Sentenza Nº 34278 della Corte Suprema di Cassazione, 23-12-2019

Presiding JudgeCHINDEMI DOMENICO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:34278CIV
Date23 Dicembre 2019
Judgement Number34278
CourtQuinta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
2019
2287
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34278 Anno 2019
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: MARTORELLI RAFFAELE
Data pubblicazione: 23/12/2019
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Fatti di causa
L'impresa Paroldi Giuseppe &
C.
S.r.l appellava
la
sentenza
n.
57 del 2015
sez. 6 della
CTP
di Alessandria.
In
detto
procedimento
la
contribuente
esercente
l'attività
di
armamento
ferroviario,
aveva
impugnato
la
cartella di
pagamento emessa da Equitalia Nord in forza di ruolo
formato
dal Comune di
Pozzolo Formigaro (AL)
per
TARSU anno 2012
per
complessivi
euro
8.987,88.
A sostegno dell'impugnazione,
la
contribuente
faceva presente di non essere
tenuta al
pagamento
del
tributo
locale sullo
smaltimento
dei
rifiuti
solidi urbani
ai sensi dell'art. 62, comma
2°,
del D.Lgs n.
507/1993,
in
quanto
detto
immobile
veniva utilizzato quale deposito di materiale non
produttivo
di rifiuti
solidi urbani e consistente nello stoccaggio di rotaie,
traversine,
giunti,
scambi
ecc., ossia
materiali
inerti
e non
produttivi
di rifiuti o,
al
limite,
produttivi
di
c.d. rifiuti speciali, non sottoposti perciò estranei alla TARSU comunale.
Inoltre,
in
detto
deposito non operavano dipendenti, non c'erano uffici o alte
postazioni di lavoro;
inoltre
era
privo
di allacciamento delle utenze (luce, gas,
acqua), vi erano servizi igienici. Nel
rigettare
il ricorso
la
CTP
richiamava
la
modifica
normativa
di cui
all'art.
14, comma
46,
del D.L.
n.201/2011
(convertito
in
L.
n.
214/2011),
che aveva abrogato
l'art.
195, comma
2°,
lettera e) del D.Lgs. n.
152/2006,
per
cui i Comuni potevano
"assimilare"
ai
rifiuti urbani quelli "speciali".
La
CTR
di Torino, con sentenza
1586/1/16
accoglieva l'appello. Precisavano i
giudici del
gravame
che
l'art.
62 del D.Lgs
n.
507/1993
prevedeva l'esclusione
dalla
TARSU
relativamente
ai
"locali e le aree che non possono
produrre
rifiuti
per loro natura .... o perché risultino
obiettive
condizioni di non utilizzabilità nel
corso dell'anno .... ".
In
tal senso
la
ricorrente
aveva
dimostrato
che nel 2012
non aveva
prodotto
rifiuti solidi urbani, non c'erano maestranze in loco, non
v'erano allacciamenti di utenze indispensabili all'insediamento umano, ecc. e
che
per
la
caratteristica dell'utilizzo dei luoghi (deposito
materiali
ferrosi e in
legno),
al
limite,
in tali aree
si
potevano
produrre
rifiuti
"speciali"
estranei alla
TARSU. Anche con
riferimento
ai profili giuridici, il
riferimento
operato
dalla
CTP
non era
pertinente,
in
quanto
l'abrogazione dell'art.
195,
comma
2°,
lett.
e) del
D.
Lgs n.
152/2006
(cioè l'assimilazione dei
rifiuti
prodotti
in aree
produttive
ai
rifiuti
urbani) decorreva
dall'
1/1/2013
e, dunque, nel 2012, anno
della pretesa da parte del Comune della TARSU,
detta
abrogazione non era
sopravvenuta
Avverso
la
su indicata sentenza,
il
Comune di Pozzolo Formigaro proponeva
ricorso per cassazione.
La
società
contribuente
si costituiva con controricorso.
L'impresa PAROLDI depositava
memoria
ai sensi dell'art.
378
c.p.c ..
Ragioni della decisione
Motivi di ricorso:
!.Nullità
della sentenza
per
motivazione
apparente,
ai
sensi dell'art. 360,
comma1, nn.
4)
e 5) c.p.c. . Violazione dell'art. 111 comma 6 Cost., dell'art.
132 c.p.c. e
dell'art.
36 D.Lgs.
546/92.
Difetto di motivazione rispetto
all'asserita non
imponibilità
delle superfici possedute dalla contribuente.
La
sentenza impugnata era carente
nell'impianto
motivazionale,
difettando
un
vaglio critico
rispetto
agli elementi versati nel processo a sostegno delle
ragioni esposte dall'Ente impositore.
Si
era ,
pertanto,
in presenza di una
motivazione apparente, che aveva omesso di
valutare
le prove del Comune che
aveva
dimostrato,
con documentazione, che i locali in esame risultavano in
realtà dotati di utenze (acqua e luce) come peraltro dichiarato dalla stessa
contribuente in sede di denuncia occupazione e come era emerso dalle banche
dati dell'Agenzia delle Entrate.
Inoltre
la
sentenza in esame, non
si
era
minimamente
pronunziata sull'eccezione preliminare sollevata dal Comune che
aveva contestato i
motivi
nuovi proposti da
controparte,
con particolare
riferimento
all'asserita specialità dei
rifiuti
generati dalla
contribuente
ed alla
presunta mancata assimilazione
quantitativa
da
parte
del comune che aveva
rilevato
la
loro inammissibilità e fondatezza (perché basate sulla produzione di
un regolamento TARI
2014,
successivo non applicabile alla fattispecie in
esame).
2. Nullità della sentenza
per
violazione di legge, ai sensi dell'art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c. -Violazione ed
errata
applicazione
dell'art.
62, commi 1
e 2 D.Lgs. 507
l
1993
in relazione agli
artt.
3 e 53 Costituzione -Sulla natura di
tassa di scopo della T.A.R.S.U. e sull'imponibilità dei locali condotti dalla
società ricorrente, in
quanto
potenzialmente
idonei a
produrre
rifiuti assimilati
agli urbani.
La
sentenza di secondo
grado
risultava viziata anche
sotto
un
ulteriore profilo, nella
parte
in cui
la
C.T.R. di Torino,
pur
avendo riconosciuto
espressamente
la
natura di "tassa di scopo" propria della T.A.R.S.U. aveva
tuttavia
ritenuto,
in maniera palesemente illogica e
contraddittoria
che
l'immobile posseduto dalla
contribuente
non potesse essere assoggettato a
tassazione nel
2012,
in
quanto
ritenuto
non
produttivo
di rifiuti solidi urbani,
se
non speciali estranei alla T.A.R.S.U., e,
per
queste ragioni, non espressivo di
una
effettiva
capacità
contributiva
in
materia
di Tassa rifiuti, ai sensi del
combinato disposto di cui agli
artt.
3 e 53 Costituzione.
In
tal senso, andava
ribadito, secondo il ricorrente, che i presupposti
per
l'imponibilità dei locali a
fini TARSU,
l'art.
62
comma
1 D.Lgs.
507/
1993, disponeva che
la
tassa era
dovuta
"per
l'occupazione e
la
detenzione di locali a qualsiasi uso adibiti
ad
esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni
diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del
territorio
comunale in cui
il
servizio era
attivato
o comunque reso in maniera continuativa nel modi
previsti dagli
artt.
58 e 59".
La
tassa andava quindi corrisposta, anche per i
locali non
produttivi
di
rifiuti
speciali
(tra
cui anche quelli destinati ad
attività
industriale ed artigianale con relativi magazzini ), non a
fronte
di una effettiva
produzione di
rifiuti,
ma a
fronte
della semplice suscettibilità di produzione dei
rifiuti, in relazione
al
possibile utilizzo degli immobili.
La
giurisprudenza aveva
ribadito che
la
tassa era
dovuta
per
tutti
i locali utilizzabili dai contribuenti a
prescindere dalla
materiale
produzione di
rifiuti,
salvo
quanto
previsto dall'art.
62 D.Lgs. citato,
per
le situazioni che
legittimavano
l'esonero. Tra queste non
rientrava
la
posizione di un magazzino deposito o ricovero, che aveva una
funzione operativa generica e come
tale
non
rientrava
nelle previsione
legislativa che
legittimava
l'esonero.
3. Nullità della sentenza
per
violazione di legge, ai sensi
dell'art.
360,
comma 1,
num.
3) c.p.c. -Violazione ed errata applicazione
dell'art.
238,
commi 6 e 11 D.Lgs.
152/2006,
dell'art.
14, commi
46
e
47
D.L.
201/2011,
convertito in
L.
214/2011,
in
rapporto
all'art
195, comma 2,
Iett.
e) D.Lgs.
152/2006;
dell'art.
198,
comma 2 D.Lgs.
152/2006;
nonché dell'art. 1, comma
184
L.
296/2006.
Sull'efficacia nell'anno 2012 del
provvedimento
di
assimilazione dei
rifiuti
speciali non pericolosi a quelli urbani,
introdotto
dal
Comune con deliberazione di
CC.
Del 25
novembre
2008 n.
49,
e sulla
conseguente tassabilità dei locali condotti dalla società ricorrente.
La
sentenza in esame risultava viziata anche
sotto
un
ulteriore
profilo,
per non avere
fornito
una
corretta
lettura
della disciplina
normativa
applicabile
nell'anno
d'imposta
oggetto
di causa in materia di tassazione dei rifiuti delle
attività
produttive,
avendo richiamato in motivazione disposizioni
dettate
dal
D.Lgs.
152/2006
(Codice
dell'Ambiente),
che non risultavano applicabili nel
2012.
Infatti
per
quanto
riguardava l'imponibilità ai fini T.A.R.S.U. delle
superfici
industriali/produttive
in cui venivano generati
rifiuti
assimilati agli
urbani,
si
ribadiva che tale problematica -
per
quanto
avesse
formato
oggetto
di
ripetute
modifiche a livello
normativa
a seguito dell'approvazione del Dlgs.
507/1993,
istitutivo
della T.A.R.S.U. -era stata risolta, nell'anno d'imposta
oggetto
di causa, con
la
conferma da parte del legislatore della sicura
tassabilità di tali superfici. Fatta una disamina dei
provvedimenti
normativi
che
si
erano succeduti nel
tempo,
il
ricorrente
evidenziava come a decorrere
dall'entrata in
vigore
dell'art.
17
L.128/1998,
tutti
i
rifiuti
speciali erano
risultati assimilabili a quelli urbani, in base a previsione regolamentare, anche
se
di origine industriale, artigianale, commerciale o connessi a servizi, restando
il
potere di assimilazione escluso solo
per
i rifiuti pericolosi.
In
tal senso aveva
operato il Regolamento Comunale
25.11.2008
n. 49. Non poteva
pertanto
invocarsi l'esenzione Tarsu in relazione
ai
depositi condotti dalla contribuente,
proprio perché assimilati agli urbani dal regolamento comunale.
Con
riferimento
ad
altro
profilo, sempre di natura
normativa,
il Comune
censurava
la
sentenza, nella
parte
in cui aveva
ritenuto
per
l'anno esaminato
2012, che
ai
Comuni sarebbe
stato
impedito
di assimilare
ai
rifiuti
urbani i
rifiuti
formati
in aree
produttive
compresi i magazzini di
materie
prime e di
prodotti finiti a
fronte
dell'applicabilità delle disposizioni
dettate
in materia
dall'art. 195 comma 2, lett. e) D.Lgs. n.
152/2006.
Sul
punto
il
ricorrente
evidenziava come
la
contribuente
avesse
fatto
richiamo a
detta
normativa,
per
la
prima volta, in sede di appello, ma
-a
prescindere di tale nuova eccezione
non rilevata dalla
CTR
di Torino- precisava che tale imposta era dovuta
in
quanto
in base alla
normativa
di cui al
comma
11
art.
238 D.Lgs.
152/2006
per
consentiva, in mancanza di
nuovo
regolamento, l'applicazione della
normativa vigente.
4. Nullità della sentenza
per
violazione di legge, ai sensi dell'art. 360,
comma 1,
num.
3) c.p.c. -Violazione ed
errata
applicazione degli
artt.
62 e 70
D.Lgs.
507/1993
in relazione all'art.
2697
cod. civ. -Sull'onere della prova
circa
la
natura dei
rifiuti
prodotti
e
l'effettivo
utilizzo dei locali
oggetto
di causa.
Sotto un
ultimo
profilo,
la
sentenza della
CTR.
di Torino andava riformata
anche nella
parte
in cui aveva considerato i magazzini posseduti dalla
contribuente come esenti dalla T.A.R.S.U.,
in
violazione della disciplina
sull'obbligo di dichiarazione e sul
riparto
dell'onere probatorio in materia di
agevolazioni ed esenzioni
tributarie.
Sul punto,
si
evidenziava,
infatti,
che,
anche ove
si
fosse considerato
l'immobile
oggetto
di causa come
rientrante
nelle circostanze esonerative indicate dalla
contribuente,
non poteva,
comunque, non rilevarsi che -come
correttamente
rilevato dal Giudice di
primo
grado -tali circostanze erano soggette all'onere della prova e della
preventiva comunicazione della mancata
produttività
di
rifiuti
ovvero
del loro
recupero in un ciclo
produttivo
proprio
o di terzi, che,
oltre
a
dover
essere
specificato nella denuncia iniziale di occupazione ai fini T.A.R.S.U. (al fine di
consentire al Comune di esercitare il
proprio
potere di
controllo),
doveva poi
essere provato in ogni anno di applicazione dell'imposta da parte dello stesso
contribuente. Nel caso in esame,
quest'ultima
non aveva
tuttavia
adempiuto
a tali obblighi, in
quanto
nella denuncia di occupazione ai fini della Tassa rifiuti
presentata al Comune in data
21.9.2010
la
stessa società non aveva indicato
l'esistenza di eventuali ipotesi agevolative o di esenzione da considerare sulla
superficie
ai
fini della determinazione dell'imposta.
Va
premesso che, secondo
l'orientamento
di questa Corte, più volte
ribadito, può e deve essere applicato
il
principio della
"ragione
più
liquida",
desumibile dagli
artt.
24 e 111 Cost. (SU n.
9936/2014;
Cass.
23531/2016;
Cass.
5264/2015;
Cass.
12002/2014),
il
quale -in una prospettiva aderente
alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio
ed
in armonia
.,
con
la
ratio
del
nuovo
rito
camerale -impone di privilegiare l'esame delle
questioni che appaiono di più agevole soluzione
ed
idonee a definire il giudizio.
In
tal senso va
ritenuto
che in forza di tale principio, sia possibile
focalizzare l'attenzione esclusivamente nell'esame delle censure meritevoli di
accoglimento,
se
e quando,
ovviamente,
ritenute
sussistenti.
In
tal senso
la
censura relativa al
quarto
motivo
deve ritenersi fondata, con assorbimento
degli
altri.
Il
presupposto
impositivo
della TARSU è l'occupazione o
la
detenzione di
locali
ed
aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62,
comma 1). Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono
produrre
rifiuti
o
per
la
loro natura o
per
il
particolare uso cui sono stabilmente
destinati o perchè risultino in
obiettive
condizioni di non utilizzabilità nel corso
dell'anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia
or
iginaria o di
variazione e
debitamente
riscontrate in base ad elementi
obiettivi
direttamente
rilevabili o ad idonea documentazione
(art.
62, comma 2, D.Lgs.
cit.).
L'art.
62, pone quindi a carico dei possessori di
immobili
una presunzione legale
relativa di produzione di rifiuti.
Come più
volte
chiarito da questa Corte, costituisce onere del
contribuente, ove
si
deduca l'impossibilità dei locali o delle aree a produrre
rifiuti
per
foro natura o
per
il particolare uso, prevista
dall'art.
62, comma 2,
indicare nella denuncia originaria o di variazione le
obiettive
condizioni di
inutilizzabilità, le quali devono essere
"debitamente
riscontrate
in base
ad
elementi
obiettivi
direttamente
rilevabili
o
ad
idonea documentazione" (Cass.
Sez. 5, Sentenza
n.
11351 del
06/07
/2012;
Sez. 5, Sentenza n. 17703 del
02/09/2004).
Cass.
19469/2014
e Cass.
10634/2019.
Nella fattispecie, viceversa,
la
domanda di esenzione della
contribuente
è
stata accolta del
tutto
apoditticamente,
senza sviluppo alcuno delle ragioni di
accoglimento e senza che
il
contribuente
abbia indicato nella denuncia
originaria o in quella di variazione le
obiettive
condizioni di inutilizzabilità,
"atteso
che,
pur
operando anche nella
materia
in esame,
per
quanto
riguarda
il
presupposto dell'occupazione
di
aree
nel
territorio
comunale,
il
principio
secondo
cui
spetta
all'amministrazione
l'onere della
prova
dei
fatti
costitutivi
dell'obbligazione
tributaria,
per
quanto
attiene
alla quantificazione della tassa è
posto a carico dell'interessato
(oltre
all'obbligo della denuncia
ex
art. 70
del
citato d.lgs. n.
507
del
1993)
un
onere
d'informazione,
al
fine
di
ottenere
l'esclusione
di
alcune
aree
dalla superficie tassa bile, che integra un 'eccezione
alla regola generale secondo
cui
al
pagamento
del
tributo
sono
astrattamente
tenuti
tutti
coloro che occupano o
detengono
immobili
nel
territorio
comunale"
(Cass.
16235/2015).
Con
l'accoglimento del
motivo,
la
sentenza va cassata
e,
decidendo nel
merito, va respinto l'originario ricorso. Vanno compensate
le
spese del giudizio
di merito, con condanna della soc.
contribuente
al
pagamento delle spese
processuali del giudizio di
legittimità,
liquidate come
in
dispostivo.
P.Q.M.
Accoglie
il
quarto
motivo
di ricorso, assorbiti gli
altri,
cassa
la
sentenza
impugnata e decidendo nel
merito
rigetta l'originario ricorso del contribuente.
Compensa le spese del giudizio di
merito
e condanna
la
soc. contribuente
al
pagamento delle spese processuali del giudizio di
legittimità,
liquidate in Euro
2.600,00
oltre
spese
forfettarie
ed accessori di legge.
Ai
sensi
dell'art.l3
comma l
quater
DPR.
115/2002
atto
della
sussistenza dei presupposti per
il
versamento da parte del ricorrente
dell'ulteriore
importo
a
titolo
di
contributo
unificato pari a quello
dovuto
per
il
ricorso principale a
norma
del comma l bis dello stesso art. 13,
se
dovuto.
Così
deciso
in
Roma
il
23.10.2019.

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