Sentenza Nº 41076 della Corte Suprema di Cassazione, 07-10-2019

Presiding JudgeIZZO FAUSTO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:41076PEN
Judgement Number41076
Date07 Ottobre 2019
CourtTerza Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE MEIS FABRIZIO nato a ROMA il 05/12/1973
avverso l'ordinanza del 22/02/2019 del TRIB. LIBERTA' di RIMINI
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
lette/sentite le conclusioni del PG PIETRO MOLINO
Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita'
udito il difensore Co,„-,7 esz> c
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Il difensore presente chiede raccoglimento dei motivi di ricorso
Penale Sent. Sez. 3 Num. 41076 Anno 2019
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA
Data Udienza: 25/06/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
- Con ordinanza del 22 febbraio 2019, il Tribunale di Rimini ha in parte
dichiarato inammissibile e im parte rigettato la richiesta di riesame proposta dall'indagato
avverso il decreto del Gip dello stesso Tribunale, con il quale era stato disposto il
sequestro, finalizzato alla confisca per equivalente, fino all'importo di euro 810.737,65, in
relazione al reato di cui all'art. 5 del d.lgs. n.74 del 2000. In particolare, il Tribunale ha
ritenuto l'indagato non legittimato con riferimento alla censura relativa alla sottoposizione
a sequestro di beni di soggetti terzi estranei, mentre ha richiamato la documentazione in
atti e gli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza quanto all'omessa denuncia dei
redditi oggetto dell'imputazione.
2.
- Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, lamentando, in primo luogo, l'erronea applicazione degli artt. 568 e 591 cod.
proc. pen., sul rilievo che il Tribunale avrebbe ritenuto l'indagato stesso privo di
legittimazione, mentre questo è legittimato in quanto legale rappresentante della società
cui è attribuita la mancata presentazione della dichiarazione fiscale. Egli è, comunque,
legale rappresentante e amministratore unico delle società terze attinte dal sequestro e,
come tale, interessato alla restituzione dei beni, avendo comunque interesse a che si
chiarisca, in sede cautelare, la natura del reato o la qualificazione giuridica del fatto
addebitato.
In secondo luogo, si deduce la violazione dell'art. 122 cod. proc. pen., sul rilievo
che l'ordinanza presenterebbe una motivazione meramente apparente, non avendo preso
in considerazione la documentazione contabile che illustrava nel dettaglio l'effettiva
situazione economico-patrimoniale della società nel periodo in contestazione, da cui
risultava un minore ammontare dei debiti tributari. Né potrebbe ritenersi sussistente una
presunzione di inattendibilità delle produzioni difensive relative alle spese sostenute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.
- Il ricorso è inammissibile.
La prima censura è manifestamente infondata. È sufficiente richiamare sul punto la
costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'indagato non titolare del bene
oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo
cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del
gravame che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del
dissequestro. E non è configurabile, in capo all'indagato, un interesse nell'ottenimento di
una pronuncia sull'insussistenza del
fumus commissi delicti,
attesa l'autonomia del giudizio
cautelare da quello di merito (Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231 - 01; Sez. 1,
n. 6779 del 08/01/2019, Rv. 274992 - 01). In tale quadro, la circostanza - peraltro
genericamente prospettata - che l'indagato sia anche il legale rappresentante di società
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tprze attinte dal sequestro risulta irrilevante, perché egli avrebbe dovuto proporre
l'impugnazione nella veste di legale rappresentante di tali società e non semplicemente
nella veste di indagato, come invece ha fatto.
Anche il secondo motivo di doglianza è manifestamente infondato. A prescindere
dall'assoluta genericità della doglianza difensiva, che non prende in considerazione -
neanche a fini di critica - la motivazione del provvedimento impugnato, deve rilevarsi che
la lamentata carenza di motivazione circa la valutazione della documentazione presentata
dalla difesa, dalla quale risulterebbe un ammontare minore dei debiti tributari, è
manifestamente insussistente, perché, dalla semplice lettura del provvedimento
impugnato, emerge che il Tribunale ha compiutamente operato una tale valutazione,
ritenendo, però, scarsamente attendibile tale documentazione.
E
tale valutazione - di per
sé insindacabile in sede di legittimità - trova ulteriore conferma nella stessa
prospettazione del ricorrente, dalla quale emerge una tenuta della contabilità gravemente
irregolare, tanto che - solo titolo di esempio - il Tribunale valorizza in negativo le evidenti
discrepanze tra la consulenza contabile di parte prodotta dalla difesa e la comunicazione
dati Iva eseguita dalla società il 29 febbraio 2016.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma
dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in
euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.
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