Sentenza Nº 15878 della Corte Suprema di Cassazione, 11-04-2019

Presiding JudgeCARCANO DOMENICO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:15878PEN
Date11 Aprile 2019
Judgement Number15878
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Aref Karouf, nato a Ben Garden (Tunisia) il 18/3/1984;
Rjab Hicham, nato in Tunisia il 4/5/1977,
Zahi Mohammed, nato in Tunisia il 8/6/1977,
Abuhadayed Saddam, nato in Palestina il 29/7/1989,
Rajeb Jamal, nato in Palestina il 16/3/1982,
avverso la sentenza del 13/6/2017 della Corte di assise di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Simone
Perelli, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi, l'avv. Pietro Riggi per Aref Karouf e per Rajeb Jamal, l'avv. Valerio Vianello
Accorretti per Zahi Mohamnned, l'avv. Salvatore Silvestro per Abuhadayed
Saddam, l'avv. Piercarlo Colli Vignarelli per Rjab Hicham, i quali hanno concluso
riportandosi ai rispettivi motivi di ricorso e chiedendone
.
l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza della Corte di assise di Messina in data 23/5/2016, Karouf
Aref, Hicham Rjab, Mohammed Zahi, Saddam Abuhadayed, Jamal Rajeb erano
stati condannati alla pena di venticinque anni di reclusione ciascuno, in quanto
riconosciuti colpevoli dei reati, aggravati ai sensi degli artt. 61 n. 4, 61 n. 11-
quinquies
cod. pen., 12, commi
3
-
bis
e 3
-
ter
del d.lgs. n. 286 del 1998 e 4 della
db-
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15878 Anno 2019
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: RENOLDI CARLO
Data Udienza: 30/10/2018
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
legge n. 146/2006 e unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 416
cod. pen. e 12 d.lgs. n. 286 del 1998, loro ascritti ai capi 1) e 2) della rubrica,
per avere fatto parte di un'associazione per delinquere transazionale finalizzata a
procurare, dietro corrispettivo, l'ingresso illegale nel territorio dello Stato per
mezzo di imbarcazioni partite dalla Libia e dirette verso le coste italiane, nonché
per avere compiuto, con le stesse modalità, atti diretti a procurare l'ingresso
illegale nel territorio dello Stato; e, ancora, di una pluralità di omicidi colposi,
riqualificati ai sensi degli artt. 586 e 589, comma primo, cod. pen. i fatti
originariamente contestati al capo 3)
ex
art. 575 cod. pen., in essi ritenuto
assorbito il reato contestato al capo 5), relativo alle lesioni aggravate di uno dei
migranti trasportati, anch'esso riqualificato ai sensi dell'art. 586 cod. pen.
rispetto all'originaria imputazione per lesioni personali dolose. La Corte di primo
grado aveva, altresì, assolto gli imputati, "perché il fatto non sussiste", dai
rimanenti reati loro ascritti al capo 4), per avere cagionato la morte per
annegamento di un bambino di quattro anni nonché di un numero indeterminato
di persone, e al capo 6) della rubrica, per avere ucciso un numero indeterminato
di persone, stimate intorno a 60, colpendole con coltelli e gettandole in mare.
1.1. Dall'articolata piattaforma probatoria (costituita dalle dichiarazioni rese
da alcuni migranti alla polizia giudiziaria nell'immediatezza dei fatti, acquisite a
dibattimento
ex
art. 512 cod. proc. pen. a cagione della sopravvenuta
imprevedibile irreperibilità dei dichiaranti; dal racconto compiuto in sede di
incidente probatorio da altri migranti, anch'essi presenti nel corso della
traversata; dalle testimonianze degli operanti impegnati nelle operazioni di
salvataggio e nelle successive attività di polizia giudiziaria; dalle dichiarazioni
rese dai consulenti tecnici che avevano effettuato rilievi autoptici e sulle
condizioni del natante utilizzato per il viaggio; dalle risultanze di un'attività
intercettativa compiuta in carcere nei confronti di alcuni degli imputati, nonché
dalle dichiarazioni in parte ammissive di taluno di essi, in particolare di Zahi) era
emersa la presenza di un'associazione per delinquere, radicata in territorio libico,
ma con chiare ramificazioni internazionali, la quale organizzava, dietro il
pagamento di somme di denaro di entità variabile, il trasporto via mare, verso le
coste italiane, di persone di varia etnia e nazionalità, provenienti da paesi
dell'Africa sub-sahariana, dall'area mediorientale e del Maghreb. I passeggeri,
dopo avere preso contatti con soggetti in grado di fornire le necessarie
informazioni logistiche, venivano convogliati in strutture di raccolta ove
stazionavano, per periodi variabili, in attesa della partenza, la quale in generale
avveniva e, nel caso di specie era avvenuta, dal porto libico di Zuwara.
Quivi, in data 16/7/2014, un gruppo di soggetti libici armati aveva fatto salire
i passeggeri a bordo_ di un vecchio peschereccio, sistemandoli sul natante a
seconda del prezzo corrisposto per il viaggio e, dunque, collocando nella stiva,
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nelle condizioni più disagevoli, quanti avevano pagato le cifre più basse, in
genere persone provenienti da paesi dell'Africa
sub
-
sahariana
e avendo cura di
ritirare, a imbarco ultimato, la scaletta che, dalla stiva, consentiva l'accesso in
coperta del natante.
Durante il primo giorno di viaggio, le condizioni dei passeggeri presenti nella
stiva, per quanto rese difficili dall'elevato numero dei presenti, dagli spazi
angusti in cui erano stati collocati e dall'assenza di aperture che favorissero il
ricambio dell'aria, non avevano superato il livello di guardia, anche perché le
persone incaricate della gestione dell'ordine a bordo avevano consentito ai
soggetti con maggiore difficoltà nella respirazione di recarsi, sia pure per brevi
periodi, in coperta, anche per alimentarsi e per espletare i bisogni fisiologici. Con
il passare del tempo, però, la situazione si era fatta più difficile, sino a diventare
drammatica, anche perché a un certo punto, il natante, in pessime condizioni dal
punto di vista strutturale e chiaramente sovraccarico per la presenza di un
numero compreso tra le 600 e le 700 persone, aveva iniziato a imbarcare acqua,
rendendo necessario inviare, da parte dell'equipaggio, alcuni passeggeri presenti
in coperta, a gruppi di dieci, per aiutare quanti si trovavano nella stiva, in una
catena umana impegnata a eliminare l'acqua che ivi si stava accumulando. La
situazione era, però, ulteriormente peggiorata, anche per effetto delle esalazioni
dei fumi prodotti dai motori del peschereccio, sicché, perdurando le difficoltà
respiratorie e quelle derivanti dalla protratta mancanza di acqua e cibo di cui era
nel frattempo cessata la somministrazione, le persone presenti nella stiva
avevano iniziato a chiedere, con sempre maggiore insistenza, di essere ammessi
in coperta, mentre coloro che erano a guardia dell'accesso alla stiva, armati di
bastoni e coltelli, avevano iniziato a respingere i più insistenti colpendoli anche
duramente. Secondo le testimonianze di alcuni dei migranti presenti, diverse
persone erano state colpite con dei coltelli, venendo uccise o gravemente ferite
e, quindi, gettate in mare. Altri erano stati colpiti e respinti nella stiva.
Tale situazione si era protratta fino al momento in cui il natante aveva
incrociato la petroliera danese "Torne Lotte", subito investita dei soccorsi; nave
che il barcone, nel corso delle manovre di avvicinamento, aveva urtato, secondo
la ricostruzione del primo giudice in maniera intenzionale, speronandola. In quel
frangente, molti dei passeggeri si erano gettati in acqua per raggiungere la
petroliera, mentre altri erano caduti in acqua a causa delle oscillazioni del
natante prodotte dai movimenti a bordo delle persone presenti, ormai prese dal
panico e dall'ansia di salire a bordo della nave dei soccorritori. Diverse persone,
non sapendo nuotare, erano annegate e, tra questi, anche un bambino di quattro
anni, Ahmad Kiki. Nel corso delle successive operazioni di soccorso, a bordo del
barcone erano stati rinvenuti i cadaveri di 29 persone, presenti nella stiva del
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