num. 48750 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO
Data Udienza: 22/11/2013
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Udit i difensor
Avv.
4
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
1. PIPINO VINCENZO, CONTI MAURIZIO, HRUSTIC VEJSIL detto MAURO,
HAMIDOVIC ALJIL, ZANE FABIO e ZORZI ARMANDO hanno proposto, a mezzo
dei rispettivi difensori cassazionisti (fatta eccezione per il Pipino che ha proposto
personalmente ricorso per cassazione), tempestivi ricorsi avverso la sentenza
della Corte d'Appello di VENEZIA in data 21/02/2012, depositata in data
20/04/2012, parzialmente confermativa della sentenza 5/03/2010 emessa dal
Tribunale di VENEZIA, con cui i medesimi erano stati condannati,
rispettivamente, all'esito del giudizio dibattimentale, alle seguenti pene:
a)
PIPINO, anni undici di reclusione e 60.000,00 C di multa;
b)
CONTI, anni dieci e mesi sei di reclusione e 60.000,00 C di multa;
c)
HRUSTIC, anni sette e mesi sei di reclusione e 30.000,00 C di multa;
d)
HAMIDOVIC, anni sei di reclusione ed 26.000,00 C di multa;
e)
ZANE, anni sei e mesi due di reclusione e 28.000,00 C di multa;
f)
ZORZI, anni sei e mesi uno di reclusione e 27.000,00 C di multa (ridotta in
appello ad anni due e mesi quattro di reclusione e 5.000,00 C di multa),
- i primi quattro, per avere, in concorso tra loro e in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, detenuto a scopo di smercio a terzi, importando dall'Olanda,
ceduto a venduto a terzi, non modiche quantità di eroina e cocaina; in
particolare, quanto a HRUSTIC e HAMIDOVIC, per aver importato, in concorso
con CONTI e PIPINO, dall'Olanda quantitativi ingenti di cocaina per
approvvigionare il sodalizio cui dette sostanze venivano poi fornite per tramite di
CONTI; quanto al CONTI, di aver fornito ripetutamente con frequenza costante,
direttamente e a mezzo corrieri e sodali, a PIPINO, partite di cocaina ed eroina in
quantitativi variabili da uno a quattro etti per volta, allo ZANE, venduto e/o
comunque ceduto a terzi, in concorso e su direttive di PIPINO, sostanze
stupefacenti del tipo eroina e cocaina che quest'ultimo riceveva da CONTI; in
particolare si accertavano, in flagranza di reato, numerosi episodi di detenzione e
trasporto di sostanze stupefacenti da Roma a Venezia nelle occasioni e con le
modalità descritte al capo 2) dell'imputazione, ossia, limitatamente alla posizione
di CONTI/PIPINO, gli episodi del 16/07/2003, 28/07/2003, 10/08/2003,
25/08/2003, 15/09/2003, 18/09/2003, 6/09/2003 e 7/12/2003 (fatti commessi,
quanto al capo 2), dal marzo al dicembre 2003 in Venezia);
- quanto al ricorrente ZANE, oltre alla condotta descritta al capo 2), anche quella
di cui al capo 10) della rubrica, ossia per aver detenuto a ceduto a terzi, tra cui
Berton Luca e Michela Tiozzo, che a loro volta ne facevano smercio, imprecisati
ma, comunque, non modici quantitativi di eroina e cocaina (fatti commessi in
Venezia dal gennaio a novembre 2003, quanto al capo 10);
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
- quanto, infine, al ricorrente ZORZI, per aver, in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, illecitamente detenuto, al fine di farne commercio, sostanze
stupefacenti del tipo cocaina, che cedeva in due distinte occasioni a Penso
Andrea in quantitativi rispettivamente di sette e dieci grammi (fatti commessi in
Venezia tra il 17 ed il 20 gennaio 2003).
2.
Quanto ai singoli motivi di ricorso proposti da ciascuno dei ricorrenti, si
procede di seguito all'illustrazione degli stessi, enunciandoli nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.
Quanto al PIPINO, ricorrente personalmente, deduce, con un unico, articolato,
motivo, violazione a falsa applicazione dell'art. 192, comma 1 e 2 e 546, lett. E),
in relazione all'art. 606, lett. E), c.p.p., ossia vizio di contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione evincibile da elementi in violazione
esecutiva delle operazioni in riferimento all'art. 268 c.p.p. infratestuali e da
elementi extratestuali per contrasto con altri atti del processo; in sintesi, deduce
che, pur essendo vero che il PM può emettere personalmente il decreto ex art.
268 c.p.p., è altrettanto vero che le operazioni devono essere compiute
esclusivamente per mezzo degli impianti installati presso la Procura della
Repubblica (art. 90, disp. Att. C.p.p.). Trattandosi di intercettazione di
conversazioni tra presenti, il PM avrebbe dovuto emettere un decreto motivato
per l'esecuzione delle operazioni in impianti diversi da quelli installati presso la
Procura della Repubblica; la violazione, pur eccepita sia in primo grado che in
appello, sarebbe stata respinta, pur non esistendo in atti una minima
motivazione da parte del PM di avvalersi di impianti diversi da quelli installati
presso la Procura della Repubblica. Non vi sarebbe, poi, da un lato, alcuna
motivazione in ordine alle ragioni di urgenza che legittimavano l'esecuzione delle
operazioni fuori dai locali della Procura della Repubblica; dall'altro, non vi
sarebbe alcuna motivazione circa l'ulteriore requisito della inidoneità od
insufficienza degli impianti. Infine, vengono svolte alcune considerazioni sugli
errori giudiziari e sulle loro conseguenze per il condannato nonché, infine,
valutazione di ordine generale sui rapporti tra la commisurazione della pena, il
principio di legalità e l'esercizio del potere discrezionale del giudice nella
determinazione del trattamento sanzionatorio, con richiesta di annullamento con
rinvio della sentenza per la necessaria rivalutazione anche in punto di
determinazione della pena.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
4.
Quanto al CONTI, deduce, a mezzo del proprio difensore cassazionista, tre
motivi di ricorso, così di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
4.1.
Con un primo motivo, si deduce violazione di legge (art. 606, lett. B),
c.p.p.) in relazione all'art. 546 c.p.p. in combinato disposto con l'art. 125 c.p.p.;
in sintesi, vi sarebbe un'evidente discrasia tra il quantum di pena comminato
nella motivazione (anni dieci di reclusione) ed il quantum indicato in dispositivo
(anni dieci e mesi sei di reclusione); sul punto, i giudici d'appello avrebbero
erroneamente ritenuto prevalente la motivazione sul dispositivo, in quanto, nel
caso in cui vi è difformità tra motivazione e dispositivo circa la determinazione
della pena, deve accertarsi se tale difformità sia frutto di un errore di calcolo
ovvero di un preciso ragionamento logico - giuridico effettuato dai giudici di
primo grado. In tal senso, deduce il ricorrente, la volontà del giudice di prime
cure era quella di infliggere una sanzione più lieve, desumibile dal riferimento al
comportamento collaborativo del CONTI (pur non sfociato nell'applicazione
dell'attenuante di cui al comma 7 dell'art. 73 TU Stupefacenti). Ciononostante,
nel comminare la pena effettiva a titolo di aumento per la continuazione, si è
applicata una pena più grave al CONTI (due anni di reclusione se si tiene conto
del dispositivo o, se si vuol far prevalere la motivazione, due anni e mesi sei di
reclusione) che al ricorrente PIPINO (anni uno e mesi sei di reclusione), ciò che
dimostrerebbe che la diversa applicazione della pena è frutto non di un errore di
calcolo ma di un ben preciso ragionamento seguito dai giudici di merito.
4.2.
Con un secondo motivo, si deduce violazione di legge processuale (art. 606,
lett. c), e vizio di motivazione con riferimento all'art. 546 c.p.p. in relazione alla
presunta importazione di stupefacenti dall'Olanda; in sintesi, deduce il ricorrente
come in sede di appello veniva eccepita l'omessa motivazione, da parte dei
giudici di primo grado, dell'importazione di stupefacenti in concorso con il
HRUSTIC, rilevando la contraddittorietà delle versioni da quest'ultimo fornite con
quanto emerso in sede dibattimentale (in particolare, risulterebbe, si asserisce in
ricorso, che fu proprio il CONTI a riferire alla forze dell'ordine, dell'arrivo della
sostanza stupefacente dall'Olanda). La Corte d'appello, sul punto, si sarebbe
limitata a motivare "per relationem", richiamando le dichiarazioni accusatorie del
coimputato HAMIDOVIC, peraltro senza recepire criticamente quanto affermato
dai giudici di primo grado, come discenderebbe dalla circostanza per la quale, in
realtà, non di HAMIDOVIC si tratterebbe (essendo rimasto latitante), ma di
4
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HRUSTIC il quale, peraltro, avrebbe reso diverse versioni dei fatti, giungendo ad
escludere la responsabilità del CONTI.
4.3.
Con un terzo motivo, si deduce vizio di motivazione (art. 606, lett. E),
c.p.p.) per mancanza e illogica motivazione in merito all'omessa concessione
delle circostanze attenuanti generiche; in sostanza, la Corte lagunare, nel
confermare la decisione di prime cure, avrebbe motivato il diniego della
concedibilità delle attenuanti generiche ritenendo che i gravi e specifici
precedenti penali a carico del CONTI fossero "insuperabilmente" ostativi per la
concessione dell'art. 62 bis c.p. Difetterebbe, tuttavia, secondo il ricorrente,
qualsiasi motivazione sul punto, soprattutto laddove si consideri che, nei motivi
di appello, si indicavano una serie di elementi a sostegno della concedibilità delle
attenuanti generiche (comportamento processuale, costanti ammissione di
responsabilità per le condotte di spaccio, chiamate di correità effettuate).
Nessuna motivazione, diversamente, viene fornita dalla Corte per disattendere la
rilevanza di tali elementi, richiamandosi con formula di stile il riferimento ai gravi
e specifici precedenti penali. Vi sarebbe, inoltre, illogicità manifesta della
motivazione in quanto la Corte d'appello, pur riconoscendo che i giudici di prime
cure avevano tenuto adeguatamente conto del comportamento positivo del
CONTI senza operare l'aumento di pena per la recidiva specifica,
contraddittoriamente negano la concedibilità delle attenuanti generiche per la
personalità del CONTI in ragione dei precedenti penali.
5.
Quanto allo HRUSTIC, deduce, a mezzo del proprio difensore cassazionista,
due motivi di ricorso, così di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari
per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
5.1.
Con un primo motivo, si deduce vizio di motivazione (art. 606, lett. E),
c.p.p.) sub specie di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine
alla declaratoria di responsabilità ex art. 73 TU Stupefacenti (capo 2 della
rubrica); in sintesi, la difesa del ricorrente contesta che la responsabilità dello
HRUSTIC per l'importanza dall'Olanda di ingenti quantitativi di cocaina nel
periodo marzo/dicembre 2003 potesse ricavarsi dagli elementi indicati in
sentenza (esame dibattimentale dell'imputato; contenuto delle conversazioni
telefoniche intercettate; contenuto asseritamente confessorio delle dichiarazioni
rese al PM in sede di interrogatorio il 18/07/2004; successiva ritrattazione).
Deduce, in particolare, che né il giudice d'appello né quello di prime cure abbiano
dato atto di una serie di elementi (mancato sequestro di sostanza stupefacente;
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esito negativo della perquisizione eseguita sull'auto del HRUSTIC; nessuno dei
coimputati lo avrebbe mai accusato di aver importato cocaina od eroina
dall'Olanda), né avrebbero motivato sui punti sollevati in sede di appello
(valenza probatoria della ritrattazione; necessità di riscontri seri e consistenti
alla confessione; valenza accusatoria dei colloqui intercettati, mancato
rinvenimento di stupefacenti, mancata accusa degli altri coimputati).
5.2.
Con un secondo motivo, si deduce vizio di motivazione (art. 606, lett. E),
c.p.p., sub specie di mancanza di motivazione in ordine alla denegata
concessione delle circostanze attenuanti generiche; in sintesi, la Corte
territoriale, per rigettare la richiesta di concessione dell'art. 62 bis c.p., si
sarebbe limitata a richiamare la personalità negativa dell'imputato e la mancanza
di elementi concreti da poter valorizzare a favore dell'imputato, senza tener in
debito conto una serie di molteplici elementi a favore del ricorrente (all'iniziale
comportamento definito "ondivago" dell'imputato, era seguita una confessione
ritenuta attendibile su circostanze decisive). L'aver trascurato di attribuire alla
confessione il valore che merita costituirebbe un vero e proprio travisamento
delle risultanze processuali, e, comunque, non vi sarebbe alcuna spiegazione
logica ed adeguata delle ragioni che determinarono il convincimento della Corte
d'appello a negare le attenuanti generiche.
6.
Quanto all'HAMIDOVIC, deduce, a mezzo del proprio difensore cassazionista,
tre motivi di ricorso, così di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari
per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
6.1.
Con un primo motivo, si deduce vizio di motivazione (art. 606, lett. E),
c.p.p.) in relazione alle censure contenute nel motivo di appello n. 4 e nei nuovi
motivi di appello; in sintesi, la Corte si sarebbe limitata a richiamare i passaggi
argomentativi della motivazione della sentenza di primo grado, senza
argomentare analiticamente in merito all'infondatezza delle considerazioni svolte
dalla difesa, in particolare per quanto concerne la rispondenza degli elementi
indiziari ai requisiti previsti dall'art. 192 c.p.p. In particolare, viene richiamato il
contenuto di un'intercettazione telefonica (n. 2467 del 9/08/2003) valorizzata
dai giudici di merito quale prova del concorso del ricorrente HAMIDOVIC nella
condotta criminosa di importazione di stupefacente tra il HRUSTIC ed il CONTI;
sul punto, deduce il ricorrente, difetterebbe la motivazione dei giudici d'appello
in merito alla infondatezza o meno della specifica censura difensiva avente ad
oggetto la logicità della valutazione della prova per come desunta dalla predetta
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intercettazione intercorsa tra HAMIDOVIC e CONTI (in realtà, deduce il
ricorrente, vi sarebbe solo un'affermazione di stile, senza un esame nemmeno
sommario delle censure mosse dalla difesa nonché un richiamo "per relationem"
alla motivazione della sentenza di primo grado senza rendere conto delle
argomentazioni logico - deduttive poste a fondamento dell'interpretazione
dell'intercettazione telefonica in chiave probatoria della penale responsabilità
dell'HAMIDOVIC).
6.2.
Con un secondo motivo, si deduce violazione della legge penale con
riferimento all'art. 110 c.p. nonché illogicità della motivazione
"per relationem"
(art. 606, lett. B) ed e), c.p.p.); in sintesi, si precisa nel ricorso che, ove si
ritenesse sufficiente motivata la sentenza d'appello, si propone come autonomo
motivo di ricorso l'erronea applicazione dell'art. 110 c.p. quanto all'asserito
concorso dell'HAMIDOVIC ritenuto provato sulla base dell'interpretazione della
predetta telefonata intercettata, da cui, diversamente, sarebbe desumibile una
mera connivenza del ricorrente anziché un concorso nelle altrui illecite condotte
di importazione di sostanze stupefacenti (in sostanza, l'ipotetico contributo
causale del ricorrente alla condotta di importazione sarebbe desumibile, secondo
i giudici di merito, dalla risposta negativa data al Conti circa la presenza di
"documenti", ossia di stupefacente, a bordo dell'autovettura, risposta che
andrebbe "verosimilmente" ascritta alla volontà dell'HAMIDOVIC di tranquillizzare
il CONTI per evitare che questi compisse mosse azzardate; si contesta che
l'avverbio in questione possa essere ricondotto al requisito della certezza della
prova che, solo, avrebbe giustificato l'affermazione della responsabilità penale
dell'HAMIDOVIC). Conclusivamente, l'illogicità della motivazione quanto
all'affermazione della responsabilità a titolo di concorso del ricorrente, che
vizierebbe la sentenza di primo grado, si sarebbe trasmessa anche alla sentenza
d'appello, con conseguente violazione dell'art. 110 c.p.
6.3.
Con un terzo motivo, si deduce vizio di motivazione in relazione alle censure
contenute nel motivo di appello n. 5 relativo al trattamento sanzionatorio con
particolare riferimento alla richiesta delle attenuanti generiche e dell'attenuante
di cui all'art. 114 c.p. (art. 606, lett. E), c.p.p.); in sintesi, difetterebbe la
motivazione sulla concedibilità delle attenuanti generiche, in quanto il giudice
d'appello si sarebbe limitato solo a motivare sulla non concedibilità
dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., con conseguente assenza dell'indicazione
delle ragioni di fatto e di diritto per cui non è stato concesso il beneficio di cui
all'art. 62 bis c.p. invocato nei motivi di appello. Analoga censura, poi, è rivolta
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alla sentenza d'appello quanto alla "genericità" delle argomentazioni svolte in
relazione al diniego di concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p.,
riferendosi semplicemente la Corte di merito alla non ricorrenza dei presupposti
"anche alla luce della criticità sul punto dell'appello" per il riconoscimento della
detta diminuente: in sintesi, il richiamo alla "non ricorrenza dei presupposti" non
costituirebbe motivazione sufficiente, per la difesa del ricorrente, per negare la
concessione dell'attenuante in esame, laddove nessuna cripticità era addebitabile
al relativo motivo di appello sull'eccessività della pena ove, in forma implicita,
era stato indicata la ragione per la concessione di tale attenuante (ossia la
mancanza di prove certe in merito all'asserito ruolo che il Tribunale aveva
attribuito all'HAMIDOVIC nell'importazione dall'Olanda in Italia di più etti di
stupefacente).
7.
Quanto allo ZORZI, deduce, a mezzo del proprio difensore cassazionista, tre
motivi di ricorso, così di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
7.1.
Con un primo motivo, si deduce vizio di motivazione (art. 606, lett. E),
c.p.p.)
sub specie
della mancanza o mera apparenza della motivazione in ordine
al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento
ex art. 603 c.p.p. ai sensi dell'art. 606, lett. E), c.p.p.; in sintesi, evidenzia di
aver sollecitato con il primo motivo di appello la necessità del rinnovo dell'esame
testimoniale di tale PENSO Andrea, riservandosi di chiedere la rinnovazione
parziale dell'istruttoria dibattimentale quanto all'assunzione della testimonianza
di tale BIDOGIA Antonio, che avrebbe potuto deporre circa la diversa causale
dell'incontro tra ZORZI e PENSO (vendita di una pianola); in secondo luogo,
precisa di aver chiesto con atto depositato alla Corte d'appello la richiesta di
autorizzazione all'acquisizione del certificato del casellario giudiziale che quello
dei carichi pendenti del teste PENSO; infine, precisa di aver chiesto la
rinnovazione parziale dell'istruttoria mediante assunzione della testimonianza del
direttore della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore, circa l'effettiva
dislocazione delle celle occupate da ZORZI e PENSO nel periodo 12/14 agosto
2002, in quanto il PENSO aveva dichiarato di non aver mai conosciuto in carcere
in quel periodo lo ZORZI, mentre quest'ultimo affermava che all'epoca tutti i
detenuti erano concentrati in una sola ala del carcere in quanto erano in corso
lavori di restauro. Deduce, in riferimento a tali richieste, che la Corte territoriale
avrebbe fornito una motivazione che, neppure implicitamente, consentirebbe di
ritenerle rigettate, essendosi limitata la Corte lagunare ad affermare che le
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
doglianze di merito sull'attendibilità dell'unica prova a carico dello ZORZI
sarebbero state convincentemente e logicamente contrastate dal primo giudice,
aggiungendo con espressione criptica la frase "senza che per questo possano
riconoscersi sussistenti le condizioni per accogliere la richiesta di rinnovazione
dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p." (peraltro, difetterebbe qualsiasi
motivazione circa la richiesta di assumere la testimonianza del direttore del
carcere).
7.2.
Con un secondo motivo, si deduce violazione della legge processuale (art.
606, lett. C), c.p.p.),
sub specie
per l'art. 191 c.p.p. in relazione all'art. 63
c.p.p.; in sintesi, il testimone PENSO avrebbe reso più volte nel corso dell'esame
dibattimentale svoltosi il 12/05/2009 davanti al tribunale di Venezia dichiarazioni
auto indizianti in violazione dell'art. 63 c.p.p., senza che il giudice di primo grado
abbia provveduto ad interromperlo, con violazione dell'art. 191 c.p.p. e
conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste in questione.
7.3.
Con un terzo motivo, si deduce l'inosservanza o erronea applicazione
dell'art. 597, comma 3, c.p.p. (divieto di
reformatio in peius),
in relazione al
quantum
di aumento di pena individuato dal giudice ex art. 81, comma 2, c.p. ai
sensi dell'art. 606, lett. B), c.p.p.; in sintesi, si deduce che la Corte territoriale,
nell'accogliere la doglianza difensiva con cui si richiedeva la prevalenza
dell'attenuante ex art. 73, comma 5, TU Stupefacenti sulla contestata recidiva
specifica, riduceva la pena base, rideterminandola in anni due di reclusione ed C
4.000,00 di multa (laddove, in primo grado, la pena base era stata computata in
anni sei di reclusione ed C 26.000,00 di multa). Vi sarebbe, secondo la difesa del
ricorrente, un errore del giudice d'appello nel momento in cui ha operato, sulla
pena base come sopra individuata, l'aumento per la continuazione, in quanto,
mentre il primo giudice aveva applicato, a titolo di aumento per la continuazione,
la pena di un mese di reclusione ed C 1.000,00 di multa (irrogando come pena
finale quella di anni sei, mesi uno di reclusione ed C 27.000,00 di multa), il
giudice d'appello ha invece applicato, a titolo di aumento per la continuazione, la
pena di mesi quattro di reclusione ed C 1.000,00 di multa (irrogando come pena
finale di anni due e mesi quattro di reclusione ed C 5.000,00 di multa), così
violando l'art. 597, comma terzo, c.p.p., richiamando quanto affermato dalle
Sezioni Unite con la sentenza n. 40910/2005. Si chiede, dunque, annullamento
senza rinvio della sentenza, con aumento corretto a titolo di continuazione nella
misura di un mese di reclusione ed C 1.000,00 di multa, pena già applicata in
primo grado.
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8.
Quanto, infine, allo ZANE, deduce, a mezzo del proprio difensore
cassazionista, un unico, articolato, motivo di ricorso, così di seguito enunciato
nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.
8.1.
Con l'unico motivo, si deduce vizio di mancanza della motivazione (art. 606,
lett. E), c.p.p.), per aver la Corte d'appello confermato il giudizio di
responsabilità penale del ricorrente senza svolgere alcuna autonoma valutazione,
né di quanto affermato dai primi giudici, né di quanto censurato con l'atto di
appello; in sintesi, quanto alla posizione dello ZANE, la motivazione della Corte
lagunare sarebbe di mero stile, in quanto si limiterebbe a condividere
tout court
le ragioni espresse dalla Corte di primo grado, difettando qualsiasi critica
valutazione delle risultanze probatorie specifiche a carico del ricorrente. Rileva,
pertanto, che sarebbero rimaste senza risposta le censure su alcuni punti centrali
(non decisività delle intercettazioni telefoniche riferite alla ZANE; assenza di
episodi di cessione di stupefacente; qualità di assuntore di stupefacente all'epoca
dei fatti del ricorrente; mancanza di sequestri di sostanza stupefacente riferibili
al ricorrente), rispetto alle quali la motivazione della sentenza d'appello si
limiterebbe acriticamente a ratificare quanto affermato dalla Corte di primo
grado, senza alcuna valutazione autonoma.
Analogo vizio sarebbe riscontrabile, inoltre, quanto alla quantificazione della
pena, essendosi limitata la Corte d'appello genericamente a richiamare i criteri
degli artt. 133 ed 81, cpv. c.p. e la mancata applicazione dell'aumento di pena
per la contestata recidiva, per ritenerne la congruità; diversamente, poiché dagli
atti emergerebbe che i contatti telefonici apparirebbero finalizzati solo alla
cessione di poche dosi, con conseguente attribuzione al ricorrente di una
posizione marginale, i fatti sarebbero stati riconducibili alla fattispecie attenuata
di cui al comma 5 dell'art. 73 TU Stupefacenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
9.
I ricorsi sono in parte inammissibili (PIPINO, HRUSTIC e ZANE) ed in parte
fondati (ZORZI, CONTI ED HAMIDOVIC), nei limiti di cui si dirà appresso.
10.
E', anzitutto, inammissibile l'unico motivo di ricorso proposto personalmente
dal PIPINO (violazione a falsa applicazione dell'art. 192, comma 1 e 2 e 546, lett.
E), in relazione all'art. 606, lett. E), c.p.p., ossia vizio di contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione evincibile da elementi in violazione
10
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
esecutiva delle operazioni in riferimento all'art. 268 c.p.p. infratestuali e da
elementi extratestuali per contrasto con altri atti del processo), perché
manifestamente infondato. Ed invero, a dispetto dell'aspetto formale della
censura riguardante vizio di motivazione, in realtà investe una violazione di
legge, ossia l'esercizio del potere del PM ex art. 268 c.p.p., quanto alla
sussistenza delle ragioni di urgenza e dell'insufficienza ed inidoneità degli
impianti esistenti presso la Procura della Repubblica al fine di legittimare
l'esecuzione delle operazioni all'esterno della Procura medesima. Sulla questione,
peraltro, il giudice d'appello si sofferma, aderendo, condividendole, (v. pag. 8
impugnata sentenza) alle argomentazioni svolte dal primo giudice (contenute, a
loro volta a pag. 8 della sentenza di primo grado, in cui si sottolinea come il PM
avesse puntualmente motivato, con il decreto emesso ex art. 268 c.p.p., le
ragioni giustificatrici della scelta di collocare l'ascolto al di fuori delle postazioni
della Procura della Repubblica ma presso la Questura di Venezia: a) consentire
un intervento della Polizia in tempi rapidi; b) peculiarità logistiche della città di
Venezia; c) collocazione della Procura della Repubblica, lontana da vie di
comunicazione stradali e ferroviarie; d) necessità di effettuare un pronto
intervento nel corso di indagini relativi a reati in materia di stupefacenti),
richiamando, nel contempo, l'orientamento giurisprudenziale di legittimità che ha
ravvisato una possibile giustificazione nella tipologia di indagine necessaria
all'accertamento dei fatti, profilo che è quello esattamente posto in luce nel caso
in esame.
Orbene, è evidente, a giudizio del Collegio, che la circostanza di essersi riferito il
PM procedente alla circostanza per la quale, tra le ragioni legittimanti il ricorso
ad impianti esterni vi fosse la particolare collocazione dei locali della Procura
della Repubblica, lontana da vie di comunicazione stradali e ferroviarie, ciò che
rendeva inidonei i relativi locali all'esecuzione delle operazioni di intercettazione,
soddisfa quel particolare requisito della quanto alla "insufficienza o alla
inidoneità
degli impianti" della procura della Repubblica, avendo il PM adeguatamente
specificato la ragione della insufficienza o della inidoneità, mediante una
indicazione sintetica con cui si è dato conto del fatto storico, ricadente
nell'ambito dei poteri di cognizione del P.M., che ha dato causa ad essa (v., in tal
senso, per tutte: Sez. U, n. 919 del 26/11/2003 - dep. 19/01/2004, Gatto, Rv.
226487). Analogamente è a dirsi, poi, per quanto concerne, l'ulteriore requisito
dell'esistenza di "eccezionali ragioni di urgenza" che rendevano necessaria la
"delocalizzazione" dell'esecuzione delle operazioni di intercettazione presso
impianti esterni alla Procura della Repubblica. Sul punto, come emerge dalla
decisione di primo grado, cui si richiama il giudice d'appello "per relationem", è
11
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
chiaro che tale "delocalizzazione" venne disposta proprio perché consentiva di di
effettuare un pronto intervento nel corso di indagini relativi a reati in materia di
stupefacenti, tant'è che - si legge nella sentenza di primo grado - in
un'occasione (arresto SILVESTRINI, 25/08/2003), proprio la vicinanza della
postazione di intercettazione ebbe a rivelarsi determinante al fine di consentire
l'immediato recupero di un plico di droga e l'arresto di due imputati. Ed è
pacifico, sotto tale profilo, che la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza
richieste dall'art. 268, comma terzo, cod. proc. pen., per l'esecuzione delle
operazioni mediante l'impiego di apparecchiature diverse da quelle installate
presso gli uffici della procura può desumersi anche implicitamente dallo stesso
contesto del processo e dalla natura delle imputazioni (Sez. 6, n. 49754 del
21/11/2012 - dep. 20/12/2012, Casulli e altri, Rv. 254101, fattispecie relativa ad
un'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, come nel
caso in esame, essendo stata disposta l'attività di indagine anche il reato di cui
all'art. 74 TU Stupefacenti, rubricato come capo 1), definito con esito assolutorio
per tutti gli imputati).
Ne discende, dunque, la manifesta infondatezza del motivo, avendo
puntualmente ed adeguatamente motivato, senza alcuna illogicità manifesta o
contraddittorietà, sia il giudice di appello che quello di primo grado, circa la
doglianza difensiva in ordine all'asserita violazione dell'art. 268 c.p.p.
11. Quanto ai tre motivi di ricorso proposti dal CONTI, si rileva quanto segue.
11.1. E', anzitutto, fondato, seppure con le precisazioni che seguono, il primo
motivo di ricorso (violazione di legge (art. 606, lett. B), c.p.p.) in relazione
all'art. 546 c.p.p. in combinato disposto con l'art. 125 c.p.p., circa l'evidente
discrasia tra il
quantum
di pena comminato nella motivazione (anni dieci di
reclusione) ed il
quantum
indicato in dispositivo (anni dieci e mesi sei di
reclusione, avendo i giudici d'appello ritenuto prevalere il dispositivo sulla
motivazione), atteso che il giudice d'appello è incorso in errore nel ritenere
prevalente il dispositivo sulla motivazione. Nel caso in esame, invece, dalla
lettura della sentenza di primo grado (v. pag. 54), è evidente che il tribunale, nel
determinare la pena applicabile al CONTI, ebbe ad indicare la pena base in anni
8 di reclusione ed C 45.000,00 aumentandola, a titolo di continuazione, ad anni
dieci di reclusione ed C 60.000,00 di multa; che questa (e non quella in
dispositivo indicata, ossia anni dieci
e mesi sei
di reclusione ed C 60.000,00 di
multa) fosse la corretta quantificazione della pena, emerge chiaramente dal
ragionamento logico operato dal giudice di primo grado, che, operando una
12
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
comparazione con la posizione del coimputato PIPINO, chiarisce implicitamente
di aver proceduto a determinare la pena per il CONTI in misura inferiore a quella
irrogata al PIPINO in quanto,a differenza di quest'ultimo, il CONTI aveva
manifestato un atteggiamento di collaborazione che, pur non sfociando nel
riconoscimento dell'attenuante di cui al comma 7 dell'art. 73 TU Stupef.,
consentiva la graduazione della pena.
Ritiene, conclusivamente, il Collegio di aderire nel caso in esame
all'orientamento di questa Corte il quale afferma che, in caso di difformità, il
criterio secondo cui il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza,
incontra una deroga nel caso in cui la difformità dipenda da un errore materiale
relativo alla pena indicata in dispositivo, palesemente rilevabile dall'esame della
motivazione in cui si ricostruisca chiaramente ed inequivocabilmente il
procedimento seguito dal giudice per determinare la pena, circostanza
verificatasi nel caso in esame (v., tra le tante: Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007 -
dep. 17/10/2007, Tafuro, Rv. 237828). Ne consegue, pertanto, che prevalendo
in tal caso la motivazione sul dispositivo, si giustifica l'annullamento senza rinvio
della sentenza ex art. 620, lett. L) e 621 c.p.p., limitatamente alla
determinazione della pena detentiva, che viene rideterminata da questa Corte in
anni dieci di reclusione, ferma restando la pena pecuniaria irrogata di C
60.000,00 di multa.
11.2. E'
infondato, diversamente, il secondo motivo di ricorso (violazione di
legge processuale (art. 606, lett. c), e vizio di motivazione con riferimento all'art.
546 c.p.p. in relazione alla presunta importazione di stupefacenti dall'Olanda).
Sul punto, infatti, è sufficiente richiamare quanto emerge dalla motivazione della
sentenza d'appello (v. pag. 9) e dalla sentenza di primo grado (v. pagg. 12/19)
cui la prima opera rinvio "per relationem", senza limitarsi, tuttavia, ad un acritico
recepimento dei relativi contenuti, ma svolgendo autonome considerazioni
mediante una revisione critica della precedente pronuncia alla stregua degli
argomenti originariamente svolti dall'appellante, a sostegno delle ragioni
dell'affermazione di responsabilità per i fatti contestati, attraverso il richiamo alle
dichiarazioni confessorie del medesimo, ai numerosi e concordanti elementi di
riscontro evidenziati dai giudici di primo grado, specificamente riguardanti la
contestata complicità nell'attività di importazione di stupefacenti dall'Olanda.
Frutto di evidente errore materiale è, peraltro, il riferimento, contenuto nella
motivazione della sentenza d'appello, alle dichiarazioni accusatorie del
coimputato HAMIDOVIC, essendo evidente, proprio dal richiamo alle pagine della
sentenza di prime cure (pag. 31 e segg.), che non di quest'ultimo imputato di
13
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
trattasse ma del coimputato HRUSTIC, cui in effetti è dedicata l'analisi delle
pagine indicate. Proprio la lettura dei passaggi motivazionali di cui alle pagine
indicate, del resto, consente chiaramente di focalizzare l'attenzione dedicata dai
primi giudici, che la Corte lagunare mostra di condividere, all'analisi in termini di
attendibilità e credibilità delle dichiarazioni (auto ed etero) accusatorie del
HRUSTIC nei confronti del CONTI, il rigoroso esame delle ragioni che rendevano
inattendibile la successiva ritrattazione e l'analisi degli elementi di riscontro circa
il coinvolgimento del CONTI nelle vicende relative all'importazione degli
stupefacenti dall'Olanda.
11.3.
Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso del CONTI (vizio di
motivazione (art. 606, lett. E), c.p.p.) per mancanza e illogica motivazione in
merito all'omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche), fondato
sulla circostanza per la quale la Corte d'appello, nel confermare la decisione di
prime cure, avrebbe motivato il diniego della concedibilità delle attenuanti
generiche ritenendo che i gravi e specifici precedenti penali a carico del CONTI
fossero "insuperabilmente" ostativi per la concessione dell'art. 62 bis c.p.
Sul punto, nessuno dei prospettati vizi risulta emergere dalla lettura della
motivazione dell'impugnata sentenza, atteso che è pacifico nella giurisprudenza
di questa Corte che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (v.,
ex
multis:
Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv.
248244). Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle
attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento ai gravi e specifici
precedenti dell'imputato, ritenendoli "insuperabilmente" ostativi per la
concessione dell'art. 62 bis c.p., ciò che integra motivazione adeguata, congrua e
logica, a dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente. L'indicazione, da parte del
ricorrente, degli "indici di concedibilità" in concreto delle attenuanti generiche
(comportamento processuale; costanti ammissione di responsabilità per le
condotte di spaccio; chiamate di correità effettuate), costituiscono deduzioni di
fatto che peraltro non tengono conto della giurisprudenza di questa Corte che è
altrettanto costante nell'evidenziare che, nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
14
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e
altri, Rv. 248244). La concessione o meno delle attenuanti generiche rientra,
infatti, nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il
cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva
del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010 - dep.
23/11/2010, Straface, Rv. 248737), così come ha correttamente fatto la Corte
territoriale nel caso di specie.
12.
Quanto ai due motivi di ricorso dello HRUSTIC, si osserva quanto segue.
12.1.
E' manifestamente infondato il primo motivo (vizio di motivazione (art.
606, lett. E), c.p.p.)
sub specie
di mancanza e manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla declaratoria di responsabilità ex art. 73 TU
Stupefacenti, quanto al capo 2 della rubrica), in quanto attraverso la censura
proposta, il ricorrente tenta di imporre a questa Corte una (vietata) rilettura
degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, prospettando una
diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., nel senso
dell'insindacabilità del c.d. travisamento del fatto, tra le tante: Sez. 2, n. 23419
del 23/05/2007 - dep. 14/06/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893).
Ed invero, le circostanze evocate dal ricorrente (mancato sequestro di sostanza
stupefacente; esito negativo della perquisizione eseguita sull'auto del HRUSTIC;
nessuno dei coimputati lo avrebbe mai accusato di aver importato cocaina od
eroina dall'Olanda; valenza probatoria della ritrattazione; necessità di riscontri
seri e consistenti alla confessione; valenza accusatoria dei colloqui intercettati),
dedotte con l'evidente intento di proporre una diversa ricostruzione dei fatti e, di
riflesso, una diversa qualificazione giuridica dei medesimi, sono state a ragione
trascurate dalla Corte di merito perché inidonee ad avvalorare la diversa
ricostruzione pretesa.
La responsabilità dello HRUSTIC per l'importazione dall'Olanda di ingenti
quantitativi di cocaina nel periodo marzo/dicembre 2003 viene, infatti, con
motivazione adeguata, logica e coerente, dai numerosi elementi indicati (esame
dibattimentale dell'imputato; contenuto delle conversazioni telefoniche
intercettate; contenuto confessorio delle dichiarazioni rese al PM in sede di
interrogatorio il 18/07/2004; successiva ritrattazione), cui peraltro si aggiungono
le puntuali argomentazioni svolte dai primi giudici a sostegno dell'affermazione
della responsabilità del ricorrente (v. pag. 31/34).
15
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
12.2.
E' parimenti manifestamente infondato il secondo motivo (vizio di
motivazione
ex
art. 606, lett. E), c.p.p.,
sub specie
di mancanza di motivazione
in ordine alla denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche), per
le medesime ragioni già esposte in relazione all'analogo motivo di ricorso
proposto dal ricorrente CONTI.
In sintesi, la Corte territoriale, per rigettare la richiesta di concessione dell'art.
62 bis c.p. allo HRUSTIC, si sarebbe limitata a richiamare la personalità negativa
dell'imputato e la mancanza di elementi concreti da poter valorizzare a favore
dell'imputato.
Sul punto, l'asserito vizio di motivazione non risulta emergere dalla lettura della
motivazione dell'impugnata sentenza, atteso che è pacifico nella giurisprudenza
di questa Corte che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (v.,
ex
multis:
Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv.
248244). Nella fattispecie, come detto, la Corte ha ritenuto giustificato il diniego
delle attenuanti generiche, motivato con riferimento alla mancanza di elementi
concreti da poter valorizzare a favore dell'imputato (cui, peraltro, deve
aggiungersi quanto evidenziato dal primo giudice - v. pag. 54 - che ebbe a
ritenere che l'atteggiamento negatorio tenuto in udienza, sostanziatosi
nell'elaborazione di una versione mendace, ciò che non consentiva una
valutazione positiva), ciò che integra motivazione adeguata, congrua e logica, a
dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente. Ed invero, come autorevolmente
sostenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai fini del riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta
l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a
tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del
fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la
condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione è indubbiamente
valutabile da parte del giudice di merito (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012 - dep.
20/09/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253152, relativo a attispecie nella quale il diniego
delle predette circostanze attenuanti era stato motivato evidenziando il
censurabile comportamento processuale dell'imputato, improntato a reticenza ed
ambiguità): nel caso dello HRUSTIC, il ricorrente aveva elaborato una versione
mendace, ciò che giustificava la non concedibilità delle attenuanti generiche.
16
k
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
D'altra parte, l'indicazione, da parte del ricorrente, degli "indici di concedibilità"
in concreto delle attenuanti generiche (all'iniziale comportamento definito
"ondivago" dell'imputato, era seguita una confessione ritenuta attendibile su
circostanze decisive), costituisce una deduzione di fatto che peraltro non tiene
conto della giurisprudenza di questa Corte che è altrettanto costante
nell'evidenziare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6,
n. 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244). La
concessione o meno delle attenuanti generiche rientra, infatti, nell'ambito di un
giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve
essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua
valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla
personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010 - dep. 23/11/2010,
Straface, Rv. 248737), così come ha correttamente fatto la Corte territoriale nel
caso di specie.
13.
Quanto ai tre motivi di ricorso dell'HAMIDOVIC, si osserva quanto segue.
13.1.
E' anzitutto infondato il primo motivo (vizio di motivazione ex art. 606,
lett. E), c.p.p., in relazione alle censure contenute nel motivo di appello n. 4 e
nei nuovi motivi di appello), con cui si deduce, in sintesi, che la Corte si sarebbe
limitata a richiamare i passaggi argomentativi della motivazione della sentenza di
primo grado, senza argomentare analiticamente in merito all'infondatezza delle
considerazioni svolte dalla difesa, in particolare per quanto concerne la
rispondenza degli elementi indiziari ai requisiti previsti dall'art. 192 c.p.p. (il
riferimento, in particolare, è all'interpretazione del contenuto di
un'intercettazione telefonica rilevante per l'affermazione di responsabilità
dell'imputato).
Deve, sul punto, rilevarsi che è inammissibile il motivo in cui si deduca la
violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e
546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l'omessa o erronea
valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva
atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro
istruttorio, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla
motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod.
17
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'art. 606,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi
dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (v., da
ultimo: Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 - dep. 20/11/2012, Cimini e altri, Rv.
254274). Dalla lettura della sentenza impugnata, diversamente, seppure nella
sinteticità dell'apparato motivazionale, è evidente come il giudice d'appello non
solo fosse pienamente a conoscenza delle ragioni del provvedimento di
riferimento, ma che le abbia ritenute coerenti alla propria decisione,
condividendole e precisando, sul punto - così operando quel riesame critico della
decisione di prime cure alle cui motivazioni "fondate" rinvia qualificandole come
"sufficientemente argomentate ed approfondite" (v. pagg. 34/36), così
mostrando di tener conto delle censure dedotte con i motivi di appello - che la
convergenza degli elementi probatori a carico del ricorrente non era scalfita dalla
mancanza di un atto formale di riconoscimento e/o individuazione personale del
medesimo.
Peraltro, con riferimento alla questione riguardante l'interpretazione del
contenuto dell'intercettazione evocata (n. 2467), deve ricordarsi che, in sede di
legittimità, è possibile prospettare un'interpretazione del significato di
un'intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in
presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito
ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità
risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012 - dep.
22/03/2012, Asaro, Rv. 252190). Ciò, diversamente, non è avvenuto nel caso di
specie, attesochè l'interpretazione della telefonata intercettata operata dal
giudice di merito (v. pag. 35, ove si fa riferimento all'assenza di un significato
alternativo plausibile riferito al termine "documenti"), non appare certamente
illogica ma rispondente all'esegesi operata dal tribunale (nel senso che il
riferimento ai documenti fosse in realtà riferibile allo stupefacente trasportato
sull'autovettura).
13.2.
E', analogamente, infondato il secondo motivo (violazione della legge
penale con riferimento all'art. 110 c.p. nonché illogicità della motivazione
"per
relationem"
(art. 606, lett. B) ed e), c.p.p.).
In sintesi, si deduce che, ove si ritenesse sufficientemente motivata la sentenza
d'appello, vi sarebbe comunque l'erronea applicazione dell'art. 110 c.p. quanto
all'asserito concorso dell'HAMIDOVIC, ritenuto provato in sede di merito sulla
base dell'interpretazione della predetta telefonata intercettata, da cui,
18
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
diversamente, sarebbe desumibile una mera connivenza del ricorrente anziché
un concorso nelle altrui illecite condotte d'importazione di sostanze stupefacenti.
Sulla censura di illogicità della motivazione
"per relationem",
valga quanto a
proposito già esposto con riferimento al primo motivo. Dalla lettura della
sentenza impugnata, infatti, seppure nella sinteticità dell'apparato motivazionale,
è evidente come il giudice d'appello non solo fosse pienamente a conoscenza
delle ragioni del provvedimento di riferimento, ma che le abbia ritenute coerenti
alla propria decisione, condividendole, così operando quel riesame critico della
decisione di prime cure alle cui motivazioni "fondate" rinvia qualificandole come
"sufficientemente argomentate ed approfondite" (v. pagg. 34/36) e, dunque,
mostrando di tener conto delle censure dedotte con i motivi di appello. Proprio il
rinvio alla motivazione di primo grado (v., in particolare, pag. 35), consente di
prendere cognizione delle ragioni che avevano indotto il primo giudice a
escludere l'ipotesi della mera connivenza, quanto, piuttosto, del pieno concorso
nell'importazione dello stupefacente (contenuti indizianti delle conversazioni
intercettate; ricorrenza dei colloqui intrattenuti con l'acquirente Conti; ruolo di
referente riconosciutogli, per facta condudentia,
dal medesimo Conti).
In merito, poi, al corretto riconoscimento della condotta concorsuale
dell'HAMIDOVIC, premesso che la distinzione tra connivenza non punibile e
concorso nel delitto va individuata nel fatto che solo la prima postula che
l'agente mantenga un comportamento meramente passivo (v., sulla distinzione,
da ultimo: Sez. 1, n. 40248 del 26/09/2012 - dep. 12/10/2012, P.G. in proc.
Mazzotta e altro, Rv. 254735), ritiene questo Collegio che le circostanze
evidenziate in sentenza (a pag. 35 della sentenza di primo grado, si rileva come
questi abbia fornito appoggio logistico al cognato HRUSTIC, ospitandolo durante
la trasferta finalizzata a rifornirsi di droga, utilizzi il suo telefono, attraverso il
medesimo apparato riceva il codice del vaglia necessario per finanziare l'acquisto
di stupefacente; HAMIDOVIC, ancora, mantiene contatti telefonici plurimi e
significativi con il Conti), costituiscono indubbio apporto concorsuale al reato in
questione, essendo evidente, sia l'elemento soggettivo, consistente nella
consapevolezza di apportare un contributo causale all'importazione dello
stupefacente, sia quello oggettivo della connessione tra condotta ed evento.
13.3.
E', invece, fondato il terzo motivo di ricorso (vizio di motivazione, in
relazione alle censure contenute nel motivo di appello n. 5 relativo al
trattamento sanzionatorio con particolare riferimento alla richiesta delle
attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., ex art. 606, lett.
E), c.p.p.).
19
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ed invero, deduce il ricorrente il difetto di motivazione sulla concedibilità delle
attenuanti generiche, in quanto il giudice d'appello si sarebbe limitato solo a
motivare sulla non concedibilità dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., con
conseguente assenza dell'indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per cui non
è stato concesso il beneficio di cui all'art. 62 bis c.p. invocato nei motivi di
appello. La censura è fondata, posto che - a fronte dello specifico motivo di
censura dedotto in appello - nulla è rinvenibile nella motivazione del giudice di
secondo grado, che, nel richiamare la quantificazione della pena irrogata, la
ritiene pienamente conforme ai criteri dell'art. 133 c.p., senza svolgere alcuna
argomentazione con riferimento alle ragioni per le quali non sono state ritenute
concedibili le invocate attenuanti generiche, né, del resto, alcun argomento è
possibile trarre
"per relationem"
dalla sentenza del primo giudice.
Parimenti, va accolta l'ulteriore censura relativa alla "genericità" delle
argomentazioni svolte in relazione al diniego di concessione dell'attenuante di cui
all'art. 114 c.p., essendosi riferita semplicemente la Corte di merito alla non
ricorrenza dei presupposti "anche alla luce della cripticità sul punto dell'appello"
per il riconoscimento della detta diminuente. Ed invero, è stato già affermato da
questa Corte, che allorché l'imputato abbia richiesto l'applicazione della
circostanza attenuante prevista dall'art. 114 cod. pen., il giudice è tenuto a
motivare sulla sua mancata concessione, a nulla rilevando che si tratta di
circostanza di natura facoltativa (Sez. 2, n. 2783 del 26/09/1991 - dep.
16/03/1992, P.G. e Romano, Rv. 189385). Questo Collegio è, peraltro,
consapevole dell'esistenza di un contrario orientamento (Sez. 6, n. 22456 del
03/03/2008 - dep. 05/06/2008, Zito e altro, Rv. 240364), secondo cui non
sussisterebbe il dovere di una motivazione esplicita in ordine alla sua mancata
concessione, nel caso in cui il giudice abbia posto in evidenza la gravità del fatto
in relazione a tutti gli imputati, non operando alcuna distinzione tra il grado di
efficienza causale delle condotte rispettivamente poste in essere rispetto alla
produzione dell'evento. Tale principio, peraltro, risulta essere stato espresso in
relazione ad una particolare fattispecie relativa al concorso in furto aggravato di
un'autovettura, in cui venne ritenuta corretta la motivazione con cui la Corte
d'appello, anche attraverso il diniego delle attenuanti generiche, aveva
implicitamente negato la configurabilità dell'attenuante di cui all'art. 114 cod.
pen. Nel caso in esame, invece, come già visto, nessuna motivazione era stata
addotta dalla Corte d'appello in ordine alla concedibilità o meno dell'art. 62 bis
c.p., sicchè il principio espresso dall'ultimo orientamento richiamato non risulta
applicabile. Né, peraltro, il richiamo all'apparente cripticità del motivo di appello,
risulta adeguato a fondare una motivazione sufficiente rispetto alla censura
20
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
difensiva, posto che, se è vero che l'ammissibilità dell'atto di impugnazione
dipende dal tasso di determinatezza dei motivi che la sostengono, è altrettanto
vero che la valutazione del motivo di impugnazione deve essere volta ad
accertare la chiarezza e specificità dei medesimi in rapporto ai principi della
domanda, della devoluzione e del diritto di difesa dei contro interessati (v., sul
punto: Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008 - dep. 28/10/2008, Falcioni ed altri, Rv.
241477). Nel caso in esame, il motivo d'appello, pur implicitamente, ma
chiaramente, aveva indicato il presupposto oggettivo su cui ancorare l'invocata
attenuante, ossia la mancanza di prove certe in merito all'asserito ruolo che il
giudice di prime cure aveva attribuito al ricorrente nell'importazione dall'olanda
di più etti di stupefacente.
Segue, pertanto, l'annullamento della decisione impugnata, limitatamente
all'omessa motivazione sul motivo di censura in ordine alla concedibilità o meno
delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p.,
con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia.
14. Quanto ai tre motivi di ricorso dello ZORZI, si osserva quanto segue.
14.1.
E' infondato il primo motivo, con cui si deduce vizio di motivazione (art.
606, lett. E), c.p.p.)
sub specie
della mancanza o mera apparenza della
motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione
parziale del dibattimento ex art. 603 c.p.p. ai sensi dell'art. 606, lett. E), c.p.p.),
sotto tre diversi profili: a) necessità del rinnovo dell'esame testimoniale di tale
PENSO Andrea, riservandosi di chiedere la rinnovazione parziale dell'istruttoria
dibattimentale quanto all'assunzione della testimonianza di tale BIDOGIA
Antonio, che avrebbe potuto deporre circa la diversa causale dell'incontro tra
ZORZI e PENSO (vendita di una pianola); b) con atto depositato alla Corte
d'appello era stata richiesta l'autorizzazione all'acquisizione del certificato del
casellario giudiziale che quello dei carichi pendenti del teste PENSO; c) richiesta
di rinnovazione parziale dell'istruttoria mediante assunzione della testimonianza
del direttore della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore, circa l'effettiva
dislocazione delle celle occupate da ZORZI e PENSO nel periodo 12/14 agosto
2002, in quanto il PENSO aveva dichiarato di non aver mai conosciuto in carcere
in quel periodo lo ZORZI, mentre quest'ultimo affermava che all'epoca tutti i
detenuti erano concentrati in una sola ala del carcere in quanto erano in corso
lavori di restauro.
Sul punto, è sufficiente richiamare quanto emerge dalla motivazione della
sentenza impugnata (v. pag. 14), in cui la Corte, seppure nella sinteticità
21
)(
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dell'apparato motivazionale, argomenta adeguatamente, in maniera congrua
logica e coerente, sulle ragioni che hanno indotto la Corte ad escludere la
necessità della rinnovazione ex art. 603 c.p.p. in ordine all'assunzione del teste
PENSO, l'attendibilità delle cui dichiarazioni
contra reum
era già stata
positivamente vagliata dal primo giudice (le cui motivazioni, sul punto, contenute
alle pagg. 48/50, la Corte lagunare mostra di condividere, richiamandole).
Sul punto, rileva il Collegio come, versandosi nell'ipotesi di cui al comma primo
dell'art. 603 c.p.p., può senza dubbio essere prospettato il vizio di motivazione
previsto dalla lett. e) dell'art. 606 c.p.p. Sul punto, peraltro, si è già detto come
la Corte d'appello, aderendo, condividendola, alla motivazione del primo giudice,
nel ritenere attendibili le dichiarazioni del Penso, ha escluso che sussistessero le
condizioni per accogliere la richiesta di rinnovazione dibattimentale ex art. 603
c.p.p., il che, in altri termini, si traduce nell'aver valutato implicitamente in
termini negativi l'esistenza di quella condizione imposta dall'art. 603 citato
("il
giudice se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti,
dispone").
Quanto all'ulteriore censura relativa alla mancata acquisizione dei certificati del
casellario giudiziali e dei carichi pendenti, richiesta anche ex art. 603 c.p.p., la
stessa dev'essere parimenti disattesa, in considerazione del principio già
affermato da questo Corte, cui il Collegio non intende discostarsi, secondo cui la
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello non può consistere nella
sola acquisizione di sentenze e certificati del casellario giudiziario funzionale alla
valutazione della credibilità di un testimone le cui dichiarazioni sono già state
assunte in primo grado (Sez. 2, n. 19693 del 20/05/2010 - dep. 25/05/2010,
Dell'Anna, Rv. 247056).
Infine, circa l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di assunzione della
testimonianza del direttore della casa circondariale, è sufficiente rilevare che,
trattandosi di rigetto della richiesta, la relativa motivazione può essere anche
implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di
merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in
senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di
necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009 - dep.
21/04/2010, Pacini, Rv. 246859). Orbene, sul punto, proprio dal complesso del
percorso motivazionale della sentenza d'appello, è possibile trarre sufficienti
elementi per valutare in senso positivo la responsabilità del ricorrente alla luce
delle dichiarazioni, ritenute attendibili dalla Corte lagunare, del teste Penso, con
la conseguente mancanza della necessità di rinnovare il dibattimento.
22
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
14.2.
E' infondato il secondo motivo, con cui si deduce violazione della legge
processuale (art. 606, lett. C), c.p.p.),
sub specie
per l'art. 191 c.p.p. in
relazione all'art. 63 c.p.p., in quanto il testimone PENSO avrebbe reso più volte
nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi il 12/05/2009 davanti al tribunale di
Venezia dichiarazioni auto indizianti in violazione dell'art. 63 c.p.p., senza che il
giudice di primo grado avesse provveduto ad interromperlo, con violazione
dell'art. 191 c.p.p. e conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste
in questione.
Trattasi di eccezione, infatti, con cui il ricorrente chiede in sostanza di dichiarare
inutilizzabili le dichiarazioni "auto indizianti" rese dal Penso, ossia per la parte in
cui contengono elementi da potevano emerge profili di responsabilità a carico del
medesimo dichiarante. Sul punto rileva il Collegio che la questione
dell'inutilizzabilità per violazione del divieto di assumere dichiarazioni, senza le
necessarie garanzie difensive, da chi sin dall'inizio doveva essere sentito in
qualità di imputato o indagato, non può essere proposta per la prima volta in
sede di legittimità se richiede - come nel caso in esame - valutazioni di fatto su
cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito
(Sez. 6, n. 21877 del 24/05/2011 - dep. 01/06/2011, C. e altro, Rv. 250263).
14.3.
E', invece, fondato il terzo motivo, con cui si deduce l'inosservanza o
erronea applicazione dell'art. 597, comma 3, c.p.p. (divieto di
reformatio in
peius),
in relazione al
quantum
di aumento di pena individuato dal giudice ex art.
81, comma 2, c.p. ai sensi dell'art. 606, lett. B), c.p.p.
Ed invero, la Corte territoriale, nell'accogliere la doglianza difensiva con cui si
richiedeva la prevalenza dell'attenuante ex art. 73, comma 5, TU Stupefacenti
sulla contestata recidiva specifica, riduceva la pena base, rideterminandola in
anni due di reclusione ed C 4.000,00 di multa (laddove, in primo grado, la pena
base era stata computata in anni sei di reclusione ed C 26.000,00 di multa).
E' palese l'errore, in quanto, mentre il primo giudice aveva applicato, a titolo di
aumento per la continuazione, la pena di un mese di reclusione ed C 1.000,00 di
multa (irrogando come pena finale quella di anni sei, mesi uno di reclusione ed C
27.000,00 di multa), la Corte territoriale ha invece applicato, a titolo di aumento
per la continuazione, la pena di mesi quattro di reclusione ed C 1.000,00 di
multa (irrogando come pena finale di anni due e mesi quattro di reclusione ed C
5.000,00 di multa), così violando l'art. 597, comma terzo, c.p.p.
Come già autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, nel giudizio di appello, il
divieto di reformatio in peius
della sentenza impugnata dall'imputato non
riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che
23
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concorrono alla sua determinazione (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005 - dep.
10/11/2005, William Morales, Rv. 232066): ne consegue, quindi, che,
nell'effettuare il giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza (anziché in
termini di equivalenza, come operato dal primo giudice) tra circostanze
eterogenee, e per l'effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in
precedenza (art. 597 comma quarto cod.proc.pen.), non può determinare la
pena, a titolo di aumento per la continuazione, in misura superiore rispetto a
quella determinata in primo grado (v., peraltro, in senso conforme: Sez. 6, n.
33007 del 30/04/2005 - dep. 07/09/2005, Barivelo ed altri, Rv. 231657).
Deve, pertanto, disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
limitatamente alla determinazione della pena inflitta al ricorrente ZORZI, che, a
norma dell'art. 620, lett. I) e 621 c.p.p., questa Corte ridetermina nella misura
finale di anni due e mesi uno di reclusione ed C 5.000,00 di multa (p.b. anni due
di reclusione ed C 4.000,00 di multa, aumentata per la continuazione nella
misura finale c.s. indicata).
15.
E' inammissibile per manifesta infondatezza l'unico motivo di ricorso di
ZANE, con cui si deduce vizio di mancanza della motivazione (art. 606, lett. E),
c.p.p.), per aver la Corte d'appello confermato il giudizio di responsabilità penale
del ricorrente senza svolgere alcuna autonoma valutazione, né di quanto
affermato dai primi giudici, né di quanto censurato con l'atto di appello.
La doglianza investe, da un lato, la circostanza per cui sarebbero rimaste senza
risposta le censure su alcuni punti centrali (non decisività delle intercettazioni
telefoniche riferite alla ZANE; assenza di episodi di cessione di stupefacente;
qualità di assuntore di stupefacente all'epoca dei fatti del ricorrente; mancanza
di sequestri di sostanza stupefacente riferibili al ricorrente); dall'altro, la
quantificazione della pena, essendosi limitata la Corte d'appello genericamente a
richiamare i criteri degli artt. 133 ed 81, cpv. c.p. e la mancata applicazione
dell'aumento di pena per la contestata recidiva, per ritenerne la congruità;
inoltre, poiché dagli atti emergerebbe che i contatti telefonici apparirebbero
finalizzati solo alla cessione di poche dosi, con conseguente attribuzione al
ricorrente di una posizione marginale, i fatti sarebbero stati riconducibili alla
fattispecie attenuata di cui al comma 5 dell'art. 73 TU Stupefacenti.
Al riguardo, è dato rilevare - al pari di quanto già evidenziato per le altre
posizioni - che la sentenza impugnata è sufficientemente motivata ed
argomentata, sia sotto il profilo della congruità che sotto quello della logicità, su
tutte le questioni devolute, anche in virtù del continuo e puntuale richiamo della
motivazione che correda la corposa decisione di primo grado, sia quanto alla
24
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
i
ricostruzione storica e logica effettuata, sia quanto alla scelta e alla valutazione
4
degli elementi probatori utilizzati per le singole affermazioni di responsabilità.
Giova osservare, a tal punto, che la Corte, richiamando quanto esposto nella
sentenza di primo grado (v., in particolare pagg. 43/46 della sentenza di prime
cure), ha ritenuto, condividendo le argomentazioni del primo giudice, che gli
argomenti difensivi (assenza di prove concrete a carico del ricorrente; suo mero
ruolo di compagno di sventura dei tossicodipendenti in crisi di astinenza cui
rivolgersi in casi estremi, desumibile dai contatti telefonici; scarsa valenza
probatoria delle dichiarazioni del Busetto) non fossero sufficienti per poter
consentire una nuova rivalutazione degli approdi valutativi del primo giudice, che
in termini "approfonditi e coerenti" aveva esposto gli elementi a carico del
ricorrente. E' da escludere, dunque, che possa integrare il vizio di motivazione
denunciato la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali, attraverso il richiamo ad
elementi di fatto (quali l'assenza di movimenti di denaro che abbiano visto
coinvolto il ricorrente; l'assenza di sequestri di stupefacente a suo carico;
l'asserito stato di tossicodipendenza del medesimo ricorrente; l'equivocità di
alcune conversioni intercettate, quali quelle con Tiozzo, con tali Barbara ed
Enzo).
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi, poi, con riferimento al dedotto vizio di
motivazione con riferimento alla quantificazione della pena, avendola la Corte
d'appello qualificata congrua alla luce dei criteri di cui agli artt. 133 ed 81, cpv.
c.p., ovviamente dovendosi anche fare riferimento, quanto alla valutazione di
tale congruità, a quanto puntualmente argomentato dal primo giudice (v. pag.
55) che ha valorizzato in sede di determinazione il negativo profilo soggettivo
dello ZANE, in quanto gravato da plurimi precedenti penali anche per reati
analoghi. Peraltro, la revisione critica della Corte d'appello sul profilo della
congruità della quantificazione della pena operata dal primo giudice si apprezza
proprio nel passaggio della motivazione (v. pag. 12) in cui i giudici di secondo
grado sottolineano che "favorevolmente, nessun aumento di pena è stato
operato per la recidiva reiterata specifica nel quinquennio contestata
all'imputato". Quanto, infine, alla mancata concessione dell'attenuante di cui al
comma 5 dell'art. 73, TU Stupefacenti, il rigetto può ben considerarsi implicito
alla luce della già ricordata, critica, adesione alla decisione del primo giudice che,
sul punto (v. pagg. 45/46), a proposito della mancata concessione
dell'attenuante
de qua,
aveva chiaramente puntualizzato che, pur essendo i
plurimi contatti telefonici con gli assuntori finalizzati alla cessione di poche dosi,
25
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
la "portata complessivamente considerata, in uno con la reiterazione costante
delle condotte nel tempo", impediva il riconoscimento dell'invocata attenuante.
16.
Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente il
cui ricorso è stato dichiarato inammissibile o rigettato, al pagamento delle spese
del procedimento e, per i ricorsi dichiarati inammissibili, non emergendo ragioni
di esonero, anche al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di
sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00
(mille/00) per ciascun ricorrente come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dello ZORZI e del
CONTI, limitatamente alla misura della pena, che ridetermina, per il primo, in
anni due e mesi uno di reclusione ed C 5000,00 di multa e, per il secondo, in
anni dieci di reclusione ed C 60000,00 di multa; annulla, inoltre, la sentenza
impugnata nei confronti dell'HAMIDOVIC, limitatamente all'omessa pronuncia
sulle attenuanti generiche e su quella dell'art. 114 c.p., e rinvia ad altra Sezione
della Corte d'Appello di Venezia; rigetta, nel resto, i predetti ricorsi.
Dichiara inammissibili i ricorsi del PIPINO, dello HRUSTIC e dello ZANE, e li
condanna al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di
C 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2013
Il
nsigliere
t.
Il Presidente
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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