Sentenza Nº 44318 della Corte Suprema di Cassazione, 31-10-2013

Presiding JudgeSIOTTO MARIA CRISTINA
ECLIECLI:IT:CASS:2013:44318PEN
Judgement Number44318
Date31 Ottobre 2013
CourtSezione Feriale (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALANGA GIOVANNI N. IL 29/01/1963
avverso la sentenza n. 1061/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
15/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO ,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
P
,
che ha concluso per L
(rtIn) fAC.,
  • Udito, per la parte civile, l'Avv
    Udit2 ikdifensortAvv. PC-D Siir
    Mt-A
    Penale Sent. Sez. F Num. 44318 Anno 2013
    Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
    Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA
    Data Udienza: 12/09/2013
    Corte di Cassazione - copia non ufficiale
  • è
    RITENUTO IN FATTO
    1.
    - Con sentenza del 15 marzo 2013, la Corte d'appello di Salerno ha
    confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 18 ottobre 2011, con la quale
    l'imputato era stato condannato, per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod.
    pen. e 2, commi 1 e
    1-bis,
    del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con
    modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, per avere, con più condotte esecutive di un
    medesimo disegno criminoso omesso di versare all'Inps le ritenute previdenziali e
    assistenziali operate sulle retribuzioni pagate ai lavoratori dipendenti nel periodo da
    giugno 2005 a marzo 2006; con la stessa sentenza del Tribunale aveva dichiarato
    estinto per intervenuto pagamento il reato con riferimento alla mensilità di maggio
    2005.
    2.
    - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
    cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, la mancanza e la manifesta
    illogicità della motivazione. Si contesta, in particolare, che la Corte d'appello ha
    affermato che non è stato adeguatamente provato lo stato di insolvenza che avrebbe
    giustificato l'omesso versamento delle ritenute e che la difficoltà economica
    dell'imprenditore non può comunque rappresentare una scusante attendibile. La Corte
    distrettuale non avrebbe considerato - lamenta la difesa - la visura camerale
    depositata in atti, da cui risulta la nomina di un liquidatore, né la sentenza del
    Tribunale di Salerno n. 14 del 15 marzo 2012, con la quale l'imputato è stato
    dichiarato fallito, seppure nella sua veste di imprenditore individuale. A ciò si
    aggiungerebbe l'ulteriore circostanza che la ditta individuale dell'imputato era già
    stata dichiarata fallita nel 2009, con sentenza revocata per vizi meramente formali, a
    riprova di uno stato di difficoltà economica duraturo e risalente nel tempo.
    CONSIDERATO IN DIRITTO
    3.
    - Il ricorso è inammissibile, perché basato su un motivo manifestamente
    infondato.
    Correttamente la Corte d'appello osserva che, a prescindere dalla genericità
    delle deduzioni difensive circa lo stato di insolvenza dell'imputato, tale profilo risulta
    comunque irrilevante perché deve farsi applicazione nel caso di specie del noto e
    consolidato principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il
    reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle
    retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2, del d.l. 12 settembre 1983, n. 433,
    convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638) è integrato dalla
    consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il
    è.
    Corte di Cassazione - copia non ufficiale
    datore di lavoro attraversi una fase di criticità o destini risorse finanziarie per far
    fronte a debiti ritenuti più urgenti
    (ex plurimis, sez. 3, 19 gennaio 2011, n. 13100, rv.
    249917).
    4. - Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile, con la conseguenza
    che trova applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di
    questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
    punibilità eventualmente intervenute a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi
    compresa la prescrizione, è preclusa dall'inammissibilità del ricorso per cassazione,
    anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non
    consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione
    (ex multis,
    sez. 3, 8
    ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n.
    4).
    Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
    e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
    abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
    inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma
    dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del
    versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
    fissata in C 1.000,00.
    P.Q.M.
    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
    spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
    Così deciso in Roma, il 12 settembre 2013.
    Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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