Sentenza Nº 29299 della Corte Suprema di Cassazione, 04-07-2019

Presiding JudgeTARDIO ANGELA
ECLIECLI:IT:CASS:2019:29299PEN
Date04 Luglio 2019
Judgement Number29299
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PICCERI ORAZIO ANTONIO nato a GELA il 20/04/1968
avverso il decreto del 10/09/2018 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
lette/odltike le conclusioni del PG
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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29299 Anno 2019
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: SIANI VINCENZO
Data Udienza: 01/04/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1.
Con il provvedimento in epigrafe, emesso il 10 settembre 2018, il
Presidente del Tribunale di sorveglianza di Sassari ha dichiarato inammissibile
l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare
proposta nell'interesse di Orazio Antonio Picceri.
A ragione il giudice emittente ha osservato che Picceri era in corso di
espiazione della pena inflittagli per reati commessi con l'aggravante
dell'agevolazione di associazione mafiosa ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152 del 1991,
ostativi alla concessione dei suddetti benefici, ai sensi degli artt. 47,
47-ter,
comma 1-bis,
e
4-bis,
Ord. pen.
2.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore del condannato
chiedendone l'annullamento sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si prospettam violazione degli artt. 13, 24, 25, 27,
101 e 111 Cost., 5 e 6 CEDU, 14 e 15 patto ONU.
Il quadro normativo di rango costituzionale e sovranazionale - evidenzia il
ricorrente - impone l'osservanza anche nel procedimento esecutivo delle
garanzie giurisdizionali e, fra queste, della garanzia del contraddittorio, posto
che, ispirandosi ai relativi principi, le direttive 96 e 98 della legge delega del
1987 avevano imposto di assicurare il contraddittorio nei procedimenti in materia
di esecuzione: tali principi sono stati violati nel caso in esame potendo
ammettersi una decisione
de plano
solo nel caso della reiterazione della
precedente istanza, già esaminata, senza la deduzione di elementi nuovi.
2.2. Con il secondo motivo si prospettacto inosservanza degli artt. 666,
comma 2, e 678 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 47, comma
3-bis
e
4-bis,
Ord. pen.
Il ricorrente deduce che la sua istanza di affidamento in prova era stata
proposta ai sensi dell'art. 47, comma
3-bis,
cit. e, dopo la sua proposizione, era
stata fissata anche l'udienza in camera di consiglio per il 22 novembre 2018, ma
poi in data 10 settembre 2018, dopo oltre trenta giorni dalla presentazione
dell'istanza, il Presidente del Tribunale di sorveglianza ha emesso il decreto di
inammissibilità, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge: in particolare, il
giudice emittente non ha considerato che l'affidamento in prova poteva essere
concesso anche quando il condannato doveva espiare una pena, anche residua,
non superiore a quattro anni di detenzione, quando il condannato aveva serbato,
quantomeno nell'anno precedente alla presentazione dell'istanza, un
comportamento tale da consentire il giudizio favorevole; pertanto, in punto di
principio, dovendo Picceri scontare una pena residua pari ad anni tre, mesi sei e
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
giorni quindici, non si versava in un caso in cui mancavano le condizioni per la
concessione della misura alternativa e quindi l'istanza doveva essere sottoposta,
nel contraddittorio, all'attenzione del Tribunale di sorveglianza.
Quanto al riferimento alla disciplina di cui all'art.
4-bis
Ord. pen., evidenzia
la difesa, il decreto impugnato, da un lato, non ha considerato che, a fronte di un
fine pena fissato all'il aprile 2022, la residua espiazione non riguardava se non
soltanto per giorni quindici il reato ostativo a cui il decreto ha fatto riferimento,
mentre la restante pena scaturiva dai reati di lesioni e di usura, e, dall'altro,
anche per i reati aggravati ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991 comunque era possibile
acquisire, mediante i documenti e le informazioni necessarie, elementi tali da
verificare la possibilità dell'accesso ai benefici, previa esclusione dell'attualità dei
collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, elementi in vista dei
quali il Tribunale aveva anche avviato la richiesta di informazioni delegando la
Questura di Milano, sicché il decreto è pure sotto questo profilo ingiustificato.
2.3. Con il terzo motivo si evidenzia la violazione dei principi di
ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena.
Prendendo spunto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2018,
con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3
Cost., con assorbimento della questione relativa all'art. 27 Cost., l'art. 656,
comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il pubblico ministero
sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di
maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni, il ricorrente
sottolinea che il giudice delle leggi aveva affermato la necessità della
corrispondenza tra i presupposti della sospensione dell'ordine di esecuzione e
dell'accesso alle misure alternative, anche in riferimento alle ipotesi derogatorie
previste dall'art. 656, comma 9, lett. a) cod. proc. pen., ritenute soggette al
controllo di costituzionalità, sicché non sembra ragionevole una presunzione
astratta di non pericolosità incentrata su parametri formali, quali l'entità della
pena e il titolo del reato, chiamata a sorreggere la sospensione dell'ordine di
esecuzione, dovendo invece valorizzarsi una condizione tale da postulare un
concreto accertamento giurisdizionale sull'effettiva assenza di pericolosità, in
relazione a cui le esclusioni della sospensione operano quali eccezioni suscettibili
di essere sottoposte allo scrutinio di costituzionalità, a prescindere dagli
indicatori valorizzati.
3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento del decreto
impugnato, in quanto l'art. 678, con il richiamo al procedimento di cui all'art. 666
cod. proc. pen., avrebbe imposto, in relazione al contenuto dell'istanza e ai
documenti allegati, l'approfondimento istruttorio che soltanto la fase camerale in
3
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contraddittorio avrebbe potuto assicurare, mentre il procedimento
de plano
resta
riservato ai casi in cui l'istanza sia
ictu °cui/
manchevole delle condizioni di legge
o reiterativa di altra già rigettata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.
L'impugnazione è fondata e va accolta nei sensi che seguono.
2.
Va premesso che il Presidente del Tribunale di sorveglianza per giungere
alla conclusione sopra indicata ha specificato che, secondo il suo computo, non
risulta ancora espiata la porzione di pena relativa ai reati accertati a sito carico
con la sentenza della Corte di appello di Catania del 13 dicembre 2006,
irrevocabile il 3 aprile 2014: in particolare, questa decisione aveva irrogato a
Picceri la pena di anni dodici, mesi otto di reclusione.
Da tale entità sono stati, poi, detratti anni cinque, mesi undici, giorni sedici
di presofferto, nonché mesi quattro, giorni due, a titolo di fungibilità, con pena
residua pari ad anni sei, mesi quattro, giorni tredici, a fronte della quale il
detenuto aveva conseguito la liberazione anticipata per giorni 675, con fine pena
fissato all'il aprile 2022.
Infine, si è rilevato che il condannato non aveva instato per l'accertamento
della collaborazione impossibile.
3.
A fronte dell'iter esposto nel provvedimento impugnato, il secondo motivo
di ricorso si profila assorbente.
Il Collegio rileva che è da escludere la ricorrenza del caso - invece
presupposto nel provvedimento impugnato - della manifesta infondatezza
dell'istanza per difetto delle condizioni di legge, contemplato (in uno all'ipotesi di
reiterazione, senza
nova,
dell'istanza già rigettata) dall'art. 666, comma 2, cod.
proc. pen., situazione che abilita il giudice (in veste di giudice singolo o di
presidente del collegio) a provvedere
de plano
con decreto, senza instaurare il
contraddittorio.
Nella specie, l'adozione del rito de
plano
da parte del Presidente del
Tribunale di sorveglianza si è tradotta nell'inosservanza dall'indicata norma
processuale, stabilita a pena di nullità.
L'art. 666 cod. proc. pen. prescrive, ai commi 3 e 4 (salvi i casi contemplati
dal comma 2), il procedimento camerale partecipato, ai sensi dell'art. 127 cod.
proc. pen., con l'ulteriore requisito dell'intervento necessario del difensore e del
pubblico ministero: di conseguenza, se - come nel caso scrutinato - il giudice
territoriale provvede
de plano
fuori dei casi tassativamente previsti dall'articolo
4
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666, comma 2, cod. proc. pen., con inosservanza delle forme di rito prescritte,
tanto comporta la nullità di ordine generale e di carattere assoluto del relativo
terminale provvedimentale, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del
procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., per effetto
dell'estensiva applicazione delle previsioni della omessa citazione dell'imputato e
della assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (Sez.
1, n. 41754 del 16/09/2014, Cherni, Rv. 260524; Sez. 1, n. 29505 del
11/06/2013, Lahmar, Rv. 256111).
In effetti,
nell'istanza
di
riconoscimento delle
misure alternative
dell'affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare
formulata da Picceri, sono state poste questioni che non apparivano risolvibili in
modo immediato nel senso della chiara carenza delle condizioni di legge per lo
scrutinio di merito della domanda stessa, avendo il Presidente del Tribunale
compiuto una valutazione concreta dell'istanza - ponendola in relazione
all'ipotesi di scioglimento del cumulo delle pene in corso di espiazione, per la
verifica del carattere ostativo o meno, ai sensi dell'art
4-bis
Ord. pen., dei reati
alla base delle relative condanne e alla verifica della sussistenza, dedotta
dall'istante, delle condizioni per derogare alla stessa evenienza dei suddetti reati
ostativi - e concludendo, all'esito dell'analisi di merito della relativa posizione,
per la carenza dei requisiti soggettivi legittimanti l'accesso alle chieste misure
alternative: ciò, tuttavia, a fronte di un insieme di elementi che, non escludendo
l'esigenza di un'istruttoria documentale suscettibile di essere verificata anche alla
stregua delle allegazioni di parte, si mostrava in prima analisi necessitare di un
articolato e compiuto accertamento di tipo cognitivo.
Va sul punto riaffermato il principio secondo cui, in tema di procedimento di
sorveglianza, il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere
emesso
de plano,
ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen.,
esclusivamente qualora l'istanza manchi dei requisiti posti direttamente dalla
legge e la presa d'atto di tale mancanza non richieda accertamenti di tipo
cognitivo, né valutazioni discrezionali (Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, Focoso,
Rv. 273714; Sez. 1, n. 35045 del 18/04/2013, Giuffrida, Rv. 257017).
Pertanto, la situazione prospettata - al di là della, maggiore o minore,
opinabilità delle ulteriori questioni sollevate con i restanti motivi - militava nel
senso dell'insussistenza della manifesta infondatezza legittimante il
procedimento planare ed esigeva da parte del competente Tribunale di
sorveglianza l'esame dell'istanza con il procedimento camerale partecipato,
palesandosi necessario valutare in modo approfondito e previa istituzione del
contraddittorio la posizione del condannato al fine della verifica, alla luce di tutti
gli elementi necessari, dei requisiti soggettivi per l'ammissione alle chieste
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misure alternative; ciò, impregiudicata ogni susseguente determinazione.
4. In definitiva, essendo stato emesso, il provvedimento oggetto di esame,
all'esito del - non consentito nella specie - procedimento
de plano,
diviene
ineludibile il suo annullamento senza rinvio a la trasmissione degli atti al
Tribunale di sorveglianza di Sassari per l'ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di sorveglianza di Sassari per l'ulteriore corso.
Così deciso il 1° aprile 2019
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