Sentenza Nº 17415 della Corte Suprema di Cassazione, 23-04-2019

Presiding JudgeDI TOMASSI MARIASTEFANIA
ECLIECLI:IT:CASS:2019:17415PEN
Judgement Number17415
Date23 Aprile 2019
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHARGUI SAMI nato a ROMA il 18/03/1991
avverso la sentenza del 04/10/2018 del GIP TRIBUNALE di TIVOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
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Penale Sent. Sez. 1 Num. 17415 Anno 2019
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BONI MONICA
Data Udienza: 28/03/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza resa il 4 ottobre 2018 il Tribunale di Tivoli, su richiesta
delle parti ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., unificati i reati per
continuazione, applicava all'imputato Sami Chargui la pena di anni uno, mesi
otto di reclusione ed euro 600,00 di multa in relazione ai reati di detenzione,
porto e ricettazione di una rivoltella marca Taurus, cal. 38 speciale, matricola
n. ZD44271, arma comune da sparo, contenente due cartucce cal. 38 special,
provento di furto in danno di Paolo Moretti commesso in data 11 settembre
2017, fatti accertati in Fonte Nuova tra la data del furto ed il 21 luglio 2018.
2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del
difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per erronea applicazione della
legge penale e per mancanza di motivazione in relazione al ritenuto concorso
formale tra i reati di ricettazione e di, detenzione della stessa arma. Secondo
la difesa, al contrario, la condotta di detenzione avrebbe dovuto essere
ritenuta assorbita in quella di ricettazione, stante anche il concorso con il
reato di porto in luogo pubblico della medesima rivoltella. Le due fattispecie
sono ontologicamente identiche e sono sovrapponibili non potendo giustificarsi
la soluzione opposta in base alla diversità del bene giuridico leso o alla diversa
connotazione.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di
cassazione, dr. Domenico Seccia, ha chiesto dichiararsi inammissibile il
ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. In primo luogo rileva il Collegio che in data 27 febbraio 2019 alla
cancelleria di questa Corte è pervenuta una memoria del difensore con
allegata documentazione, riguardante altro procedimento penale e quindi non
pertinente al ricorso proposto avverso la sentenza di patteggiamento sopra
indicata, ragione per la quale non si terrà conto di quanto in tali atti
rappresentato.
2.Va
in
via
preliminare
affrontato
il
tema
dell'ammissibilità
dell'impugnazione in relazione alla possibilità di esperire il rimedio
innpugnatorio attivato avverso sentenza di patteggíamento.
2.1 E noto che, a norma dell'art. 448, comma
2-bis,
cod. proc. pen.,
introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, a far data dalla sua entrata in
vigore il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per
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cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss.
cod. proc. pen.
"solo per motivi attinenti all'espressione della volontà
dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza,
all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena e della
misura di sicurezza".
E' dunque testualmente esclusa la possibilità di far
valere vizi che attengano alla motivazione della sentenza di patteggiamento,
potendo il controllo giudiziale esercitarsi esclusivamente sulla manifestazione
dell'intento dell'imputato di accedere al rito, sul contenuto dell'accordo tra le
parti come recepito in sentenza, sulla correttezza delle norme cui sono riferite
le fattispecie concrete e sul rispetto del canone della legalità della pena e delle
misure di sicurezza eventualmente applicate.
2.2Raffrontata con il parametro normativo che disciplina l'istituto,
emerge che l'impugnazione proposta dal Chargui in data successiva alla
vigenza dell'art. 448, comma
2-bis,
cod. proc. pen., può ritenersi in astratto
ammissibile, perchè devolve questioni sulla corretta applicazione della legge
penale in ordine al profilo giuridico della possibilità di concorso tra il delitto di
detenzione e quello di ricettazione della medesima arma comune da sparo.
3. La censura è però manifestamente infondata perché articolata con
rilievi che prescindono totalmente dall'illustrazione della vicenda concreta
giudicata e da qualsiasi informazione probatoria in grado di scandire i tempi di
commissione delle distinte condotte ascritte al ricorrente, il quale, secondo
quanto riportato in sentenza, era stato arrestato nella flagranza del delitto di
porto illegale in luogo pubblico della rivoltella marca Taurus cal. 38 special,
carica e munita di due cartucce al suo interno, precedentemente sottratta da
ignoti al legittimo proprietario e quindi ottenuta dal Chargui nella
consapevolezza della sua provenienza da un crimine precedentemente
commesso.
3.1 E' dunque certo, anche in base alla scarne informazioni desumibili
dalla sentenza, unica fonte che apporti al caso qualche indicazione
conoscitiva, che, rispetto all'accertamento della disponibilità dell'arma
condotta in luogo pubblico, il soggetto agente ne aveva in precedenza
ottenuto e quindi conservato il possesso in circostanze di fatto mai chiarite.
Altrettanto deducibile con certezza, per l'assenza di dati conoscitivi in senso
contrario, è che l'imputato non aveva ricevuto l'arma nel medesimo contesto
o immediatamente prima di essere sottoposto al controllo del personale di
polizia che aveva condotto al suo rinvenimento, sicchè la sua disponibilità era
stata necessariamente acquisita in un momento antecedente. Si tratta di
verificare se la condotta di ricezione del dispositivo, pacificamente provento di
furto, esaurisca il proprio disvalore quale ricettazione o se residui uno spazio
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per poter configurare anche il concorrente delitto di detenzione illegale della
stessa arma.
3.2 In linea generale l'art. 648 cod. pen. stabilisce che è responsabile del
reato di ricettazione chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto,
"acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto,
o comunque si intromette per farli acquistare, ricevere od occultare".
La
norma incriminatrice descrive come illecita, sia l'ipotesi dell'acquisto, che
quella della ricezione e dell'occultamento, nonché quella dell'intromissione nel
far acquistare, ricevere od occultare, condotte alternative tra loro quali
modalità di realizzazione della stessa azione e della medesima violazione
giuridicamente sanzionata. Come sostenuto da autorevole dottrina, con il
termine "acquisto" l'art. 648 cod. pen. intende riferirsi, non soltanto alla
stipulazione di un formale negozio di compravendita, ma anche ad ogni
accordo con terzi, idoneo a far conseguire il possesso della cosa, pur se non
seguito dalla sua materiale consegna. Se ne trae conferma dalla
incriminazione quale condotta illecita, distinta dall'acquisto, della ricezione,
che individua qualsiasi azione che faccia ottenere all'agente il possesso della
cosa proveniente da reato e quindi ne consenta il trasferimento nella sua sfera
patrimoniale (Cass., sez. 1, n. 8245 del 111/5/1987, Piga, rv. 176392; sez. 4,
n. 14424 del 2/12/2012, De Martis ed altri, rv. 253302). E' poi altrettanto
indiscusso in dottrina, come in giurisprudenza, che la fattispecie di
ricettazione è configurata dal legislatore quale reato istantaneo, che si
consuma nel momento in cui l'oggetto materiale di provenienza criminosa
entra nella sfera di disponibilità e controllo dell'agente, mentre resta
irrilevante, se non integrante in sé altra ipotesi di reato, un eventuale uso
successivo del bene acquisito, così come il momento di accertamento (sez. 1,
n. 1638 del 23/05/1985, Podavini, rv. 169865).
Si è altresì affermato che, poiché il reato di ricettazione si perfeziona con
il conseguimento del possesso della cosa di provenienza delittuosa sorretto
dall'intenzione di trarre da essa profitto, allorchè il soggetto attivo commetta,
per realizzare il profitto che si è proposto, un secondo delitto, tale ultimo
reato non è assorbito nel primo, che è già perfetto, ma concorre
materialmente con esso. Tale principio è stato affermato in relazione: alla
successiva falsificazione di un documento d'identità sottratto al titolare
(sez.
2, n. 931 del 07/07/1981, dep. 1982, Diana, rv. 151881); alla detenzione per
la vendita di prodotti col marchio contraffatto, condotta incriminata dall'art.
474 cod. pen.( (sez. 2, n. 12870 del 09/03/2016, Dieng, rv. 266659; in
motivazione Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012, Micheli, rv. 252455; sez. 5, n.
2098 del 14/01/1997, Soubhi Moussa, rv. 206998); al compimento di una
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truffa quando con artifizi e raggiri il ricettatore inganni colui al quale ceda il
bene ricevuto circa la sua reale origine (sez. 2, n. 367 del 07/03/1966,
Audisio, rv. 101566); all'estorsione quando l'agente pretenda un compenso
per la restituzione al suo proprietario del bene ricettato, in precedenza
sottrattogli (sez. 2, n. 969 del 01/10/1981, dep. 1982, Bonn, rv. 151918); al
mantenimento del possesso di un'arma di provenienza illecita senza
denunciarla. Infatti, nella detenzione delle armi rientra il comportamento di
chi, una volta ottenutele, le trattenga in una situazione di fatto indicativa di
una stabile relazione del soggetto con la cosa, che renda apprezzabile
l'autonoma disponibilità del bene da parte dell'agente, in grado di farne uso
secondo le proprie autonome determinazioni senza portare a conoscenza
dell'autorità di pubblica sicurezza tale disponibilità (Cass. sez. F, n. 33609 del
30/08/2012, Bedin, rv. 253425; sez. 3, n. 46622 del 27/10/2011, Z., rv.
251967).
3.2 Da tali considerazioni si evince che non vi è coincidenza sul piano
materiale e su quello psicologico, né tanto meno quanto all'aspetto
cronologico tra ricettazione e detenzione illegale della medesima arma, per
integrare la quale non è nemmeno preteso il dolo specifico di trarne profitto
per sé o per altri, richiesto per configurare la ricettazione, essendo sufficiente
la coscienza e la volontà di mantenere a propria disposizione il bene
illecitamente senza averne fatto denuncia (Cass., sez. 1, n. 21355 del
10/04/2013, Lamanna, rv. 256302; sez. 1, n. 15885 del 01/03/2007, Re, rv.
236432; sez. 1, n. 12911 del 19/12/2000, Bortoluzzi, rv. 218441). Le due
fattispecie incriminatrici a confronto delineano condotte diverse, tra le quali
non può individuarsi un rapporto di specialità.
3.3 I medesimi principi sono stati riferiti anche all'ipotesi del concorso
tra il delitto di ricettazione e quello di detenzione di arma clandestina, oppure
provento di precedente sottrazione al legittimo proprietario nella forma del
furto o della rapina, concorso riconosciuto dalla pressocchè unanime
giurisprudenza (sez. 1, n. 39223 del 26/02/2014, Bonfiglio, rv. 260347; sez.
6, n. 45903 del 16/10/2013, Iengo, Rv. 257387; sez. 2, n. 41464 del
29/09/2009, Zara, rv. 244951; sez. 2, 19/2/2008, Donatello, rv. 239769;
sez. 2, n. 23/3/2004, Divano, rv. 230051) secondo orientamento da cui non
esistono ragione valide per discostarsi. L'affermazione viene giustificata in
considerazione del fatto che nella ricettazione di armi clandestine, il delitto
presupposto può essere anche quello di abrasione del numero di matricola e
la relativa condotta si può realizzare anche mediante il solo occultamento
delle armi, oltre che l'acquisto o la ricezione di esse: la norma incriminatrice
indica come caratteristica della
res
la provenienza da "qualsiasi" delitto,
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dovendosi peraltro intendere il concetto di "provenienza" nel suo ampio senso
proprio, che comprende qualsiasi forma di derivazione della cosa da una
condotta illecita altrui, della quale può dunque costituire tanto il "profitto", che
il "prodotto".
3.4 Conclusioni difformi non sono giustificate nemmeno in ragione del
costante orientamento interpretativo che, in tema di reati concernenti le armi,
esclude il concorso tra il delitto di porto illegale e quello di detenzione.
L'assorbimento per continenza del secondo nel primo, che esclude il concorso
materiale, può verificarsi soltanto quando la detenzione dell'arma inizi
contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista prova
che l'arma non sia stata detenuta anche in precedenza, sicchè in mancanza di
qualsiasi indicazione fornita dall'imputato, sul quale grava un mero onere di
allegazione, o altrimenti acquisita in ordine alla contestualità tra le due
condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo
attenersi al criterio logico della consueta anteriorità della detenzione rispetto
al porto, che fonda il rilievo della loro autonomia e possibile contestuale
contestazione (sez. 6, n. 46778 del 09/07/2015, Coscione e altri, rv. 265489;
sez. 1, n. 18410 del 09/04/2013, Vestita, rv. 255687; sez. 1, n. 4490 del
20/12/2001, Lo Russo, rv. 220647; sez. 1, n. 7759 dell'11/06/1996,
Zavettieri, rv. 205532).
Va dunque ribadito il seguente principio di diritto: "in tema di reati
riguardanti armi da sparo, è configurabile il concorso tra la detenzione di
un'arma, provento di furto, e la sua ricettazione poiché non sussiste
coincidenza tra le due fattispecie tanto sul piano materiale e psicologico,
quanto su quello cronologico dei momenti di consumazione ".
In applicazione dei superiori consolidati principi l'impugnazione
manifesta la propria palese infondatezza, oltre che assoluta genericità, sicchè
ne va dichiarata l'inammissibilità con la conseguente condanna del proponente
al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti
nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzione
pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo
determinare in euro quattromila.
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P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.
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