Sentenza Nº 29556 della Corte Suprema di Cassazione, 14-11-2019

Presiding JudgeORILIA LORENZO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:29556CIV
Date14 Novembre 2019
Judgement Number29556
CourtSeconda Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
20H
1:
Civile Sent. Sez. 2 Num. 29556 Anno 2019
Presidente: ORILIA LORENZO
Relatore: SABATO RAFFAELE
Data pubblicazione: 14/11/2019
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Fatti
di causa
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Con
atto
di citazione notificato in data
26.02.1998
il
Gruppo
La
Perla s.p.a. (ora Nute Partecipazioni s.p.a.) ha convenuto Raffaele
Lamberti dinanzi
al
pretore
di Bologna, chiedendone
la
condanna
al
pagamento di E 9.
725.908
a
titolo
di saldo
attivo
di crediti e debiti
inerenti a
rapporto
di agenzia di commercio.
2. A sua volta Raffaele Lamberti, riassumendo
la
causa
precedentemente avviata innanzi al giudice del lavoro di Salerno, ha
convenuto
la
società dinanzi al
tribunale
di
Bologna chiedendone
la
condanna al
pagamento
di E
1.065.471.107,
come somma
dovuta
per
provvigioni
stornate
sulla merce consegnata alla clientela, per
indennità
per
attività
di incasso esercitata negli anni
1991-1996,
per
provvigioni
derivanti
dagli ordini procurati alla preponente e per
indennità di fine rapporto.
Ha
proposto, in via subordinata, azione di
condanna per ingiustificato
arricchimento
ai
sensi dell'art. 2041 cod.
civ.
3.
Con sentenza depositata in data
24.02.2010
il
tribunale di Bologna,
previa riunione delle due cause,
ha
condannato
la
società a versare al
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La
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la
somma di 39.
759,00,
accertando
la
sussistenza
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di un credito in favore di
quest'ultimo
pari a 44. 706,00,
compensandolo con
la
somma di
4.491,93
riconosciuta in favore
della società preponente siccome non contestata.
Ha
ritenuto
prescritte
le
provvigioni antecedenti al secondo
trimestre
del 1993.
Ha
rigettato
le
ulteriori
domande dell'agente, osservando come
il
contratto
di agenzia non contenesse alcuna clausola che prevedesse
il
diritto
dell'agente di percepire un'indennità aggiuntiva per
l'attività
di
-
1/15
-
oltre
frontespiZIO
riscossione dei
crediti;
inoltre
ha
rilevato che,
ai
fini della spettanza di
provvigioni sugli ordini inevasi, l'agente avrebbe
dovuto
provare che
la
mancata accettazione o esecuzione derivassero da
comportamenti
ingiustificati della società preponente; ha disatteso
la
domanda di
condanna a
titolo
di ingiustificato arricchimento rilevando come non
fosse stata data prova
dell'effettivo
arricchimento della società,
tantomeno
della diminuzione patrimoniale dell'agente stesso.
4. Avverso
la
predetta sentenza
ha
proposto appello Raffaele
Lamberti
muovendo
plurime
doglianze.
4.1 Circa
il
pagamento
dell'indennità di incasso, ha censurato
l'interpretazione
del
termine
"insoluto"
come operata dal
primo
giudice, dal
momento
che, nella prassi commerciale in Campania,
il
termine
era -in tesi -utilizzato per differenziare i clienti insolventi
da
quelli -assai numerosi -semplicemente in ritardo nei pagamenti.
In
tal senso,
ha
sostenuto come
la
stessa società fosse edotta di tale
generalizzata situazione di
ritardo
nei pagamenti, dal
momento
che
aveva
aumentato
del
5%
il prezzo di listino della merce: i ritardi
erano dunque consentiti per ragioni commerciali e non
si
trattava
di
insolvenze.
4.2.
In
merito
al c.d.
"mancato
consegnato/l
ha
dedotto
l'esistenza di
una clausola
contrattuale
nulla,
in
quanto sottoposta a condizione
sospensiva
meramente
potestativa ai sensi dell'art. 1355 cod. civ.,
che condizionava l'insorgere del
diritto
alla provvigione all'emissione
di una
fattura
da parte della proponente, laddove
la
regolamentazione
collettiva del
rapporto
di agenzia prevedeva una presunzione di
accettazione
per
gli ordini trasmessi dall'agente non
rifiutati
dal
preponente
entro
sessanta giorni (art. 6, commi 9 e 10 dell'accordo
economico collettivo -
AEC
-del
16.11.1988).
Ha
altresì
lamentato
come
il
tribunale
avesse
erroneamente
ritenuto
che l'onere della
prova delle ragioni della mancata accettazione gravasse sull'agente, e
non sulla società preponente;
quest'ultima,
non
informando
l'agente
-
2/15
-
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circa l'impossibilità di procedere all'evasione degli ordini non
accettati, aveva poi violato gli obblighi di buona fede e correttezza
contrattuale.
4.3. L'appellante
ha
poi contestato che il giudice di prime cure aveva
rilevato
la
prescrizione delle provvigioni dovute
in
epoca antecedente
al
1993
nonostante non fosse stata sollevata
la
relativa eccezione
da
parte della preponente, nonché che aveva omesso
il
riconoscimento
del
maggior
danno ai sensi dell'art.
1224
cod. civ.
Ha
infine criticato
la
decisione nella parte relativa al riconoscimento in favore della
convenuta della
somma
di
4.491,93
sulla base della ritenuta
mancata contestazione della pretesa
in
giudizio.
5.
La
Nute Partecipazioni s.p.a.
ha
resistito nel giudizio di secondo
grado, spiegando appello incidentale
in
ordine alla parte della
sentenza relativa alle spese di lite, che erano state poste
interamente
a suo carico,
oltre
che in ordine all'erroneità della condanna
al
pagamento delle provvigioni sui resi.
6. Con sentenza depositata in data
02.07.2014
la
corte d'appello di
Bologna
ha
rigettato
l'appello principale;
ha
accolto in parte quello
incidentale, dichiarando compensate
tra
le
parti
le
spese del
primo
grado di giudizio e condannando
la
parte appellante principale alla
rifusione delle spese di secondo grado.
6.1.
In
primo
luogo
la
corte d'appello non
ha
ritenuto
condivisibile
l'interpretazione
data dall'appellante
al
concetto di
"insoluto",
nel
senso di
"insolvente",
ritenendo essa
oltremodo
forzata;
ha
affermato
come il
rifiuto
della appellata dell'esecuzione delle proposte
dell'agente non dipendesse da
mero
arbitrio, ma
da
ragioni di tutela
del proprio interesse economico.
6.
2.
In
merito
poi
all'attività
di incasso delle
fatture
ha
rilevato come
fosse onere dell'agente dare
la
prova del
conferimento
di specifico
incarico da parte della società preponente, non considerando
-
3/15
-
oltre
frontespizio
sufficiente il richiamo dell'appellante a
un'attività
di rendicontazione
sui singoli incassi.
6.3.
In
relazione alla domanda di ingiustificato arricchimento ha
affermato
che non poteva ravvisarsi alcun vantaggio per
la
casa
mandante, dal
momento
che
il
mancato pagamento dei crediti alle
scadenze
comportava
comunque un pregiudizio che
la
maggiorazione
del
5%
sui listini dei prezzi era volta a compensare.
Su
questo punto
ha
altresì rilevato come non fosse data prova dell'avvenuto
impoverimento
dell'agente.
6.4. Per
quanto
concerne, inoltre,
la
pretesa di pagamento delle
provvigioni
per
il mancato consegnato,
ha
ritenuto
dirimente
la
circostanza che non fossero
prodotti
in giudizio gli ordini inviati
dall'agente alla società preponente e rimasti inevasi, con conseguente
mancato assolvimento dell'onere probatorio.
Ha
osservato sul punto
come non fossero condivisibili
le
argomentazioni dell'appellante circa
la
sussistenza di una presunzione di accettazione, dal
momento
che
nel
rapporto
di agenzia
il
preponente non è obbligato a concludere
ed
eseguire
tutti
i
contratti
proposti dall'agente, spettando a
quest'ultimo
solo
le
provvigioni
per
gli affari accettati
ed
eseguiti,
ovvero
rimasti
ineseguiti per causa non imputabile.
sussisteva una presunzione di
accettazione degli ordini
da
parte del preponente, dal
momento
che
l'art. 6 deii'AEC allora vigente stabiliva l'operatività della presunzione
solo nel caso in cui non fosse stabilito un
termine
per l'accettazione o
il
rifiuto
nei singoli
contratti
(termine
che, nel caso di specie, era
espressamente previsto dall'art. l del
contratto
di agenzia).
Ha
poi
ravvisato
la
non vessatorietà della clausola, in
quanto
non
comportava
alcuna limitazione di responsabilità del preponente,
limitandosi a regolare le modalità di esercizio di un
diritto.
6.5.
Ha
in via
ulteriore
dichiarato l'infondatezza della censura di parte
appellante in
merito
alla mancata eccezione di prescrizione del
diritto
al pagamento delle provvigioni nel giudizio di
primo
grado, dal
-
4/15
-
oltre
frontespizio
momento
che
la
società aveva sin dal
momento
della sua costituzione
in giudizio sollevato tale eccezione.
6.6.
Ha
ritenuto
inammissibile
la
domanda dell'appellante di
condanna
al
risarcimento del
maggior
danno subito ai sensi dell'art.
1224
cod. civ., in
quanto
domanda nuova, proposta per
la
prima volta
in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di
prime
cure.
6. 7.
Ha
ritenuto
infine che
il
tribunale avesse
fatto
corretta
applicazione del disposto dell'art.
116
cod. p roe. civ., avendo rilevato
l'assenza di contestazioni da parte dell'agente
in
merito
alla somma
spettante
alla preponente.
7. Per
la
cassazione della sentenza ha proposto ricorso Raffaele
Lamberti sulla base di
otto
motivi
illustrati
da
memoria.
La
società
Nute Partecipazioni S.p.A. ha resistito con controricorso.
Ragioni
della
decisione
l.
Con il
primo
motivo
si
lamenta
la
violazione e falsa applicazione
degli
artt.
112, 115, 116, 167 e 189 cod. proc. civ., nonché
la
violazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma
l,
n. 3) cod. proc. civ. per
aver
la
corte d'appello -
trattando
dello
star
del credere -
errato
nel ritenere applicabile
il
principio di non
contestazione, ai sensi dell'art. 116 cod. p roe. civ., sulla base del
comportamento
dell'odierno ricorrente nel giudizio di
primo
grado,
laddove
quest'ultimo
avrebbe invece eccepito l'inesistenza del credito,
contestando
la
mancata prova da parte della società circa i
fatti
costitutivi
a
fondamento
della pretesa ereditaria.
Si
denuncia
inoltre
la
violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod.
proc. civ., in relazione all'art. 360, comma
l,
n.
4) cod. proc. civ. per
non
aver
la
corte d'appello
riformato
la
statuizione resa in
primo
grado inerente alla rivalutazione monetaria del
40%,
concessa alla
società in assenza di specifica domanda, nonché
la
nullità della
-
5/15
-
oltre
frontespizio
sentenza
per
mancanza di motivazione, ai sensi dell'art. 132, n. 4)
cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma
l,
n. 3) cod. proc. civ.
[sic],
per
aver
la
corte locale
argomentato
in
modo
contraddittorio
le
ragioni di
rigetto
della censura dell'appellante
in
relazione alla somma
riconosciuta in
favore
della società preponente.
Il
motivo,
che in
effetti
propone due separate
tematiche,
una delle
quali anche
argomentata
in
riferimento
a mancanza di motivazione, è
nel suo complesso inammissibile.
Quanto al
primo
aspetto, deve rilevarsi che -nel respingere il
motivo
d'appello -
il
collegio bolognese
ha
correttamente
richiamato
l'orientamento
espresso da questa corte di
legittimità
secondo cui
l'art. 167 cod. proc. civ., già prima della formale introduzione del
principio di non contestazione nel codice
di
rito con
la
novellazione
dell'art.
115,
imponeva al convenuto di prendere posizione sui
fatti
costitutivi
del
diritto
preteso dalla controparte, non essendo
sufficiente una generica contestazione della domanda e
tenuto
conto
che
il
signor
Lamberti
-anche
il
relazione all'art. 116 cod. proc. civ. -
non aveva
contestato
le
"decurtazioni
attuate".
Tale pronuncia è in linea con
la
giurisprudenza che
ha
affermato
che
il convenuto, ai sensi
dell'art.
167 cod. proc. civ., fosse
tenuto,
anche
anteriormente
alla formale introduzione del principio di "non
contestazione" a seguito della modifica
dell'art
. 115 dello stesso
codice, a prendere posizione, in
modo
chiaro
ed
analitico, sui
fatti
posti o
dall'attore
a
fondamento
della propria domanda, i quali
debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove
la
parte,
nella comparsa di costituzione e risposta,
si
sia
limitata
a negare
genericamente
la
"sussistenza dei presupposti di legge" per
l'accoglimento della domanda
attorea,
senza elevare alcuna
contestazione chiara e specifica (così ad es. Cass . n.
19896
del
2015).
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6/15
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Nel caso di specie, risulta dalle indicazioni contenute in ricorso (p. 16
e
p.
20) come
parte
ricorrente abbia
lamentato
in
primo
grado
la
mera "inesistenza" del credito. Rettamente dunque, in relazione alla
mancanza di specificità di tale deduzione,
sia
il
tribunale
sia
la
corte
d'appello hanno
ritenuto
sussistere
la
non contestazione, in
particolare notando il
tribunale
la
non contestazione della
"relativa
espressa pattuizione inserita nel
contratto
individuale" e notando
la
corte d'appello che le
"decurtazioni
attuate"
non fossero state
oggetto
di contestazione specifica da parte dell'agente. Del resto,
l'accertamento della sussistenza di una
(pur
generica) contestazione
ovvero
d'una non contestazione, quale contenuto della posizione
processuale,
rientrando
nel quadro dell'interpretazione degli
atti
della
parte, è funzione del giudice di
merito
(Cass. n.
10182
del
03/05/2007);
ciò
da
cui discende l'inammissibilità della censura,
siccome tesa,
appunto,
a
sottoporre
alla corte di
legittimità
la
rivalutazione di un apprezzamento di merito.
E'
appena
il
caso di
rilevare, in tale contesto, che -essendo stata
la
contestazione
desunta dall'aspecificità della posizione dell'odierno ricorrente -non
era
impedito
alla corte d'appello modificare
il
quantum
accertato.
In
merito
poi alle doglianze circa
la
rivalutazione monetaria,
asseritamente riconosciuta - e in tesi senza motivazione -benché
non richiesta,
si
evidenzia come anche
le
stesse siano prive di
specificità, con inammissibilità della doglianza sotto tale ulteriore
angolo visuale.
Il
ricorrente
(che sostiene a
p.
26 del ricorso di
aver
"censurato"
in appello
la
statuizione di primo grado) avrebbe
dovuto
in
primo
luogo trascrivere in ricorso
la
formula contenuta nell'atto di
appello (a
fronte,
peraltro, della posizione della
controricorrente
-
p.
7 del controricorso secondo cui non vi sarebbe stata
impugnazione).
In
secondo luogo, poi, avrebbero
dovuto
essere
quantomeno
svolte
le
deduzioni in
tema
di omessa pronuncia di cui
alla nota pronuncia di Cass. sez. U
n.
17931 del
24/07/2013.
-
7/15
-
oltre
frontespiziO
Infine,
non sussiste alcuna mancanza assoluta di motivazione della
sentenza
impugnata.
2. Con
il
secondo
motivo
si
lamenta l'omesso esame di un
fatto
decisivo
per
il giudizio, oltreché l'omessa valutazione della condotta
processuale della società preponente nel giudizio di
primo
grado ai
sensi
dell'art.
116 cod. pro
c.
civ.,
determinante
secondo il ricorrente
una disparità di
trattamento
con conseguente violazione dell'art. 1748
cod. proc. civ.; ciò ai sensi dell'art. 360, comma
l,
n.
3) cod. proc.
civ. lamentandosi il non
aver
la
corte d'appello
valutato
ai fini della
decisione il
comportamento
processuale e sostanziale delle parti.
Il
ricorrente evidenzia come nel corso del giudizio di
primo
grado
la
società avesse esercitato un ostruzionismo nei suoi confronti, non
effettuando
la
produzione documentale utile e rallentando così
il
normale
andamento
del processo. Tale
comportamento
non sarebbe
stato
tuttavia
utilizzato come fonte di prova dal tribunale, dalla
corte d'appello,
la
quale non avrebbe considerato che era onere del
preponente, e non dell'agente, depositare i documenti necessari ai
fini della verifica dei crediti provvigionali.
Si
lamenta inoltre
la
nullità
della sentenza
per
violazione dell'art. 132,
n.
4)
cod. proc. civ. per
aver
la
corte omesso di
motivare
sul
comportamento
processuale e
sostanziale delle parti.
Anche tale
motivo,
in
tutte
le
censure di cui
si
compone, è
inammissibile.
Si
rileva, in
primo
luogo, come
la
valutazione del
comportamento
processuale delle parti ai fini
probatori
rientri
nell'ambito
del principio
del libero convincimento, ai sensi degli
artt.
115 e
116
cod. p roe. civ.,
operando
interamente
sul piano dell'apprezzamento di
merito,
insindacabile in sede di
legittimità
(si richiamano, sul punto, Cass. n.
23940
del 2017,
n.
20673
del 2012,
n.
26088 del 2011,
n.
18128
del
2006),
ciò da cui discende l'inammissibilità del mezzo.
-
8/15
-
oltre
fronteSPIZIO
Inoltre,
in
materia
di ripartizione dell'onere della prova dei
fatti
costitutivi
posti a
fondamento
del
diritto
dell'agente alle provvigioni,
ai
sensi
dell'art.
1748
cod. civ., è pacifico
l'orientamento
di questa
corte di
legittimità
secondo cui è onere di
quest'ultimo
provare che gli
affari da lui promossi sono andati a buon fine o che
il
mancato
pagamento sia
dovuto
a
fatto
imputabile
al preponente
(v.,
ex
multis,
Cass. 25023 del
2013).
In
relazione a ciò,
la
doglianza -in
quanto
incentrata
su
un presunto
comportamento
ostruzionistico -non è
pertinente
rispetto alla fattispecie, nella quale
la
parte ricorrente
avrebbe
dovuto
fornire
i
fatti
costitutivi
a
fondamento
della propria
pretesa ereditaria.
Sul punto
la
decisione
impugnata
è dunque corretta
(oltre
che priva
di lacune
motivazionali),
laddove
il
collegio d'appello ha considerato
come
dirimente
la
circostanza che non fossero
prodotti
in giudizio gli
ordini
inviati
dall'agente alla società preponente e rimasti inevasi,
argomento
questo rispetto al quale pure
il
mezzo non è correlato.
3. Con il
terzo
motivo
si
lamenta
la
violazione degli
artt.
1188,
comma 2,
1742,
1744, 1748,
1749, 2041, 2225, 2702, 2727, 2729,
2733 cod. civ., dell'art. 4
AEC
09.06.1988,
dell'art. 5
AEC
25.07.1989,
nonché degli
artt.
115 e 116 cod. proc. civ., in relazione
all'art. 360, comma
l,
n. 5) cod. proc. civ.
[sic],
avendo
la
corte
d'appello anche omesso l'esame di
fatti
decisivi per
il
giudizio.
Si
lamentano
inoltre
la
violazione e falsa applicazione degli
artt.
2041,
1188,
1742,
1744, 1748, 1749, 2225, 2702, 2727, 2729 e 2733 cod.
civ., nonché degli
artt.
115 e 116 cod. p roe. civ. per non
aver
la
corte
d'appello riconosciuto
al
signor Lamberti
quanto
domandato
a
titolo
di
indebito
arricchimento,
nonché
la
violazione degli
artt.
2041,
1188,
1742,
1744, 1748, 1749,
2225, 2702, 2727, 2729 e 2733 cod. civ.,
nonché degli
artt.
62, 195, 115 e 116 cod. p roe. civ. per non
aver
la
corte locale considerato,
ai
fini del riconoscimento delle
attività
di
incasso di somme,
il
costante riproporsi degli eventi di
"insolvenza"
-
9/15
-
oltre
frontespizio
riguardanti
la
quasi
totalità
della clientela della zona, ritenendo invece
di assimilare a essi il concetto di
"insoluto".
Anche
tale
complesso
motivo
è inammissibile. Esso,
infatti,
in
tutte
le
sue componenti,
sotto
la
veste di censure per violazione di legge e
omesso esame, è
volto
a
reintrodurre
nel presente giudizio di
legittimità
argomentazioni di
merito,
insindacabili in questa sede.
Trattasi, in particolare, di censure mosse dal ricorrente
su
tematiche
di
merito
già prese in considerazione con ampia motivazione dal
giudice di secondo grado:
-circa
l'interpretazione
del
termine
contrattuale
"insoluto",
la
corte
d'appello ha
ampiamente
motivato
le
ragioni per
le
quali, nonostante
la
prassi caratterizzata dalla tolleranza del ritardo nel pagamento dei
corrispettivi, sarebbe da ritenersi forzata l'identificazione di
detto
termine
con il concetto di
"insolvenza";
-circa
la
presunta
errata
valutazione del materiale probatorio,
avendo particolare riguardo alle dichiarazioni dei testi e alle risultanze
di
c.t.u.,
si
tratta
di apprezzamenti sovrani del giudice di
merito,
non
rivedibili in questa sede, in particolare non essendo emerso -sul
~
punto in questione, come negli altri -alcun
effettivo
"omesso esame" .
di
fatti
storici;
-circa, poi,
l'attività
di recupero crediti
da
parte dell'agente,
il
giudice
del
gravame
ha considerato
la
stessa come prestazione accessoria del
rapporto
contrattuale
di agenzia, in linea con
l'orientamento
di questa
corte di
legittimità
secondo cui
la
facoltà dell'agente di riscuotere
crediti
per
conto della preponente deve risultare da espressa
previsione scritta, in caso
contrario
nulla essendo
dovuto
al
medesimo a
titolo
di incasso (v. Cass.
n.
6024
del
2011);
in tal
senso, non risultando dal
contratto
di agenzia un esplicito richiamo in
merito,
il ricorso
inammissibilmente
non
si
fa
carico di un'adeguata
critica alla sentenza
impugnata
in
parte
qua;
-
10/15
-
oltre
frontespizio
-circa, ancora, il mancato riconoscimento dell'indennizzo per indebito
arricchimento, anche in questo caso
il
ricorso non
si
fa carico di
fornire
argomenti
idonei a superare l'indirizzo della giurisprudenza di
legittimità
-cui
si
è adeguata
la
corte d'appello -secondo cui, ai fini
dell'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento in materia di
contratto
di agenzia, occorre che l'agente fornisca
la
prova
dell'arricchimento
effettivo
del preponente (cfr. Cass. n. 2356 del
1994);
inoltre,
se
parte ricorrente lamenta che
la
maggio razione del
prezzo di listino abbia
determinato
in capo alla società preponente un
ingiustificato
arricchimento,
dal quale deriverebbe
la
fondatezza della
domanda
ex
art. 2041 cod. civ.,
le
valutazioni svolte dal collegio
d'appello (laddove
quest'ultimo
ha evidenziato come
la
suddetta
maggiorazione -
peraltro
del
5%
-fosse giustificata proprio dal
ritardo
dei pagamenti da parte dei clienti, operando come criterio
compensativo del pregiudizio subito dalla preponente) sono
incensurabili in cassazione, attenendo all'apprezzamento di
merito;
il
ricorrente, comunque, non
si
onera di
dimostrare
-come non
ha
dimostrato
in appello -in che modo
la
maggiorazione del prezzo
avesse
determinato
un
effettivo
arricchimento
in
capo alla società.
4. Con il
quarto
motivo
si
lamenta
la
violazione degli
artt.
1748,
1749, 1175,
1375,
1341, 1355,
2697, 2909 cod. civ., degli
artt.
115,
210, 62 e 195 cod. proc. civ., dell'art. 6
AEC
del
25.07.1989
nonché
l'omessa
motivazione
della sentenza
su
un punto essenziale ai sensi
dell'art. 132, comma 4, cod. proc. civ. per
aver
la
corte d'appello
rigettato
la
richiesta di indennità per
"resi"
e per
"mancato
consegnato", non considerando che
la
mancata comunicazione del
rifiuto,
entro
sessanta giorni dal ricevimento dell'ordine, equivarrebbe
ad
accettazione della proposta dell'agente, a norma dell'art. 6
deii'AEC del
1989
per
cui, in mancanza del rispetto del suddetto
termine,
il
contratto
dovrebbe ritenersi concluso.
Si
lamenta altresì il
vizio di motivazione della sentenza
in
riferimento
all'art. 360, comma
-
11/15-
oltre
frontespizio
1, n. 5) cod. proc. civ., per
aver
la
corte d'appello omesso l'esame di
fatti
decisivi
per
il
giudizio, circa
la
mancata produzione da parte
dell'agente degli ordini inviati alla società mandante e rimasti inevasi.
Anche tale
motivo
è inammissibile, in quanto esso pure ripropone
al
giudice di
legittimità,
sotto
la
veste di censure di violazione di legge e
omesso esame,
la
rivalutazione di accertamenti in
fatto
di spettanza
esclusiva del giudice del
merito.
L'inammissibilità
si
correla altresì al
difetto
di pertinenza del mezzo,
che non
si
fa carico di criticare idoneamente
l'argomento
evidenziato
correttamente
dal collegio d'appello, secondo il quale
l'art.
6 deii'AEC
allora
vigente
stabiliva
l'operatività
della presunzione solo nella
circostanza in cui non fosse stabilito un
termine
per l'accettazione o il
rifiuto nei singoli
contratti
stipulati;
nel caso di specie il
termine,
secondo l'apprezzamento dei giudici di
merito,
era espressamente
previsto
dall'art.
1 del
contratto
di agenzia.
peraltro può
trovare
considerazione in sede di
legittimità
quanto
asserito in
materia
di presunta violazione del dovere di correttezza e
di buona fede da
parte
della società, dal
momento
che
la
valutazione
del
comportamento
contrattuale
delle parti -al pari di
altri
profili
fattuali
sollevati
nell'ambito
del
motivo
di ricorso -integra un aspetto
di
merito,
insuscettibile di riesame in sede
di
legittimità.
5.
Con il
quinto
motivo
si
lamenta
la
nullità della sentenza
per
vizio in
procedendo,
oltreché
la
violazione dell'art.
112
cod. proc. civ.
in
riferimento
all'art. 360,
n.
4) cod. proc. civ., per
aver
la
corte
d'appello omesso di pronunciarsi
in
ordine alla domanda subordinata
di condanna della società preponente al pagamento di somme, a
titolo
di indennizzo,
per
concorso spese per i
contratti
stornati dalla
stessa.
Il
motivo
è inammissibile per
difetto
di autosufficienza, in
quanto
il
ricorrente avrebbe
dovuto
dapprima
dimostrare
di
aver
proposto
la
domanda in
primo
grado,
in
caso contrario non potendo
la
stessa
-
12/15
-
oltre
frontespiZIO
essere proposta nel giudizio di
gravame,
e non sussistendo l'obbligo
di pronuncia da parte della corte d'appello (sul punto, v. Cass. n.
24445 del 2010,
n.
5435 del 2010 e
n.
12412 del 2006).
6. Con il sesto
motivo
si
lamenta
la
violazione e falsa applicazione
degli
artt.
2934, 2935, 2938, 2948 e 2697 cod. civ. nonché degli
artt.
112, 167 e 189 cod. p roe. civ. per
aver
la
corte d'appello accolto, al
pari del
tribunale,
l'eccezione di prescrizione breve in
merito
alle
provvigioni
dovute
all'agente per i
"resi".
Il
motivo
è inammissibile in
quanto
generico e non autosufficiente.
Si
richiama che il ricorrente,
riportando
nel
motivo
di ricorso
le
conclusioni rassegnate dalla
controparte
non contenenti eccezioni
delle specie, asserisce che
la
comparsa di risposta nulla esprimesse
in
argomento,
e che comunque l'eccezione
si
dovrebbe reputare
abbandonata in
quanto
non riproposta nelle conclusioni;
contraddittoriamente
in altre parti del ricorso
il
ricorrente discorre di
genericità dell'eccezione
quanto
al
tipo
di prescrizione dedotta e,
infine, di mancata sua coltivazione (ciò che
fa
pensare
al
sussistere di
una originaria eccezione).
Al
contrario,
la
controricorrente
afferma
essere stata l'eccezione
ritualmente
formulata
in fase
introduttiva
in
primo
grado.
Il
collegio d'appello, da parte sua, ha rilevato che
l'eccezione di prescrizione del
diritto
al pagamento delle provvigioni
dell'agente era stata sollevata dalla società preponente sin dal
momento
della sua costituzione in giudizio in
primo
grado.
In
tale situazione, questa corte non è
in
condizione di valutare, sulla
base del
motivo,
la
questione e,
se
sussistenti, gli eventuali
limiti
dell'eccezione.
Stanti i dubbi di genericità dell'eccezione,
il
ricorrente avrebbe
dovuto
trascrivere
la
comparsa di costituzione nella parte
narrativa
relativa
alla questione. Quanto al rilievo delle conclusioni, l'eccezione -come
emerge dalla stessa giurisprudenza richiamata dal ricorrente -non
poteva
certamente
dirsi abbandonata, dal
momento
che, ai fini della
-
13/15
-
oltre
frontespizio
presunzione dell'abbandono, è necessario che esso possa desumersi
inequivocabilmente, alla luce della valutazione della condotta
processuale della parte.
Solo
per
completezza, dunque, può notarsi che, sin dal
primo
grado di
giudizio,
la
società aveva eccepito
l'intervenuta
prescrizione
quinquennale per
tutte
le pretese anteriori al quinquennio dalla
notifica del ricorso innanzi al giudice del lavoro di Salerno (v.
comparsa di costituzione e risposta in
primo
grado).
7. Con il
settimo
motivo
si
lamenta
la
violazione degli
artt.
287, 339 e
342 cod. proc. civ. per
aver
la
corte d'appello
erroneamente
attivato
un procedimento per correzione di errore materiale, realizzando
invece una modifica sostanziale della decisione di primo grado .
In
particolare, i due
errori
corretti
sono relativi a un'indicazione
inesatta del
numero
del
libretto
di deposito (n.
410729
rispetto al
n.
4107029)
e in un'inversione numerica del dato economico conclusivo
contenuto in sentenza relativo
all'importo
liquidato (pari
ad
26.500,00
e non a 62.
500,00).
Il
motivo
è infondato.
Appare evidente nel caso di specie che gli
errori
la
cui correzione
è,
,
censurata dal ricorrente integrassero meri refusi, come dimostra
la
lettura
della motivazione, che non
offre
dati in contrario.
8. Con
l'ottavo
motivo
si
lamenta
la
violazione dell'art. 1751 cod. civ.,
nonché
la
violazione deii'AEC
25/07/1989,
per
aver
la
corte d'appello
riconosciuto l'indennità di scioglimento del rapporto, ma non
l'indennità di clientela
dovuta
all'agente.
In
particolare,
la
parte ricorrente sottolinea
quest'ultima
indennità sia
dovuta
non solamente nell'ipotesi in cui
la
cessazione del rapporto
avvenga
su
iniziativa della casa mandante, ma altresì in ipotesi di
scioglimento consensuale del vincolo
contrattuale,
come avvenuto nel
caso di specie.
Il
motivo
è fondato.
-
14/15
-
oltre
frontespizio
..
Si
rileva che, alla luce dell'art. 11 deii'AEC del
25/07/1989,
l'indennità
suppletiva di clientela non è
dovuta
solo
se
"il
contratto
si
scioglie
per
un
fatto
imputabile
all'agente o rappresentante". Tale ipotesi non
ricorre nel caso di specie dal
momento
che mai risulta
addotto
in
causa che
la
cessazione del
contratto
sia derivata da iniziativa della
società preponente
per
fatto
imputabile
all'agente, sostenendosi
al
contrario che il
contratto
si
fosse risolto consensualmente
tra
le
parti.
Per 1
-~-ai
fini dell'esclusione dell'indennità suppletiva,
la
società
preponente avrebbe
dovuto
fornire
la
prova della sussistenza del
fatto
imputabile
all'agente (di cui, secondo l'art.
11,
avrebbe
dovuto
dare
motivazione all'agente nella lettera di revoca), dovendo
in
caso
contrario
il
giudice procedere al riconoscimento dell'indennità.
9.
Ne
deriva che, dovendosi cassare
la
sentenza impugnata in
relazione
al
motivo
accolto, disattesi gli
altri,
non potendosi
pronunciare nel
merito
in
quanto
gli accertamenti ai fini della
spettanza concreta dell'indennità suppletiva di clientela
presuppongono l'espletamento di
attività
estranee alla sede di
legittimità,
deve disporsi il rinvio innanzi alla corte d'appello di
Bologna in diversa sezione, che
si
designa altresì per il governo delle
spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
la
corte accoglie
l'ottavo
motivo
di ricorso, disattesi gli
altri,
cassa
la
sentenza
impugnata
in
relazione al
motivo
accolto e rinvia alla corte
d'appello di Bologna, in diversa sezione, anche per
le
spese del
giudizio di
legittimità.
Così
deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione
civile, il
29
novembre
2018.
-
15/15
-
oltre
frontespizio
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