Sentenza Nº 46759 della Corte Suprema di Cassazione, 22-11-2013

Presiding JudgeSIRENA PIETRO ANTONIO
ECLIECLI:IT:CASS:2013:46759PEN
Date22 Novembre 2013
Judgement Number46759
CourtQuarta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
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SENTENZA
sul ricorso proposto da:
EPIFANIO ANNAMARIA
EPIFANI VITA MARIA
nei confronti di:
BUTA GAETANO N. IL 26/02/1958
MASTROROCCO SAVERIO N. IL 22/01/1961
CARELLA ANNA N. IL 20/12/1961
avverso la sentenza n. 781/2008 CORTE APPELLO di BARI, del
12/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Eti e.
che ha concluso per
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Penale Sent. Sez. 4 Num. 46759 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA
Data Udienza: 30/10/2013
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ritenuto in fatto
1.
Il G.i.p. presso il Tribunale di Bari, con sentenza in data 14.06.2007 resa
all'esito di giudizio abbreviato, assolveva Buta Gaetano, Mastrorocco Saverio e
Carella Anna dal delitto di omicidio colposo loro ascritto, perché il fatto non
costituisce reato. Ai prevenuti si contesta, nelle rispettive qualità di medico di turno
e di infermieri, di avere cagionato la morte della paziente Barberio Rosa, ricoverata
nel reparto di terapia intensiva di Cardiologia dell'Ospedale "Miulli"; in particolare,
di avere omesso i controlli e la vigilanza che il caso imponeva, di guisa che la
paziente, abbandonata a se stessa in data 10.05.2004, cadeva dal letto e si
procurava lesioni personali, che la conducevano a morte il successivo 2.06.2004.
2.
La Corte di Appello di Bari, con sentenza in data 12 ottobre 2012,
pronunciando sugli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Bari e dalle parti civili Epifani Vita Maria ed Epifanio Annamaria, nonché
sugli appelli incidentali degli imputati Carella e gttrorocco, confermava
integralmente la sentenza di primo grado.
Il Collegio rilevava che risulta maturato il termine prescrizionale massimo
relativo al reato in addebito; e che, non di meno, doveva confermarsi la sentenza
assolutoria resa dal Tribunale, essendo emersa con evidenza solare l'innocenza dei
tre imputati. La Corte territoriale chiariva che se pure risultava sussistente il nesso
causale tra la caduta dal letto della paziente e l'evento morte verificatosi, doveva
escludersi ogni profilo di colpa, in termini di omessa vigilanza, ascrivibile agli
imputati. Il Collegio sottolineava che il lieve stato di agitazione della paziente, come
accertato in corso di giudizio, in epoca antecedente alla caduta da letto, non
imponeva la predisposizione di sistemi di contenzione, i quali si rendono necessari
nei soli casi in cui i pazienti manifestano segni di insofferenza e palese agitazione. E
rilevava che la caduta della paziente risultava, nel caso di specie, evento del tutto
imprevedibile.
3.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari hanno proposto ricorso
per cassazione le parti civili Epifanio Annamaria e Epifani Vita Maria, a mezzo del
difensore.
In primo luogo gli esponenti deducono il vizio di motivazione, con riguardo
alla intervenuta esclusione di profili di colpa ascrivibili agli imputati.
Le parti rilevano che la Corte di Appello, contraddittoriamente, da un lato ha
ritenuto sussistente il nesso di derivazione causale tra la caduta della paziente e
l'evento morte e, dall'altro, ha escluso la responsabilità degli imputati nella
causazione dell'evento.
I deducenti si soffermano sulla deposizione resa dal teste Lancialonga,
direttore dell'Unità Operativa Complessa di Cardiologia dell'Ospedale ove ebbe a
verificarsi la caduta; rilevano che dalle predette dichiarazioni emerge la sussistenza
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
di un obbligo di controllo e sorveglianza nei confronti dei pazienti; e ritengono che
la Corte di Appello abbia ignorato tale dato. I ricorrenti osservano, inoltre, che i
consulenti avevano evidenziato che la paziente versava in stato di agitazione già in
data 4.05.2004. Sul punto, ritengono che la Corte territoriale, dopo avere dato atto
del lieve stato di agitazione in cui versava la paziente, ha contraddittoriamente
affermato che la Barberio non aveva mai manifestato segni di agitazione prima
della caduta.
I ricorrenti osservano poi che la donna era stata trovata riversa sul
pavimento con la parte sinistra del corpo, parte che di fatto era paralizzata; ed
assumono che, illogicamente, la Corte di Appello ha ritenuto che la caduta si sia
verificata nel giro di pochi attimi.
Sotto altro aspetto, le parti ricorrenti osservano che certamente sussiste il
nesso causale tra la caduta e le lesioni riportate dalla Barberio (come affermato
anche dalla Corte di Appello); ed, altresì, tra l'omesso controllo e l'evento morte. In
ordine a quest'ultimo profilo, gli esponenti considerano che la Corte territoriale si è
stranamente discostata dalle conclusioni rassegnate dal consulente della parte
civile. Sottolineano che la stessa Corte di merito dà atto della circostanza che il
sinistro si è verificato in ambiente protetto, sotto l'ambito di percezione di due
infermieri.
Considerato in diritto
4. Il ricorso in esame si pone al limite della inammissibilità, atteso che i
motivi di doglianza dedotti dagli esponenti, che è dato esaminare congiuntamente,
si risolvono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa del compendio
probatorio, rispetto alle valutazioni effettuate dai giudici di merito.
4.1 Giova, al riguardo, rilevare che secondo il consolidato orientamento della
Suprema Corte, invero, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di
legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere
riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna
possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza
che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza
di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza
delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex
plurimis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,
dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la
modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo comunque preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite
le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n.
1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n.
22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
4.2 Ciò posto, deve rilevarsi che la Corte di Appello ha sviluppando un
percorso argomentativo immune da fratture di ordine logico e pienamente aderente
alle acquisite risultanze. In primo luogo, il Collegio ha considerato che deve
ritenersi sussistente il nesso di derivazione causale tra la caduta della degente e
l'evento morte, come in concreto verificatosi. Al riguardo, nella sentenza si chiarisce
che le già precarie condizioni di salute della Barberio andarono incontro ad un
progressivo e vistoso peggioramento, proprio in ragione delle policontusioni che la
donna ebbe a riportare per effetto della caduta dal letto; e si specifica che la
compromissione dei parametri vitali esitò nel decesso della paziente, verificatosi in
data 2.06.2004.
4.3 La Corte di Appello, soffermandosi sull'elemento psicologico del reato in
addebito, ha osservato che dagli atti non erano emersi profili di colpa a carico degli
imputati. In particolare, la Corte territoriale ha osservato che al medico ed ai due
infermieri addetti al reparto di Terapia Intensiva dì Cardiologia dell'Ospedale Miulli
ove la Barberio si trovava ricoverata, non poteva ascriversi l'omessa vigilanza della
richiamata paziente. Al riguardo, i giudici del gravame, nel confermare la
valutazione effettuata dal G.i.p., hanno evidenziato che, prima della caduta,
secondo le risultanze della cartella clinica, la donna aveva manifestato solo un
"lieve stato di agitazione"; e che l'unico episodio di insofferenza della degente si era
verificato dopo l'incidente. Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di Appello ha quindi
conferentemente osservato che, prima della caduta verificatasi 1'11 maggio 2004,
non erano emerse condizioni di fatto tali da richiedere la predisposizione di sistemi
di contenzione fisica della Barberio, onde evitare accidentali cadute dal letto. E
preme evidenziare che la Corte di merito ha del tutto legittimamente considerato
che i sistemi di contenzione, in quanto limitativi della libertà di locomozione del
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malato, possono essere attuati solo eccezionalmente, qualora il paziente abbia dato
segni di insofferenza e di palese agitazione.
Sul punto, la Corte di Appello ha pure osservato che l'assenza di profili di
colpa, nella condotta omissiva ascritta agli imputati, discendeva altresì dal
contenuto della deposizione resa dal direttore dell'Unità di Cardiologia del predetto
Ospedale, il quale, sentito in giudizio, aveva riferito che la paziente Barberio, da lui
personalmente conosciuta, non aveva mai manifestato segni di agitazione o di
disorientamento spazio-temporale; e che di converso, la donna si era presentata
pienamente collaborante con il personale sanitario, di talché il verificarsi di una
caduta dal letto risultava del tutto imprevedibile. Infine, si osserva che la Corte di
merito ha considerato che la localizzazione delle lesioni riportate dalla donna, nella
parte sinistra del corpo, evidenziava che la paziente era scivolata dal letto nell'atto
di girarsi; e che tale evenienza aveva reso vano ogni intervento protettivo da parte
del personale paramedico, che pure si trovava a breve distanza.
4.4 Ebbene, il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte territoriale, ora
richiamato nelle sue linee essenziali, si colloca del tutto coerentemente nell'alveo
dell'insegnamento espresso dalla Corte regolatrice, in ordine all'ambito di
operatività dei presidi limitativi della libertà di movimento, nei confronti di degenti
ricoverati in strutture sanitarie. Al riguardo, si è infatti chiarito, ai fini che qui
vengono in rilievo, che la limitazione della libertà di movimento deve essere
imposta ed attuata dal personale sanitario, nei limiti strettamente indispensabili allo
scopo, nell'esercizio del dovere di vigilanza di pazienti infermi, soggetti ad
imprevedibili reazioni o movimenti (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 409 del
28/10/2004, dep. 13/01/2005, Rv. 230808). Pertanto, non risulta sindacabile in
questa sede di legittimità la valutazione effettuata dai giudici di merito, i quali
hanno escluso che il personale sanitario fosse venuto meno rispetto ai propri doveri
di protezione e vigilanza, per non aver attuato sistemi di contenimento nei confronti
della paziente Barberio, che si trovava ricoverata nel reparto di terapia intensiva di
Cardiologia dell'Ospedale Miulli. Ciò in quanto la Corte di merito ha chiarito che si
trattava di una degente collaborante ed orientata; e che la caduta dal letto risultava
perciò del tutto imprevedibile. E' poi appena il caso di rilevare che le riferite
considerazioni svolte dalla Corte di Appello, circa l'elemento psicologico del reato,
non si pongono in termini di contrasto logico rispetto alla ritenuta sussistenza del
nesso di derivazione causale tra la caduta dal letto e l'aggravamento del quadro
clinico della degente, giacché si tratta di valutazioni che involgono il diverso e
specifico aspetto della rimproverabilità colposa della condotta in concreto posta in
essere dagli odierni imputati, nell'adempimento dei doveri di protezione e controllo
nei confronti dei soggetti garantiti.
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5. Il ricorso, per quanto detto, deve essere rigettato con condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 30 ottobre 2013.
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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