Sentenza Nº 33125 della Corte Suprema di Cassazione, 23-07-2019

Presiding JudgeMAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
ECLIECLI:IT:CASS:2019:33125PEN
Date23 Luglio 2019
Judgement Number33125
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VAKLINOVA ELISAVETA LYUTSKANOVA nato il 01/02/1990
avverso l'ordinanza del 04/07/2018 del TRIBUNALE di MODENA
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
lette/ente le conclusioni del PG
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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33125 Anno 2019
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: SIANI VINCENZO
Data Udienza: 29/01/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
Con l'ordinanza in epigrafe, emessa in data 4 luglio 2018, il Tribunale di
Modena, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza proposta
nell'interesse di Elisaveta Lyutskanova Vaklinova avente ad oggetto la
disposizione di rinnovazione della notifica dell'ordine di esecuzione n. 210/2015,
riguardante la pena detentiva di mesi sei di reclusione, unitamente alla
sospensione dell'ordine stesso.
A ragione di tale provvedimento il giudice emittente - premesso che
Vaklinova era stata condannata dal Tribunale di Modena, con sentenza del 21
gennaio 2014, irrevocabile il 3 marzo 2015, alla pena di mesi sei di reclusione ed
euro 300,00 di multa per il reato di furto aggravato, che il relativo ordine di
esecuzione per la carcerazione, con annesso decreto di sospensione, ai sensi
dell'art. 656 cod. proc. pen., era stato notificato alla condannata in data 16 luglio
2015, con consegna dell'atto al difensore di ufficio, ex art. 159 cod. proc. pen.,
previa emissione del decreto di irreperibilità, a sua volta fondato sul verbale di
vane ricerche della medesima, mentre poi, con provvedimento del 2 ottobre
2015, era stato revocato il decreto di sospensione dell'ordine di carcerazione,
sicché Vaklinova, rintracciata il 21 maggio 2018 in Montecatini, era stata tratta
in arresto - ha ritenuto che il procedimento dettato dall'art. 656 cod. proc. pen.
fosse stato correttamente osservato nel caso descritto, per cui non era da
rinnovarsi la notificazione del titolo esecutivo.
2.
Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di Vaklinova
chiedendone l'annullamento e formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo viene lamentata l'erronea applicazione dell'art. 656,
comma
8-bis,
cod. proc. pen.
Nell'istanza si era evidenziato che la condannata, cittadina bulgara,
alloglotta e difesa d'ufficio, processata per direttissima e destinataria del divieto
di dimora in Modena, trascorsa una detenzione di appena due giorni, non aveva
avuto contatti di sorta con il legale, né era a conoscenza della necessità di
eleggere domicilio per la fase dell'esecuzione: si era dunque nell'alveo della
disposizione di cui all'art. 656, comma 8-bis, cod. proc. pen., come
l'elaborazione pratica e giurisprudenziale inducevano a credere; tuttavia, il P.m.
a cui era stata diretta l'istanza l'aveva rigettata e così aveva fatto il Tribunale a
cui la stessa era stata trasmessa, non essendosi considerato che il caso
dell'irreperibile era differente da quello dell'evaso o del latitante, anche perché
l'irreperibilità poteva verificarsi per le cause più varie e, nel caso di Vaklinova,
era stata determinata dalla carenza di fissa dimora in Italia da parte sua, dal
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fatto che le era stato vietato di permanere in Modena e dalla circostanza che ella
non sapeva che l'elezione di domicilio da lei fatta era inefficace in sede esecutiva,
sicché sussistevano tutte le condizioni per l'applicazione della norma invocata.
Invece - sostiene la difesa - il giudice dell'esecuzione ha erroneamente
mancato di applicarla, citando un precedente giurisprudenziale che non si
attaglia al caso di specie, perché riguarda un condannato che aveva eletto
domicilio presso il difensore di fiducia, a differenza di Vaklinova, difesa d'ufficio
da legale che ella non aveva contattato dopo la liberazione avvenuta il 21
gennaio 2014, per cui non aveva saputo che questi aveva interposto appello e
che era stato, per lei, destinatario della notifica della misura cautelare che le
vietava di permanere in Modena. Del tutto fuori tema è, per la ricorrente, il
riferimento al disinteresse processuale di cui Vaklinova si sarebbe resa
responsabile, in quanto la norma non richiedeva alcuna valutazione in merito.
In ogni caso, si evidenzia l'emersione di un contrasto da dirimere fra le
opposte interpretazioni giurisprudenziali riguardanti la materia.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 159 e 169
cod. proc. pen.
Nemmeno è stata valutata in modo conforme a norma, secondo la
ricorrente, la deduzione di nullità del decreto di irreperibilità emesso dal P.m., in
quanto le ricerche non erano state esaustive, essendo illogiche quelle svolte in
Modena, dato che sussisteva il divieto di dimora in quella città per Vaklinova,
mentre esse non erano state espletate in Bulgaria, luogo di nascita della
destinataria, posto che sussisteva la possibilità di identificare il luogo di
residenza della medesima in quel paese istituendo i debiti contatti attraverso la
Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959, dal
momento che doveva assicurarsi, nel procedimento notificatorio, anche in sede
esecutiva tutte le garanzie previste per l'imputato nel processo di cognizione: né
poteva farsi carico a Vaklinova di non aver prodotto la carta di identità, custodita
in carcere, a fronte della constatazione che a lei l'Autorità non aveva chiesto di
fornire l'indirizzo di residenza in Bulgaria.
3. Il Procuratore generale ha chiesto di rigettare il ricorso in quanto
rettamente il giudice dell'esecuzione ha ritenuto non applicabile alla posizione
dell'irreperibile la disciplina dettata dall'art. 656, comma
8-bis,
cod. proc. pen.,
mentre, in ordine alla verifica del rispetto dei canoni stabiliti dall'art. 159 cod.
proc. pen., il provvedimento impugnato ha dato adeguato conto del riscontro
positivo operato sul punto, applicando il corretto principio secondo cui l'obbligo di
effettuare le nuove ricerche nei luoghi stabiliti dalla suddetta norma era
condizionato all'oggettiva praticabilità dei corrispondenti accertamenti.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1.
La Corte ritiene che l'impugnazione non sia fondata e vada quindi
rigettata, posto che i cardini del ragionamento svolto dal giudice dell'esecuzione
si rivelano, per la parte qui determinante, corretti.
2.
Il Tribunale ha, in particolare, evidenziato che il disposto dell'art. 656,
comma
8-bis,
cod. proc. pen., non andava applicato nel caso di condannato
irreperibile, la cui posizione, a tal fine, era da equipararsi al latitante o all'evaso:
la condannata, nel corso del giudizio di merito, pur assistita da difensore
d'ufficio, era presente in udienza al momento in cui era stata pronunziata
sentenza da parte del giudice di primo grado, per cui ella era in condizioni
adeguate per informarsi in ordine agli accadimenti susseguenti e mantenere i
contatti con il difensore, presso il quale peraltro aveva eletto domicilio, ma aveva
preferito volontariamente disinteressarsi delle vicende processuali che la
riguardavano così finendo per ignorare l'ordine di esecuzione e di carcerazione.
L'opzione ermeneutica privilegiata dal giudice dell'esecuzione è da ritenersi
immune da censure: sulla premessa che in fase di esecuzione devono
considerarsi estese al soggetto interessato, in quanto praticabili, tutte le
garanzie previste per l'imputato nel procedimento di cognizione, anche per
quanto concerne la disciplina della notificazioni, si è chiarito, e va in questa sede
ribadito, il principio di diritto secondo cui, nell'ambito del di procedimento di
esecuzione, l'art. 656, comma 8-bis, cod. proc. pen. - in base al quale il pubblico
ministero, se è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto
effettiva conoscenza dell'ordine di esecuzione e del contestuale decreto di
sospensione ai sensi del precedente comma 5, può, assunte le opportune
informazioni, disporne la rinnovazione della notificazione - non si applica
nell'ipotesi in cui il condannato sia risultato irreperibile, al pari del caso in cui egli
sia risultato latitante o evaso (Sez. 1, n. 1779 del 30/11/2017, dep. 2018,
Resch, Rv. 272054).
Si è - da parte dell'arresto richiamato - argomentato persuasivamente nel
senso che l'irreperibile, al pari del latitante e dell'evaso, non ha, per definizione,
conoscenza effettiva della sospensione, dal momento che l'avviso della
sospensione gli viene notificato secondo modalità che ne assicurano la mera
conoscenza legale, non potendo negarsi che sarebbe contraddittorio
contemplare, in siffatta ipotesi, la possibilità dell'attivazione del meccanismo
rinnovativo della formalità. Se lo si ammettesse, in modo non consentaneo alla
ratio
della norma che subordina, ad iniziativa del pubblico ministero, l'emissione
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dell'ordine di carcerazione alla rinnovata formalità finalizzata alla presa di
cognizione personale, da parte del condannato, del previo avviso ex art. 656,
comma 5, cod. proc. pen., si avallerebbe la ripetizione della notificazione a
soggetto che, essendo stata dichiarata irreperibile, non potrebbe essere
raggiunto con modalità diverse da quelle, surrogatorie, stabilite dall'art. 159 cod.
proc. pen., essendo
in thesi
impossibile, per essere già risultata tale, la
notificazione ai sensi dell'art. 157 cod. proc. pen., con l'effetto che la
rinnovazione dell'adempimento, avvitandosi in un
circulus inestricabílis,
avrebbe
l'effetto di differire
siile die
l'esecuzione della pena.
Sul punto, è, d'altro canto, rilevante considerare che il comma
8-bis
dell'art.
656 cod. proc. pen. è stato introdotto dall'art. 10, comma 1, lett. f), di. 24
novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio
2001, n. 4, e ricalca la previsione dell'art. 420-bis cod. proc. pen., secondo il
testo in allora vigente, al pari del previgente art. 485 cod. proc. pen.: disciplina
che, nella dialettica propria del processo contumaciale (successivamente
superato in virtù della legge n. 67 del 2014), prevedeva la rinnovazione della
citazione in udienza dell'imputato che non ne avesse avuto effettiva conoscenza,
ma escludeva espressamente da tale rinnovazione, fra gli altri il caso di notifica
all'imputato irreperibile.
Questa stessa esclusione, dunque, con riferimento all'ambito di applicazione
dell'art. 656, comma
8-bis,
cod. proc. pen., deve considerarsi, sotto il profilo
sistematico, immanente, trattandosi di approdo del tutto conseguente al già
avvenuto accertamento dell'irreperibilità del destinatario dell'atto, atteso che per
l'irreperibile l'assunzione di complete informazioni, in ordine ai luoghi di possibile
rintraccio, costituisce il presupposto stesso, quando le ricerche abbiano sortito
esito negativo, per la corrispondente declaratoria, ai sensi dell'art. 159 cod. proc.
pen., sicché la loro reiterazione non assolverebbe ad alcuna ulteriore, effettiva
funzione.
Il primo motivo si rivela, pertanto, privo di fondamento.
3. Quanto al secondo motivo, si constata che il Tribunale, in ordine alla
verifica di adeguatezza delle ricerche svolte per l'emissione del decreto di
irreperibilità, ha evidenziato che la superfluità delle ricerche presso l'anagrafe di
Modena, per essere stata Vaklinova assoggettata alla misura cautelare del
divieto di dimora in quella città, nulla aveva tolto alla completezza delle ricerche
stesse, in quanto dall'esame del relativo verbale emergeva che ella era stata
ricercata in tutti i luoghi previsti dall'art. 159 cod. proc. pen., non risultando
peraltro - la destinataria - detenuta in nessun istituto penitenziario nazionale, né
essendo emersi ulteriori elementi utili al suo rintraccio.
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Circa, poi, la censura inerente alle omesse ricerche all'estero, si è
correttamente osservato da parte del giudice dell'esecuzione che l'obbligo
stabilito in tal senso dall'art. 159 cod. proc. pen. è da intendersi come
condizionato all'oggettiva praticabilità dell'accertamento, praticabilità non
sussistente quando, come in questo caso, si ignorava l'esatto recapito della
destinataria: la difesa aveva dedotto che dalla carta d'identità di Vaklinova
sarebbe stato desumibile il suo preciso indirizzo di residenza, ma tale documento
non era stato allegato, nemmeno in copia, mentre dagli atti era dato evincere
che Vaklinova, unitamente alla propria complice, serbando un atteggiamento
poco collaborativo nel procedimento di merito, segnatamente in sede di
convalida dell'arresto, aveva fornito indicazioni incomplete o inverosimili e
assolutamente generiche circa i dati identificativi delle sue generalità, del luogo
abituale di residenza o dimora e degli altri elementi al riguardo rilevanti, in
particolare la dichiarazione di residenza in Bulgaria non essendo stata
accompagnata dall'indicazione di nessuna città e di nessun indirizzo, per cui essa
non era idonea a far nascere l'obbligo di ricerche della medesima nel paese
estero suindicato.
Alla luce di questi elementi la doglianza non appare fondata, essendosi, il
giudice dell'esecuzione, attenuto alla retta applicazione della disciplina da
osservarsi nel controllo dello svolgimento delle formalità necessarie per
l'accertamento della condizione di irreperibilità in sede esecutiva.
Va, sull'argomento, evidenziato che, in tema di notificazioni da effettuarsi ai
sensi dell'art. 159 cod. proc. pen., l'obbligo di effettuare nuove ricerche nei
luoghi indicati dal comma 1 della disposizione, al fine di emettere il decreto di
irreperibilità, è condizionato all'oggettiva praticabilità degli accertamenti, che
rappresenta il limite logico di ogni garanzia processuale (Sez. 4, n. 40928 del
07/06/2018, Camero Miguel Angel, n. m.; Sez. 1, n. 18162 del 21/11/2017, dep.
2018, Chavez Chamorro, n. m.; Sez. 2, n. 39329 del 31/05/2016, Ciobataru, Rv.
268304).
Nel caso in esame, le ricerche nei luoghi stabiliti dall'art. 159 cod. proc. pen.
sono state ritenute in modo congruo e coerente come effettuate, senza esito,
con l'indicato limite della concreta praticabilità, rispetto al quale la notificazione
alla destinataria Vaklinova - non essendo emerse notizie circa il suo eventuale
rientro in Bulgaria e ignorandosi un qualche suo specifico recapito in quel paese
- non era risultata concretamente possibile nel suo paese di origine, senza che
sussistesse l'obbligo di disporre ricerche all'estero.
In questa direzione, la carenza di elementi utili reperibili nell'ambito degli
atti del processo di cognizione, per l'estrema genericità delle generalità date
dall'imputata, ha accentuato l'impraticabilità di ricerche ulteriori rispetto a quelle
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effettuate: per tale ragione, pur sempre attinente alla verifica della corretta
applicazione dell'art. 159 cod. proc. pen. - e non per una retrospettiva critica in
ordine al comportamento serbato da Vaklinova -, il giudice dell'esecuzione ha
correttamente rilevato il punto.
Anche la seconda doglianza deve essere, quindi, disattesa nel suo
complesso.
4. Conseguenza di queste considerazioni è il rigetto del ricorso.
Segue, ex art. 616, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 29 gennaio 2019
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