Sentenza Nº 15338 della Corte Suprema di Cassazione, 06-06-2019

Presiding JudgeMANZON ENRICO
ECLIECLI:IT:CASS:2019:15338CIV
Judgement Number15338
Date06 Giugno 2019
CourtQuinta Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
- controricorrente
-
avverso la sentenza n. 923/2014 della COMM.TRIB.REG.
di BOLOGNA, depositata il 13/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/04/2019 dal Consigliere Dott. GRAZIA
CORRADINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l'Avvocato DELLA VALLE e
l'Avvocato MUNARI che si riportano;
udito per il controricorrente l'Avvocato COLLABOLLETTA
che si riporta agli scritti.
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.N.1109/2015
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 123/3/2011 la Commissione Tribunale Provinciale di Modena rigettava il ricorso
proposto da Nostromo Spa contro l'avviso di rettifica dell'accertamento prot. n. 14539/2010
relativo a dazi 2008, con cui la Agenzia delle Dogane di Modena, a seguito di indagini svolte
dall'OLAF, aveva ritenuto che i certificati di origine FORM - A relativi alla importazione di lavorati
del tonno aventi come origine preferenziale "El Salvador", fossero stati emessi dalla autorità
salvadoregna in violazione della normativa vigente, non sussistendo i presupposti per la
attribuzione alla merce dell'origine preferenziale, in quanto le due navi (Montealegre e
Montelape) con cui erano stati pescati i tonni (materia prima), poi esportati in Europa ed anche in
Italia, mancavano dei requisiti di immatricolazione ed aveva in conseguenza applicato il dazio
paesi terzi nella misura ordinaria del 24%, Iva ed interessi per l'importo complessivo di euro
491.456,25.
Il giudice di primo grado respingeva tutte le censure mosse dalla società Nostromo contro l'atto
impugnato che riguardavano la carenza di motivazione, in violazione dell'art. 11, comma 5 bis,
del D. Lgs. n. 374 del 1990, la illegittimità della procedura seguita dall'Ufficio per comprovare la
invalidità dei certificati FORM-A, il legittimo affidamento e la sussistenza delle condizioni di cui
all'art. 220 del Reg. n. 2912 del 1992 (Codice Doganale Comunitario) ed infine la errata
applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982 alle navi
Mantealegre e Montelape.
Investita dall'appello della Nostromo Spa che aveva riproposto tutte le doglianze contenute nel
ricorso oltre alla nuova eccezione di mancata applicazione del contraddittorio preventivo alla
notifica della rettifica dell'avviso di accertamento, la Commissione Tributaria Regionale della
Emilia Romagna, con sentenza n. 923/10/2014, depositata il 13 maggio 2014, ha rigettato
l'appello e compensato fra le parti le spese di lite.
La CTR ha rilevato in primo luogo la novità e conseguente inammissibilità, ai sensi dell'art. 57 del
D. Lgs. n. 546 del 1992, della eccezione di violazione del contraddittorio preventivo, aggiungendo
che peraltro l'ari. 11, comma 2, del D. Lgs. n. 374 del 1990 non prevedeva un obbligo tassativo a
carico dell'Ufficio doganale di avviare il contraddittorio ma solo la possibilità di invitare gli
operatori, i quali avevano analoga facoltà di attivare il contraddittorio ai sensi dell'ad. 65 del DPR
n. 43 del 1973 e che anche la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione citata
dall'appellante non riguardava il contraddittorio preventivo bensì solo il rispetto del termine di 60
giorni dopo la notifica del pvc, che nella specie pareva peraltro rispettato. Ha poi escluso la
carenza di motivazione dell'atto impugnato poiché la rappresentazione dei fatti in esso contenuta
consentiva una adeguata conoscenza della fattispecie idonea a garantire il diritto di difesa,
essendo in particolare sufficiente, quanto alle indagini dell'OLAF, che erano coperte dal segreto,
la loro riproduzione negli atti tributari nei soli tratti essenziali, come avvenuto nel caso in esame in
cui era esposta comunque chiaramente ed illustrata adeguatamente la pretesa fiscale che
derivava dalla doppia iscrizione nei registri navali dei due pescherecci utilizzati dalla società
salvadoregna per pescare il tonno, poi lavorato e quindi esportato in Italia con applicazione del
beneficio doganale. La CTR ha quindi ritenuto che, al contrario di quanto dedotto dall'appellante,
i certificati FORM-A, dai quali conseguiva la legittimità o meno della intera procedura di
esportazione da El Salvador e di importazione del tonno lavorato in Italia, fossero invalidi in
conseguenza della non disconosciuta doppia registrazione delle due navi - iscritte
contemporaneamente in due registri navali, delle Seychelles e di El Salvador, senza che fosse
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avvenuta la cancellazione della prima iscrizione - che consentiva di escludere che la pesca della
materia prima fosse avvenuta con navi dello stato esportatore, come prescritto dai Regolamenti
CEE n. 2454/93 e n 908 del 2005 ed in particolare dall'art. 68 par. 1 lett. f del Reg. n. 2454/93;
doppia iscrizione che comportava a norma dell'ad. 92 della Convenzione delle Nazioni Unite sul
diritto del mare che la nave dovesse essere considerata priva di nazionalità in base al diritto
consuetudinario ed alle Convenzioni, non rilevando che El Salvador non avesse sottoscritto la
Convenzione delle Nazioni Unite, tanto più che la norma agevolativa non poteva essere
interpretata in via analogica o estensiva. Infine, la CTR ha ritenuto corretta la revisione doganale
a posteriori ai sensi dell'art. 220, comma 2 bis, del CDC poichè dai documenti presentati in
occasione dello sdoganamento delle merci non emergevano dubbi sulla regolarità delle
procedure seguite, mentre la questione della doppia iscrizione dei pescherecci era emersa solo a
seguito di indagini e verifiche dell'OLAF, quale organismo comunitario antifrode, che aveva
consentito di verificare le irregolarità che avevano portato alla rettifica dell'accertamento, senza
che si potesse individuare un qualche errore da parte degli uffici doganali.
Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso la Spa Nostromo, con atto
notificato il 29 dicembre 2014, affidato a nove motivi.
La Agenzia delle Dogane si è costituita ritualmente con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione e /o falsa
applicazione degli artt. 112 cpc e 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992
in relazione agli artt. 360 comma
1 n. 4 cpc e 62 del D. Lgs. n. 546 del 1992, "per avere la ritenuto inammissibile la eccezione
relativa alla violazione del principio del contraddittorio in quanto pretesamente sollevata per la
prima volta nel secondo grado del giudizio"
in base ad una lettura erronea dei fatti di causa,
poiché già con il primo motivo del ricorso iniziale del giudizio era stata dedotta la violazione
dell'obbligo di motivazione, fra l'altro, per violazione anche dell'art. 7, primo comma, della legge
n. 212 del 2000 e con il secondo motivo, al punto b1, la società aveva eccepito la violazione del
diritto di difesa derivante dal fatto che non aveva
"avuto modo di intervenire né di presenziare a
nessuna delle attuazioni investigative realizzate dall'OLAF"
avendone avuto conoscenza per la
prima volta solo all'atto del recepimento del pvc della Agenzia delle Dogane di Modena in data 6
maggio 2011. E poiché il diritto al contraddittorio preventivo era un corollario del diritto di difesa
doveva ritenersi che anche tale violazione fosse stata dedotta fin dal ricorso originario e poi
illustrata nelle memorie difensive con cui era stata lamentata la violazione dell'ari. 11 del D. Lgs.
n. 374 del 1990.
1.1. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione dell'ad. 11, comma 2, del D. Lgs.
n. 374 del 1990 e del principio generale del contraddittorio endoprocedimentale in relazione
all'ad 360, comma 1 n. 3, cpc e 62 del D. Lgs. n. 546 del 1992, per avere la sentenza impugnata
erroneamente statuito che la mancata attivazione del contraddittorio non avrebbe comportato
alcuna nullità, pur essendo tale obbligo previsto dall'art. 11 comma 2 del D. Lgs. n. 374 del 1990
così come ritenuto dalla giurisprudenza nazionale ed europea ed in particolare dalla sentenza
Sopropè della Corte di Giustizia.
1.2. I due motivi, stante la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
1.3. Il primo motivo è in primo luogo inammissibile.
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1.4. L'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del
giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela infatti l'interesse
all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio
concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato "error in
procedendo". Ne consegue che, ove il ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio
subito, l'addotto "error in procedendo" non acquista rilievo idoneo a determinare l'annullamento
della sentenza impugnata il che rende l'impugnazione inammissibile (v. per tutte Cass. Sez. 6 - 3,
Ordinanza n. 15676 del 09/07/2014 Rv. 632279 — 01; Sez. 3, Sentenza n. 18635 del 12/09/2011
Rv. 619534 — 01; Sez. 1, Sentenza n. 6686 del 19/03/2010 Rv. 612404 — 01; Sez. 1, Sentenza n.
4435 del 21/02/2008 Rv. 602016 — 01). E, nel caso concreto, la ricorrente non ha neppur
adombrato quale sarebbe stato l'interesse violato posto che la Commissione Tributaria
Regionale, dopo avere correttamente rilevato che la eccezione era stata tardivamente proposta —
poiché di essa non vi era traccia nel ricorso iniziale in cui il vizio dedotto era la mancanza di
motivazione dell'atto impugnato e, come trascritto nel motivo 1 di ricorso per cassazione, la
mancata possibilità di partecipare alle attività "attuazioni investigative realizzate dall'OLAF", che
è cosa diversa dal contraddittorio preventivo endoprocedimentale che attiene al procedimento
preordinato all'accertamento posto in essere dalla Amministrazione Finanziaria italiana - ha
comunque deciso nel merito della stessa.
1.5. Dalla inammissibilità del primo motivo deriva anche quella del secondo motivo che è
comunque infondato poiché la sentenza impugnata — dopo un inciso non appropriato sul
funzionamento facoltativo del contraddittorio ex art. 11 comma 5 bis del D. Lgs. n. 374 del 1990,
affidato anche alla iniziativa della parte — ha peraltro rilevato che non vi era stata alcuna
violazione in concreto del contraddittorio preventivo ed in ogni caso una interlocuzione vi era
stata a seguito della comunicazione del PVC concluso il 5 maggio 2010, con invito alla parte a
presentare difese e documenti, mentre l'accertamento era stato notificato nel luglio del 2010.
1.6. La giurisprudenza ampiamente consolidata di questa Corte, con riguardo agli avvisi di
rettifica in materia doganale precedenti all'entrata in vigore del dl. n. 1 del 2012, conv., con
modif., in I. n. 27 del 2012, come nel caso in esame, ha ritenuto che non si applica l'art. 12,
comma 7, della I. n. 212 del 2000, perché, in tale ambito, opera lo "ius speciale" di cui all'ad. 11
del d.lgs. n. 374 del 1990, nel testo vigente "ratione temporis", preordinato a garantire al
contribuente un contraddittorio pieno in un momento anticipato rispetto alla formazione dell'atto
definitivo, che può essere impugnato in sede giurisdizionale, non sussistendo violazione né dei
principi unionali né degli artt. 3 e 24 Cost., perché il procedimento previsto dall'ad. 11 del d.lgs. n.
374 del 1990 tutela il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo e, dunque, il suo diritto
di difesa endoprocedimentale (v. Cass. Sez. 5 - Ordinanza n. 2175 del 25/01/2019 Rv. 652368 —
01). Peraltro, la violazione del detto principio è suscettibile di determinare l'invalidità del
provvedimento solo se il contribuente dimostri che il rispetto dello stesso avrebbe condotto ad un
risultato diverso, quindi un pregiudizio concreto al proprio diritto di difesa e cioè in presenza della
cd. prova di resistenza, neppure dedotta nel caso in esame dalla società ricorrente (Sez. 6 - 5,
Ordinanza n. 12832 del 23/05/2018 Rv. 648523 — 01); per cui, in materia di dazi doganali, è
legittimo l'atto di rettifica dell'accertamento emesso dall'amministrazione anche senza il rispetto
del termine dilatorio di cui all'ad. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, sia perché detta
disposizione normativa, cui rinvia l'art. 245 del codice doganale, si applica esclusivamente in
relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei
locali ove si esercita l'attività del contribuente; sia perché, in generale, la violazione del diritto al
contraddittorio nel corso del procedimento amministrativo può portare, in base alla
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giurisprudenza della CGUE, all'annullamento del provvedimento conclusivo solo se, in mancanza
del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Nella specie,
la S.C. ha dato atto che l'amministrazione era del tutto vincolata all'emissione dell'atto di rettifica,
essendo scaturito il procedimento di revisione da un'informativa dell'organismo comunitario
preposto alla repressione delle frodi finalizzate all'evasione dei tributi comunitari: Sez. 6 - 5,
Ordinanza n. 218 del 08/01/2019 Rv. 652535 — 01).
1.7. A tali principi si è uniformata la sentenza impugnata la quale ha rilevato che in ogni caso vi
era stato una interlocuzione preventiva, così come riconosciuto dalla ricorrente a pagine 19 e 20
del ricorso, con riguardo al riconoscimento del ricevimento del pvc in data 6 maggio 2010 e
quindi ben prima della emissione dell'avviso di rettifica avvenuta a luglio del 2010, per cui il vizio
dedotto, oltre che inammissibile è anche insussistente, essendo stata data alla parte la possibilità
di interloquire e di difendersi, facendo valere le proprie osservazioni nel corso del procedimento
amministrativo con riguardo anzi ad un termine ben più ampio di quello di 15 giorni previsto
dall'art. 11 comma 2 del D. Lgs. n. 374 del 1990.
2. Con il terzo motivo la società ricorrente deduce violazione e / o falsa applicazione degli artt.
11, comma 5 bis, del D. Lgs. n. 374 del 1990, 7 della legge n. 212 del 2000, 3, 4 e 8 del
regolamento CE n. 1073 del 1999 in relazione agli artt. 360 n. 3 cpc e 62 del D. Lgs. n. 546 del
1992 per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente la motivazione dell'avviso di rettifica
inizialmente impugnato, pur in assenza della allegazione del verbale (mission report) dell'OLAF e
dei documenti allegati allo stesso, in base alla pretesa segretezza di tali atti, benchè non
esistesse alcun segreto d'ufficio che ne impedisse la produzione tanto è vero che il verbale era
stato poi prodotto nel giudizio. Ad avviso della ricorrente la allegazione di tali documenti all'atto
impugnato era indispensabile per la sua motivazione anche perché si trattava di verbali redatti a
carico di un soggetto terzo, la cui mancanza aveva impedito alla ricorrente di conoscere
adeguatamente la presunta irregolarità del comportamento che le veniva addebitato.
2.1. Anche tale censura è infondata poiché la stessa ricorrente dà atto che le era stata già
notificato il PVC al quale erano stati allegati diversi documenti relativi alle verifiche condotte,
mentre lamenta solo la mancata notificazione preventiva, unitamente all'atto di rettifica, del
Mission Report dell'OLAF (peraltro menzionato nell'atto impugnato che è stato in parte trascritto
nel ricorso per cassazione), che sarebbe stato atto necessario per comprendere le ragioni della
pretesa avanzata. Premesso che la produzione di tale verbale era perfettamente legittima poichè,
nell'ambito del processo tributario, l'art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la facoltà delle parti
di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall'art. 345 c.p.c., addirittura
in appello, pur se già disponibili in precedenza, alla luce del principio per cui anche nel processo
tributario la prova si forma nel giudizio, non era comunque necessaria la allegazione
all'accertamento del Mission report dell'OLAF ai fini della correttezza della sua motivazione.
2.2. E' infatti ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui
l'avviso di accertamento in materia doganale, che si fondi su verbali ispettivi OLAF, i quali, pur
riservati, possono essere utilizzati dall'Amministrazione nei procedimenti per inosservanza della
regolamentazione doganale, è legittimamente motivato ove risponda alle prescrizioni dell'art. 11,
comma 5-bis, del d.lgs. n. 374 del 1990, ossia riporti nei tratti essenziali, ai fini dell'esercizio del
diritto di difesa, il contenuto di quegli atti presupposti richiamati "per relationem", anche se non
allegati, non rientrando la produzione del rapporto finale OLAF tra i requisiti di validità della
motivazione. E tale principio vale a maggior ragione per i documenti, cui faccia rinvio il rapporto
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OLAF (Sez. 5, Sentenza n. 10118 del 21/04/2017 Rv. 644042 — 01). Ed è stato anche precisato
che, in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, è inapplicabile l'art. 12, settimo comma,
della legge 20 luglio 2000, n. 212, operando in tale ambito lo "jus speciale" di cui all'art. 11 del
d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, - nel testo utilizzabile "ratione temporis" - preordinato a garantire
al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto alla
impugnazione in giudizio del suddetto avviso, con la conseguenza che la mancata
comunicazione al contribuente del rapporto OLAF anteriormente all'emissione di tale avviso non
determina un concreto pregiudizio all'esercizio dei mezzi di tutela allo stesso accordati
dall'ordinamento giuridico (Sez. 5, Sentenza n. 8399 del 05/04/2013 Rv. 626110 - 01).
2.3. Il lamentato richiamo, da parte della sentenza impugnata, ad una pretesa segretezza della
attività dell'OLAF non inficia, dal suo canto, la correttezza della motivazione della sentenza
poiché la stessa si regge su altre ragioni giustificatrici che restano pienamente valide. E
comunque la sentenza, pur utilizzando il termine "segreto d'ufficio", in luogo di quello corretto di
"attività riservata", ha poi fatto corretta applicazione del principio giuridico per cui l'avviso di
accertamento in materia doganale, che si fondi su verbali ispettivi OLAF, è legittimamente
motivato ove riporti nei tratti essenziali, ai fini dell'esercizio del diritto di difesa, il contenuto di
quegli atti presupposti richiamati "per relationem", anche se non allegati.
2.4. La sentenza impugnata si è attenuta a tali princìpi poiché ha escluso la carenza di
motivazione dell'atto impugnato in quanto la rappresentazione dei fatti in esso contenuta
consentiva una adeguata conoscenza della fattispecie idonea a garantire il diritto di difesa,
essendo in particolare sufficiente, quanto alle indagini dell'OLAF la loro riproduzione negli atti
tributari nei soli tratti essenziali, come avvenuto nel caso in esame in cui era esposta comunque
chiaramente ed illustrata adeguatamente la pretesa fiscale che derivava dalla doppia iscrizione
nei registri navali dei due pescherecci utilizzati dalla società salvadoregna per pescare il tonno,
poi lavorato e quindi esportato in Italia con applicazione del beneficio doganale.
2.4. La sentenza impugnata non è quindi incorsa in alcuna violazione di legge nel ritenere
correttamente motivato l'atto impugnato.
3. E' infondato anche il quarto motivo con cui si deduce la nullità della sentenza per violazione
degli artt. 36 n. 4 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e 132 cpc, per motivazione apparente quanto alla
ritenuta sufficiente motivazione dell'atto impugnato, in relazione all'art. 360 n. 4 cpc e 62 del D.
Lgs. n. 546 del 1992.
3.1. il ricorso trascrive in proposito sia la prima parte dell'atto impugnato (che contiene il
riferimento al "mission report" dell'OLAF, le cui conclusioni "sono condivise dall'Ufficio
accertatore" e valuta la piena valenza probatoria della relazione elaborata dall'OLAF nei
procedimenti amministrativi dello Stato membro, così come disposto dal Reg. CE 1073 del 1993,
nonché il verbale di revisione redatto dai funzionari delegati in data 6.5.2010 n. 9593 — allegato
ad ogni buon fine anche all'avviso di recupero - dal quale era emerso che le operazioni doganali
sopraelencate non erano state contabilizzate come dazi paesi terzi ....), sia il contenuto del PVC
(che riportava diffusamente il "percorso" del tonno, così come ricostruito dal controllo dell'OLAF,
dalla cattura allo stabilimento "Calvo El Salvador", fino alla esportazione verso l'Italia con la
richiesta di applicazione del trattamento tariffario SPG, nonché la
"storia" dei due pescherecci
che erano stati immatricolati dal 2005 fino al 2009 a Pori Victoria Seicelle ed avevano navigato
sotto la bandiera delle Seicelle avendo come proprietario la società Calvopesca Indico, situata
nelle Seicelle, ma che, come emerso dalla recente missione OLAF in El Salvador, risultavano
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immatricolati anche in El Salvador in virtù della "patente permanente de navigation" rilasciata
dall'autorità navale salvadoregna il 1 novembre 2005, dalla quale risultava che il proprietario
delle navi era la società Calvopesca El Salvador SA ed in conseguenza la registrazione
contemporanea dei due pescherecci in due stati diversi), ma assume che da tali elementi non
emergerebbe il contenuto essenziale dei documenti trasmessi dall'OLAF poiché mancava la
indicazione dei tratti essenziali in materia di origine della merce e la sentenza di appello si
sarebbe limitata a statuire che
"la pretesa fiscale rimanda ad un fatto adeguatamente illustrato
nell'atto tributario (la doppia iscrizione nei registri navali dei due pescherecci) e l'eventuale
carenza di documentazione di documenti non può intaccare la oggettiva consistenza del fatto,
che risulta adeguatamente illustrato nell'atto di rettifica e di accertamento e che ha consentito alla
società contribuente di porre in essere una adeguata difesa"
senza però argomentare su altri
profili relativi alle indagini svolte dall'OLAF al fine di garantire la tracciabilità del prodotto; per cui
la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla doglianza relativa alla mancanza di
motivazione dell'atto impugnato, sarebbe meramente apparente, consistendo in mera petizione di
principio.
3.2. Il motivo, proposto ai sensi dell'art. 360 n. 4 cpc, rivela in primo luogo, anche in tal caso,
evidenti profili di inammissibilità poichè la supposta motivazione incompleta non integra il vizio
dedotto con il quarto motivo di ricorso per cassazione, in quanto la incompletezza, la erroneità o
contraddittorietà della motivazione può essere dedotta non già ai sensi dell'art. 360 comma primo
n. 4, come avvenuto nel caso in esame, bensì ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 5 cpc, in
base alla riformulazione disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, che deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art.
12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione, ai sensi del n. 4 dell'art. 360 cpc solo
l'anomalia motivazionale, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio
risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto
materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa
qualunque rilevanza del semplice - preteso - difetto di "sufficienza" della motivazione (v. Cass.
Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830 — 01); come nella specie in cui esiste una
motivazione, peraltro ben più che sufficiente, e non solo sotto l'aspetto grafico. La motivazione
poi esiste, al contrario di quanto assume la ricorrente, anche con riguardo all'aspetto della
tracciabilità del prodotto (che pure appariva un dato pacifico) poiché a pagina 7 della sentenza
impugnata i giudici d'appello scrivono che "Nel caso è stato accertato, e non contestato, che i
due pescherecci (II Montelape ed il Montealegre) utilizzati da una società salvadoregna per la
pesca del tonno esportato in Italia sono risultati nel periodo considerato iscritti
contemporaneamente in due registri navali; più specificamente, prima nel registro delle Seicelle e
successivamente in quello di San Salvador senza che fosse intervenuta la cancellazione della
prima registrazione".
4. Con il quinto motivo viene dedotta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 n. 4 del
D. Lgs. n. 546 del 1992 e 132 cpc per motivazione apparente quanto alla ritenuta inapplicabilità
dell'art. 220 comma 2 lett. b CDC, in relazione agli artt. 360 n. 4 cpc e 62 del D.Lgs. n. 546 del
1992, poiché pareva che i giudici di secondo grado avessero ritenuto sufficiente ad escludere la
buona fede invocata dalla società ricorrente la circostanza "che la società esportatrice del tonno
è una holding che controlla la società che ha utilizzato i due pescherecci e che controlla altresì la
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società importatrice in Italia e cioè la Nostromo Spa", il che era apodittico ed inidoneo a
dimostrare il decisum, mentre, quanto al secondo requisito individuato dall'art. 220, e cioè la
presenza di un errore delle Autorità alla base della irregolarità del certificato di origine
preferenziale, si era limitata a sostenere che, essendo l'errore emerso solo a seguito delle
successive indagini dell'OLAF, non si poteva individuare un errore da parte degli Uffici Doganali;
ed anche tale asserzione era insufficiente ad escludere l'errore della autorità doganale poiché
nel giudizio era stata prodotta la documentazione che dimostrava come la Autorità salvadoregna
avesse considerato validi i certificati di Origine FORM- A.
4.1. Con il sesto motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 220
comma 2 lett. b CDC e 2697, comma 1, c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 cpc e 62 del D. Lgs. n.
546 del 1992 poiché spettava alla Amministrazione Doganale provare che l'operatore aveva agito
in mala fede o che la irregolarità del certificato di origine non era dipesa da un errore della
autorità estera che lo aveva rilasciato, come sarebbe stato ritenuto dalla Corte di Giustizia
europea e dalla Corte di Cassazione.
4.2. Anche tali due motivi possono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione.
4.3. Il quinto motivo è inammissibile poiché viene dedotta la omissione di pronuncia su un motivo
di appello che invece ha avuto una risposta congrua ed articolata nella sentenza impugnata. La
ricorrente tralascia di riportare che la motivazione della sentenza impugnata in ordine al motivo di
appello che concerneva la applicabilità dell'ad. 220 comma 2 b del CDC è stata ben più
complessa ed articolata di quanto assume con il quinto motivo di ricorso, poiché i giudici di
secondo grado hanno dedicato al motivo di appello in questione la intera pagina 8 della
sentenza, rilevando specificamente che si trattava di merce importata da El Salvador con
certificazione FORM — A e null'altro che consentisse agli uffici doganali di dubitare sul corretto
adempimento delle condizioni previste dalla normativa per beneficiare della sospensione dei dazi
all'importazione, poiché dai documenti presentati in occasione dello sdoganamento delle merci
non emergevano elementi di dubbio sulla regolarità delle procedure seguite, mentre la questione
della doppia iscrizione delle navi era emersa dopo tempo, a seguito delle indagini dell'OLAF, il
che aveva consentito solo a valle di rilevare le irregolarità che avevano portato alla rettifica
dell'accertamento ed inoltre che i fatti alla base dell'accertamento — e cioè la verifica eseguita
dall'OLAF, descritta a pagina 1 e 2 della sentenza - non consentivano di ipotizzare la buona fede
della ricorrente, considerato anche che la società esportatrice del tonno era una holding che
controllava sia la società proprietaria dei pescherecci sia la Nostromo Spa che aveva importato in
Italia il tonno.
4.4. Non è quindi prospettabile una mancanza di motivazione che invece esiste ed è completa,
articolata e non certamente illogica solo perché è stata diversa da quella che aveva chiesto
l'allora appellante. Non è pertinente neppure il richiamo alla pretesa motivazione apparente
poiché la sentenza impugnata ha sviluppato diverse argomentazioni a sostegno del rigetto del
motivo di appello di cui si tratta, dopo averne dato anche un inquadramento giuridico pure con
riguardo alla natura ed agli effetti degli accertamenti svolti dall'OLAF.
4.5. Quanto poi alla censura relativa alla violazione di legge, oggetto del sesto motivo di ricorso,
occorre subito considerare che, una volta che l'OLAF aveva comunicato che i certificati di origine
erano stati emessi in violazione della normativa vigente, non sussistendo i requisiti per la
attribuzione alla merce della origine preferenziale, la autorità doganale italiana era obbligata a
recuperare il maggior dazio sulla merce alla quale faceva riferimento il certificato ritenuto non
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.N.1109/2015
valido, incorrendo altrimenti in una responsabilità nei confronti della Unione Europea, trattandosi
di risorse proprie della stessa.
4. 6. Ciò deriva da una elaborazione giurisprudenziale di questa Corte anche in tema di
applicazione della esimente della buona fede, per cui, a fronte dell'accertata falsità dei certificati
di origine della merce, l'Unione Europea non può essere tenuta a sopportare le conseguenze di
comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio dell'attività
commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell'ambito dei loro
rapporti negoziali (Corte giustizia 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos; Cass. n.
19195 del 06/09/2006; Cass. n. 14509 del 30/05/2008; Cass. n. 1583 del 03/02/2012; Cass. n.
15758 del 19/09/2012); il che rende irrilevante lo stato soggettivo di consapevolezza della
irregolarità della introduzione della merce in capo all'importatore, in considerazione dell'obbligo
che grava su quest'ultimo di vigilare «sull'esattezza dell'informazione fornita alle autorità dello
Stato di esportazione dall'esportatore, al fine di evitare abusi» (Cass. n. 24675 del 23/11/2011).
4. 7. In ogni caso la deduzione difensiva si appalesa all'evidenza infondata e basata su un
argomento palesemente erroneo quale quello per cui sarebbe spettato all'Agenzia delle Dogane
dimostrare la mala fede dell'importatore, mentre invece l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità,
senza alcuna linea dissonante e del tutto in linea con la Corte di Giustizia, afferma proprio il
contrario e cioè che l'esenzione prevista dall'art. 220, comma secondo, lett. b), del Regolamento
CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario), che preclude la contabilizzazione
"a posteriori' dell'obbligazione doganale in presenza di un errore dell'autorità doganale e della
buona fede dell'operatore, per essere applicata richiede un compiuto esame da parte del giudice
sulla ricorrenza della buona fede, che va dimostrata dal soggetto che intende avvalersi
dell'agevolazione, attraverso la prova di tutti i presupposti necessari perché resti impedito il
recupero daziario: a) un errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore di natura tale da
non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e
diligenza, ed in ogni caso determinato da un comportamento attivo delle autorità medesime, non
rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dell'operatore; c) l'osservanza da parte del
debitore di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla normativa
vigente (v. per tutte Sez. 5, Sentenza n. 7702 del 27/03/2013 Rv. 626217 — 01).
4. 8. In una tale situazione, come precisato dalla giurisprudenza comunitaria, lo stato soggettivo
di buona fede dell'importatore richiesto dall'art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913
de11992 (Codice doganale comunitario), ai fini dell'esenzione della contabilizzazione "a
posteriori" dei dazi, può essere invocato solo se l'errore dell'autorità sia di natura tale da non
poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede, il quale deve anche aver
rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore in relazione alla sua dichiarazione in
dogana, sicché quando l'errore dell'Amministrazione sia consistito nella mera ricezione delle
dichiarazioni inesatte dell'esportatore - in particolare sull'origine della merce - tale buona fede
non sussiste e il debitore è tenuto a sopportare il rischio derivante da un documento commerciale
che si riveli falso in occasione di un successivo controllo (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13770 del
06/07/2016 Rv. 640617 — 01), senza che, rispetto allo stato soggettivo di buona fede, assuma
rilevanza l'effettiva consapevolezza da parte dello stesso circa la veridicità delle informazioni
fornite dall'esportatore alle autorità del proprio Stato, essendo, piuttosto, il debitore tenuto a
dimostrare che, per tutta la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con la
diligenza qualificata richiesta, in ragione dell'attività professionale di importatore svolta, ex art.
1176, comma 2, c.c., per verificare la ricorrenza delle condizioni per il trattamento preferenziale,
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.N..1109/2015
mediante un esigibile controllo sull'esattezza delle informazioni rese dall'esportatore (v. Sez. 5 - ,
Ordinanza n. 12719 del 23/05/2018 Rv. 648776 — 01).
4. 9. Nel caso di specie, la sentenza impugnata afferma, con accertamento di fatto che si rivela
insindacabile in questa sede, che i certificati di origine di accompagnamento della merce si erano
rivelati invalidi solo a seguito della verifica dell'OLAF. Ne consegue che correttamente l'Ufficio
doganale ha proceduto alla contabilizzazione a posteriori dei dazi in presenza di certificati di
origine della merce che si erano successivamente rivelati invalidi alla luce del rilievo che il
prodotto non era di origine preferenziale, in quanto la materia prima non poteva essere ritenuta di
provenienza da El Salvador poiché i pescherecci con cui i tonni erano stati pescati, in base alla
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, art. 92, dovevano considerarsi privi di
nazionalità (in quanto immatricolati contemporaneamente in due stati diversi), in violazione del
regolamento europeo che prevedeva l'agevolazione per "i prodotti della pesca marittima estratti
dal mare
al di fuori delle acque territoriali con le loro navi"
(pag. 2 della sentenza impugnata). Con
ciò l'Ufficio ha assolto all'onere probatorio sullo stesso gravante, restando a carico del
contribuente la prova della ricorrenza delle ulteriori condizioni per l'applicazione della esenzione
prevista dall'art. 220, par. 2, lett. b), CDC (cfr. Cass. 16/05/2012, n. 7674), che però la parte non
ha mai neppure offerto, avendo dedotto che non aveva alcun onere in tal senso, spettando
invece alla Agenzia delle Dogane dimostrare la mala fede della parte e che comunque la buona
fede deriverebbe dalla asserita validità dei certificati salvadoregni, il che all'evidenza non basta. Il
debitore non può infatti nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati per il
fatto che essi siano stati ritenuti veritieri dalla autorità doganale di uno Stato membro dato che le
operazioni effettuate da detti uffici nell'ambito dell'accettazione iniziale delle dichiarazioni non
ostano affatto all'esercizio di controlli successivi (Corte giustizia, 9 marzo 2006, C-293/04,
Beemsterboer Coldstore Services BV, richiamata da Corte di giustizia, 8 novembre 2012,
C438/11, Lagura, in riferimento ai certificati FORM A, documenti giustificativi utili a fruire delle
preferenze generalizzate unilateralmente concesse dalla UE); e ciò in quanto le prescrizioni del
CDC, alla luce del suo sesto considerando («considerando che, tenuto conto della grande
importanza che il commercio esterno ha per la Comunità, occorre sopprimere o per lo meno
limitare, per quanto possibile, le formalità e i controlli doganali»), vanno interpretate nel senso
che «(...) al momento dell'accettazione della dichiarazione in dogana, l'autorità suddetta non si
pronuncia sull'esattezza delle informazioni fornite dal dichiarante, di cui quest'ultimo si assume la
responsabilità» (Corte di giustizia, 15 settembre 2011, C-138/10, DP Group EOOD). Ne
consegue, ha ribadito la Corte, che «(...) qualora un controllo a posteriori non consenta di
confermare l'origine della merce indicata nel certificato EUR 1, si deve ritenere che essa sia di
origine ignota e che, per conseguenza, il certificato EUR 1 e la tariffa preferenziale siano stati
concessi indebitamente» (Corte giustizia 9 marzo 2006 C-293/04, Beemsterboer Coldstore
Services BV, richiamata, come si è visto, dalla sentenza Lagura). Secondariamente,
l'affermazione dell'obbligo in questione si rispecchia nel punto 57 della sentenza della Corte di
giustizia 17 luglio 1997, C-97/95, richiamata da Cass. n. 24675 del 2011, cit., la quale
espressamente paventa che, se la buona fede dell'importatore fosse capace di esentarlo
comunque da responsabilità, «(...) l'importatore sarebbe indotto a non verificare più l'esattezza
dell'informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione da parte dell'esportatore, né la
buonafede di quest'ultimo, il che darebbe luogo ad abusi» (da ultimo v. Sez. 5 -, Ordinanza n.
4059 del 12/02/2019 Rv. 652783 —01).
4.10. Ed anche di tale aspetto ha dato adeguatamente conto la sentenza impugnata richiamando
la appartenenza della società ricorrente alla stessa holding cui appartenevano la società
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.N. 1109/2015
proprietaria delle navi e la società esportatrice del tonno, che poi era la società fornitrice che
aveva tratto in inganno le autorità salvadoregne facendosi rilasciare i certificati riportanti
informazioni non veritiere.
4.11 Per concludere sull'argomento è opportuno aggiungere che, sempre in base ad una
giurisprudenza ampiamente consolidata di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa
sede, gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi della Commissione per la lotta antifrode
(OLAF), ai sensi del Regolamento Consiglio CEE 23 maggio 1999, n. 1073, per la loro
formazione ed il valore di atti pubblici ad essi attribuibile, al contrario di quanto assume la
ricorrente, ben possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento
per il recupero dei dazi doganali sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni,
spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in
ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo;
tenuto conto
del disposto degli artt. 9, primo, secondo e terzo comma, e 10, primo comma, del predetto
Regolamento, sono inoltre utilizzabili quali fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall'OLAF
anche i documenti acquisiti e la comunicazione di qualsiasi informazione ottenuta nel corso delle
indagini espletate, compresi i verbali delle operazioni di missione (v. per tutte, N. 4997 del 2009
Rv. 607077 01; N. 13496 del 2012 Rv. 623708 — 01; Sez. 5, Sentenza n. 5892 del 08/03/2013
Rv. 625397 01; Sez. 5- n. 11441 del 11/05/2018 Rv. 648020 —01).
5. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione e / o falsa applicazione degli artt. 67.1
lett. f e 67.2 del regolamento CEE n. 2454/93, 92.2. della Convenzione delle Nazioni Unite sul
diritto del mare firmata a Montego Bay 11 10 dicembre 19820 UNCLOS, in relazione agli artt. 360,
comma 1 n. 3 cpc e 62 del D. Lgs. n. 546 del 1992, poiché il diritto internazionale consente alle
navi di avere una doppia registrazione a determinate condizioni ed il divieto di battere
contemporaneamente la bandiera di due Stati, colpito dall'art. 92.2 UNCLOS, non è fattispecie
sovrapponibile con la doppia registrazione della nave.
5.1. In proposito la ricorrente ha rilevato che la doppia registrazione della nave è fattispecie
diversa dalla doppia bandiera di comodo, prevista dall'art. 92.2 UNCLOS al fine di assimilare la
nave che navighi sotto le bandiere di due o più Stato ad una nave priva di nazionalità, poiché la
nazionalità della nave è collegata all'esercizio della giurisdizione nell'alto mare che spetta allo
stato di bandiera della nave (art. 91 e 92.1, prima parte, UNCLOS), il che significa, come
precisato anche dalla Commissione di diritto internazionale, che una nave non può utilizzare l'una
o l'altra bandiera secondo convenienza durante lo stesso viaggio, con conseguente incertezza in
merito allo stato che può esercitare su di essa la giurisdizione durante quel viaggio. Diversa era
invece la situazione di noleggio a scafo nudo di una nave, prevista anche dagli artt. 145, secondo
comma, 156 e 161 del codice della navigazione italiano per la attribuzione e la sospensione
temporanea dell'abilitazione ad inalberare la bandiera italiana, la quale non crea una doppia
nazionalità della nave poiché le due registrazioni si riferivano a due funzioni diverse e cioè alla
proprietà (come momento statico) ed all'esercizio (come momento dinamico), il che era sfuggito
all'OLAF, che, con riferimento al caso in esame, non aveva considerato la legittimità del noleggio
a scafo nudo che non è collegato alla violazione del divieto di doppia nazionalità della nave. Il
giudice di appello avrebbe in conseguenza commesso un errore di diritto nell'interpretare l'ari.
92.2.UNCLOS adagiandosi sul rapporto OLAF poiché il noleggio della nave con doppia
registrazione aveva come effetto la dimissione temporanea di una bandiera a vantaggio di quella
di altro Stato, che non determina la perdita dei diritti attribuiti al soggetto interessato nell'ambito
del sistema delle preferenze generalizzate.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.N. 1109/2015
5.2. Il motivo è infondato.
5.3. La ricorrente addebita al giudice di appello una confusione fra doppia immatricolazione e
doppia bandiera che non trova riscontro nella sentenza impugnata, la quale ha fatto riferimento
alla doppia registrazione contemporanea della stessa nave presso due diversi stati
"poiché era
stato accertato e non contestato che i due pescherecci (il Monte/ape ed il Montealegre) utilizzati
da una società salvadoregna per la pesca del tonno esportato in Italia sono risultati nel periodo
considerato iscritti contemporaneamente in due registri navali: più precisamente prima nel
registro delle Seicelle e poi in quello di san Salvador senza che fosse intervenuta la
cancellazione della prima registrazione. Questa doppia iscrizione per la stessa nave comporta,
secondo le consuetudini internazionali e sulla base di quanto espressamente previsto dall'art. 92
della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che la nave non possa rivendicare una
delle nazionalità in questione può essere assimilata ad una nave priva di nazionalità",
mentre la
espressione bandiera è stata usata solo con riguardo alla eccezione della società Nostromo, non
più rilevante in questa sede, per cui la legge nazionale salvadoregna avrebbe consentito la
doppia bandiera
non avendo sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite.
5.4. La rilevanza attribuita dalla sentenza impugnata alla doppia registrazione o immatricolazione
della nave, che dir si voglia, al fine di escludere la disposizione agevolativa di favore dettata per "i
prodotti della pesca estratti dal mare al di fuori delle acque territoriali con le loro navi", trattandosi
di norma di stretta interpretazione che non ammette interpretazioni analogiche o estensive,
appare corretta e condivisibile, poiché ciò che interessa, in base a tutte le Convenzioni
internazionali (art. Se 6 della Convenzione di Ginevra del 1958, artt. 2, 5 e 11 della Convenzione
N.U. di Ginevra del 7.2.1986, art 92 della Convenzione di Montego Bay del 1982), al fine di
stabilire la nazionalità della nave, è la immatricolazione la quale attribuisce la nazionalità alla
nave che può e deve essere solo una in base all'ordine internazionale comune, cosicchè è
consentito ad uno Stato di procedere alla iscrizione di una nave solo previa acquisizione della
prova della avvenuta cancellazione o almeno della sospensione della iscrizione da parte dello
stato precedente (ad. 11 della Convenzione di Ginevra del 1986).
5.5. Anche la tesi esposta nel motivo di ricorso di cassazione che viene qui in considerazione,
per cui il noleggio dello scafo "nudo" determinerebbe la automatica cancellazione della nave dal
registro dello stato originario, è infondata poiché la seconda registrazione è possibile solo in caso
di cancellazione o di sospensione della precedente iscrizione, mentre nella specie la CTR ha
accertato specificamente l'assenza di qualsiasi cancellazione ed il possesso contemporaneo
delle due nazionalità per tutto il periodo che interessa (pag. 7 e pag. 2 della sentenza
impugnata), in base agli specifici accertamenti dell'OLAF in ordine alla atta provenienza della
merce importata, che, per la loro formazione e per il valore di atti pubblici ad essi attribuibile,
hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari. Ne consegue che gli
stessi ben possono essere posti a fondamento - come è accaduto nel caso di specie - degli avvisi
di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni,
spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla
sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo (Cass. 4997/09, 23985/08). Va
considerato, infatti, che, non solo l'ad. 9, comma 1, riconosce efficacia probatoria privilegiata ai
fatti accaduti in presenza degli ispettori, e l'art. 9, comma 2, stabilisce l'equipollenza della
relazione redatta al termine delle indagini a quella redatta agli ispettori amministrativi dello Stato
membro, ma l'ad. 9, comma 3 e l'ad. 10, comma 1, prevedendo la trasmissione alle autorità degli
Stati membri interessati, rispettivamente, di "ogni documento utile" acquisito e la comunicazione
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
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di "qualsiasi informazione" ottenuta nel corso delle indagini, inducono a ritenere l'utilizzabilità
anche di altre fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall'organismo antifrode, e quindi
anche dei verbali delle operazioni di missione (cfr. Cass. 13496/12, 5400/12, 4022/12). Alla
stregua di tali rilievi, dunque, non può neppure ritenersi necessario, ai fini del rifiuto, da parte
della Dogana competente, del beneficio dell'esenzione daziaria o dell'applicazione di tariffe
preferenziali, che venga annullato il certificato di origine da parte delle autorità del Paese
emittente, atteso che l'adozione delle misure recuperatorie, ai sensi dell'art. 78 CDC e D.Lgs. n.
374 del 1990, art. 11, è legittimata dalle risultanze delle indagini effettuate dagli organi ispettivi
comunitari (Cass. 5400/12).
5.6. Ciò posto, ai sensi degli artt. 66 e 67 del Regolamento CE n. 2454/93 - che fissa talune
disposizioni di applicazione del Regolamento n. 2013/92 (CDC) ai fini dell'applicazione delle
disposizioni relative alle preferenze tariffarie accordate dalla CE a taluni prodotti, originari dei
Paesi in via di sviluppo - sono considerati prodotto originari di uno di detti Paesi "i prodotti
interamente ottenuti in tale Paese" (art. 66, comma 1, lett. a). E sono considerati, ai sensi dell'ad.
67 del medesimo Regolamento, interamente ottenuti in un Paese beneficiario anche "i prodotti
della pesca marittima ed altri prodotti estratti dal mare con le sue navi", per tali intendendosi le
navi: a) immatricolate o registrate nel paese beneficiario; b) battenti bandiera del paese
beneficiario; c) appartenenti per almeno il 50 % a cittadini del Paese beneficiario o ad una
società la cui sede principale è situata in tale Paese e di cui gli amministratori, il presidente del
consiglio di amministrazione o del consiglio di vigilanza e la maggioranza dei membri di tali
consigli sono cittadini di tale Paese e, inoltre, per quanto riguarda le società di persone o le
società a responsabilità limitata, il cui capitale appartenga per almeno il 50% a tale Paese o a
enti pubblici o a cittadini di tale Paese; d) il cui capitano e i cui ufficiali sono cittadini del Paese
beneficiario, e il cui equipaggio è composto, per almeno il 75 %, da cittadini del Paese
beneficiario.
Ebbene, tale requisito non è risultato sussistere nel caso di specie, mentre dalla sentenza
impugnata risulta, sulla base delle verifiche dell'OLAF, che il prodotto era stato pescato da navi
prive di nazionalità in quanto registrate contemporaneamente in due diversi stati, in assenza dei
requisiti di cancellazione o sospensione previsti dalle Convenzioni internazionali, il che
determinava la perdita di nazionalità della nave che non poteva essere considerata nave del
Salvador ai fini del regime di esenzione daziaria. Ed, a fronte di tali accertamenti, la ricorrente si
è limitata a dedurre che all'OLAF sarebbe sfuggito che il noleggio a scafo nudo avrebbe
comportato il mantenimento della doppia nazionalità della nave, ma niente ha dedotto in ordine
alla sussistenza del requisiti di cui all'art. 67 del Regolamento.
5. 7. Infondata è pure la richiesta subordinata della ricorrente di rimettere alla Corte di giustizia, ai
sensi dell'art. 267 del TFUE, la interpretazione degli artt. 67. 1 lett. f e 67.2 del Regolamento CEE
n. 2454/93 che fissa alcune disposizioni di applicazione del regolamento CEE n. 2913/92 al fine
di stabilire se il codice doganale comunitario debba essere interpretato, alla luce di quanto
"nel senso che la
doppia registrazione di una nave derivante dalla stipulazione di contratti di noleggio con
dismissione temporanea della bandiera a vantaggio di un'altra bandiera non possa essere
interpretata come utilizzo di una doppia bandiera secondo convenienza, e non possa
conseguentemente determinare il venir meno dei benefici doganali riconosciuti in forza del
predetto
ad. 67,
lett. f e 67.2 del Reg. CEE n. 2454/93 nell'ambito del sistema delle preferenze
generalizzate".
Ed ancora
"se a tale conclusione debba inoltre ed in ogni caso pervenirsi in
assenza di una effettiva dimostrazione, da parte delle autorità accerta trici, dell'effettivo utilizzo
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.N:1109/2015
secondo convenienza di una doppia bandiera durante la navigazione. .e se dette disposizioni
siano compatibili con le norme di diritto internazionale in tema di navi aventi doppia nazionalità...
qualora la doppia registrazione di una nave derivi da contratto di noleggio con dismissione
temporanea
di una bandiera a vantaggio di altra bandiera".
5.8. Non vi è infatti alcuna incertezza sulla portata della norma comunitaria con riferimento alla
espressione "proprie navi" che viene in considerazione nel caso in esame.
5.9. La ricorrente pone il quesito interpretativo sulla base di presupposti che non hanno alcuna
attinenza con il caso in esame quale quello della differenza fra le espressioni "doppia
immatricolazione" e "doppia bandiera" e del preteso obbligo, da parte delle autorità accertatrici,
dell'effettivo utilizzo secondo convenienza della doppia bandiera.
5.10. Questa Corte, che ha dato attuazione ai suggerimenti provenienti dalla Corte europea, ha
chiarito come il rinvio pregiudiziale ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale
o di un atto amministrativo o di una prassi amministrativa rispetto al diritto dell'Unione Europea e
non è, invece, finalizzato a ottenere un parere su questioni generali od ipotetiche, essendo
deputato a risolvere una controversia effettiva ed attuale, fondata sulla rilevanza della questione
pregiudiziale (v. per tutte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13603 del 21/06/2011 Rv. 618393 — 01). Il
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea non costituisce infatti un rimedio giuridico esperibile
automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando invece al giudice stabilirne la necessità (v.
Sez. U, Ordinanza n. 20701 del 10/09/2013 Rv. 627458 — 01), per cui non sussistono i
presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art.
267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ove la parte si limiti a censurare
direttamente l'incompatibilità con il diritto dell'Unione delle conseguenze "di fatto" derivanti
dall'interpretazione del diritto interno senza sollecitare un'interpretazione generale ed astratta di
una normativa interna (v. Cass. Sez.
6
-
3,
Ordinanza n.
6862
del 24/03/2014 Rv. 630701 —01).
5.11. Ciò comporta che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea
presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorché
l'interpretazione sia autoevidente (n. Cass. Sez. 5 - , Ordinanza n. 15041 del 16/06/2017 Rv.
644553 - 04), come nel caso in esame in cui l'art. 67 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, per la parte
che qui interessa, non lascia dubbi sul fatto che si debba trattare di nave avente la nazionalità del
paese in relazione al quale si invoca la esenzione, a nulla rilevando, in relazione al caso in
esame, la doppia bandiera di comodo; il che rende incongruenti, non ricorrendo i requisiti di
rilevanza e decisività, i quesiti interpretativi che la ricorrente pone - oltretutto sulla base di
premesse di fatto che non risultano dalla sentenza di merito, la quale, al contrario, le esclude
6. Ugualmente infondato è l'ottavo motivo con cui con cui si deduce la nullità della sentenza per
violazione degli artt. 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e 132 cpc per motivazione apparente circa
l'utilizzo di una doppia bandiera secondo convenienza, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 cpc
e 62 del D. Lgs. n. 546 del 1992 per non avere la sentenza impugnata motivato la pretesa
assimilazione della doppia registrazione delle due navi di cui trattasi al caso di utilizzo di doppia
bandiera secondo convenienza, poiché i giudici di appello hanno ritenuto, con ampia
motivazione, a pagine 2, 6 e 7 della sentenza, che la doppia immatricolazione, alla stregua della
relazione dell'OLAF e degli accertamenti compiuti da tale organismo, nonché della
interpretazione della Convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, rendesse le navi, con
cui i prodotti della pesca marittima era stati estratti al di fuori delle acque territoriali, prive di
13
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
R.G.f
J. 1109/2015
nazionalità, per cui non si tratta di motivazione mancante o apparente, bensì, eventualmente, di
motivazione non condivisa.
7. Infine, con il nono ed ultimo motivo si deduce violazione della tutela effettiva e del rispetto dei
diritti della difesa di cui agli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti Fondamentale dell'Unione
Europea ovvero 6 e 13 della CEDU in relazione agli artt. 360 comma 1 n. 3 cpc e 62 del D. Lgs.
n. 546 del 1992 ed in subordine si propone istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE,
poiché la odierna ricorrente non sarebbe mai stata posta in grado di contraddire preventivamente
con l'Agenzia delle Dogane, né di poter esaminare tempestivamente il verbale OLAF e sarebbe
stata costretta ad adire l'Autorità giudiziaria per fare valere i propri diritti ed interessi in una
situazione di pregiudizio già realizzatasi sul proprio diritto di difesa, in assenza della possibilità di
interloquire direttamente con l'OLAF che sarebbe poi stata aggravata dal preteso "segreto
d'ufficio" in merito alle indagini dell'OLAF, addotto dalla sentenza impugnata.
7. 1. La ricorrente denuncia con tale motivo, in alternativa alla pretesa violazione del diritto al
contraddittorio endoprocedimentale, la violazione del principio alla tutela giurisdizionale effettiva
sancita dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea ovvero
degli articoli 6 e 13 della CEDU, senza però considerare che si tratta di principi che riguardano
specificamente i diritti processuali e ad un ricorso giurisdizionale effettivo. Peraltro, considerato il
valore di ausilio interpretativo della carta dei diritti fondamentali in quanto esprime princìpi
giuridici comuni ai vari ordinamento degli stati dell'Unione e pur ritenendo applicabili tali princìpi
anche al procedimento amministrativo laddove prevedono la necessità della parte di intervenite
nel procedimento prima che sia emesso un provvedimento per la stessa pregiudizievole, nella
specie è stato ritenuto specificamente applicabile l'art. 11 del D. Lgs. n. 374 del 1990 e cioè la
norma interna che è pienamente in linea ed applicativa di quei princìpi con piena garanzia dei
diritti difensivi della parte anche nel corso del procedimento amministrativo.
7.
2. Il che rende irrilevante anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art.
267 TFUE al fine di accertare
"Se il principio di effettività della tutela giurisdizionale e/o il diritto ad
una difesa effettiva sancito dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta Fondamentale dell'Unione Europea,
ovvero degli artt.
6
e 13 CEDU ostino alla applicazione
e /
o interpretazione di norma di diritto
nazionale sostanziale o processuale di uno stato membro, sulla base delle quali sia
legittimamente consentito alla competente autorità di uno stato membri emettere un avviso di
rettifica dell'accertamento dei dazi doganali nei confronti di un importatore basato sul contenuto
di una indagine OLAF, senza che sia consentito all'importatore di contraddire con l'Agenzia delle
Dogane preventivamente ...e i relativi documenti siano stati allegati all'avviso di rettifica..."
poiché
basato, pure in tal caso, su un dubbio interpretativo che non ricorre posto che la norma
nazionale, anche nella interpretazione offerta dal diritto vivente, riconosce una tale interlocuzione
che comunque, come è stato accertato dalla sentenza impugnata, nel caso concreto vi è stata.
8.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La novità di alcune questioni dedotte giustifica
la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti per il cd.
raddoppio del contributo unificato a norma del comma 1 bis dell'art.13 comma 1 quater d.PR
n.115/2002, essendo stato il ricorso notificato il 29.12.2014.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Dà atto ai sensi
dell'art.13 c 1 quater dPR n.11512002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da
14
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.
R.G.N
.
. 1109/2015
parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1 bis dell'art.13 comma 1 quater d.PR n.115/202.
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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