Sentenza Nº 16211 della Corte Suprema di Cassazione, 28-05-2020

Presiding JudgeIASILLO ADRIANO
ECLIECLI:IT:CASS:2020:16211PEN
Judgement Number16211
Date28 Maggio 2020
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
Sul ricorso proposto da:
SENTENZA
PRIVITERA Michele, nato il 31/10/1960;
Avverso la sentenza n. 27/2015 della Corte di Appello di Catania in data 18/09/2018;
Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;
Udite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del dott. Luca Tannpieri,
che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
Uditi i difensori delle Parti Civili costituite, Avv. Giuseppe Lo Faro, Avv. Graziella
D'Urso (anche in sostituzione dell'Avv. Gaetano Trovato), Avv. Francesco Siracusano
in sostituzione dell'Avv. Delfino Siracusano e Avv. Vincenzo Mellia, i quali hanno
chiesto il rigetto o la declaratoria di inammissibilità del ricorso dell'imputato;
Uditi i difensori dell'imputato, Avv. Cesare Placanica e Avv. Enrico Trantino, i quali
hanno insistito per l'accoglimento del ricorso;
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16211 Anno 2020
Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO
Data Udienza: 16/01/2020
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27/10/2014 la Corte di Assise di Catania
condannava Privitera Michele alla pena di anni ventuno di reclusione per l'omicidio di
Zappalà Salvatore. Si legge in sentenza che nel pomeriggio del 02/01/2008 i
Carabinieri di Catania ricevevano una telefonata dall'imputato che, molto scosso,
chiedeva aiuto sostenendo che un suo compagno di caccia gli aveva preso il fucile e si
era suicidato sparandosi; i Carabinieri si recevano prontamente nella zona di caccia di
Paternò e verificavano che l'imputato era sul posto, ancora visibilmente scosso, e che a
terra vi era il cadavere di Zappalà Salvatore; già nella immediatezza, però, l'ipotesi del
suicidio improvviso destava perplessità, per la posizione del cadavere e dell'arma;
l'imputato insisteva nel racconto di un'azione fulminea della vittima che, per motivi
sconosciuti, mentre procedevano camminando, gli aveva strappato il fucile e si era
sparato contro il capo: tuttavia non vi era spiegazione al gesto e la stessa dinamica,
per come raccontata, appariva inverosimile; sottoposto a misura cautelare, l'imputato
modificava la sua narrazione, sostenendo di avere affidato il suo fucile alla vittima e di
essersi allontanato per prendere le sigarette lasciate nella automobile poco distante e
di avere così sentito soltanto l'esplosione dello sparo, ma di non aver assistito al
suicidio, mentendo poi nel timore di essere accusato di un incauto affidamento
dell'arma alla vittima, che era molto giovane; in dibattimento egli aveva ribadito
questa versione, ma molti particolari destavano dubbi: egli sosteneva che, per
telefonare ai Carabinieri, era salito sul tetto della autovettura (la quale era a circa
20/30 metri dal cadavere) e si era tolto il berretto, ma quest'ultimo era stato ritrovato
accanto al cadavere e non accanto all'autoveicolo; egli dichiarava di avere chiamato il
suo amico Orifici e di essersi poi recato (movendo dal sentiero rurale ove si trovava)
sulla strada provinciale distante 800 metri, nel punto in cui poi sarebbe arrivato il suo
amico contestualmente ai Carabinieri: invece, i Carabinieri ricordavano che l'Orifici era
già insieme all'imputato quando loro erano giunti nell'agro e comunque su questo
punto le dichiarazioni dell'imputato erano state talora ambigue, come anche quelle sul
motivo per cui aveva lasciato il fucile alla vittima Zappalà (egli sarebbe andato a
prendere le sigarette nell'automobile dopo averle chieste invano alla vittima, ma in
precedenza aveva riferito che, prima della caccia, lo Zappalà si era fermato in un
negozio a prenderle e le aveva quindi con sé) e quelle sull'incidente in sé (egli, nel
corso delle indagini, era stato intercettato mentre ai propri genitori riferiva di un
tragico incidente e non di un suicidio), sulle ragioni dei cambi di versione (attribuiva le
prime dichiarazioni ad un cattivo consiglio ricevuto da un fantomatico personaggio, che
poi egli aveva inteso implicitamente far identificare con il primo avvocato d'ufficio dal
quale era stato assistito, senza avvedersi che però dette prime versioni erano state
espresse anche nelle prime telefonate fatte nell'immediatezza del fatto); quanto al
rapporto con la vittima, anche su questo egli non era stato chiaro: emergeva che
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