Sentenza Nº 14725 della Corte Suprema di Cassazione, 13-05-2020

Presiding JudgeROSI ELISABETTA
ECLIECLI:IT:CASS:2020:14725PEN
Date13 Maggio 2020
Judgement Number14725
CourtTerza Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterPENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto da
GIULIANI MASSIMO, nato a Roma 5.8.1970
MARTINO FABIO, nato a Serra San Bruno il 19.4.1991
LOMBARDO VALERIO, nato in Svizzera il 3.4.1974
REGA SIMONE, nato a Roma ii 24.1.1984
ALESSANDRO GALANTI, nato a Roma i! 5.8.1981
TASSONE COSIMO DAMIANO, nato a Nardodipace il 22.2.1969
SAINATO DOMENICO, nato a Locri il 6.8.1985
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-
.)
DAVIDEYPERRACINO, nato a Torino il 12.10.1974
avverso la sentenza in data 13.3.2018 della Corte di Appello di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità per
i ricorsi di Lombardo e Perraccino, il rigetto dei ricorsi di Giuliano e Martino,
l'annullamento per rideterminazione della pena per Rega, Galanti, Tassone e
Sainato con rigetto dei relativi ricorsi nel resto;
uditi i difensori, avv. Francesco Tagliaferri che per Perraccino si riporta ai motivi e
per Galanti e Rega insiste nell'accoglimento dei ricorsi associandosi in subordina
alle conclusioni del PG, avv.ti Nunzia De Caglia e Cesare Piraino per Tassone, avv.
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14725 Anno 2020
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: GALTERIO DONATELLA
Data Udienza: 05/06/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Federica D'Angelo per Giuliani, avv.ti Pier Paolo Emanuele e Giacinto Lupia per
Martino, avv. Fabrizio Merluzzi per Lombardo, avv. Guido Contestabile per Sainato
che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.
I reati oggetto del presente procedimento, ascritti a vario titolo agii
odierni ricorrenti con la sentenza pronunciata in data 13.3.2018 dalla Corte di
Appello di Roma, sono costituiti dal reato di associazione dedita al narcotraffico
(capo A), da due reati fine, ossia il tentativo di importazione di un ingente
quantitativo di cocaina con la nave Noble Rigel proveniente dalla Colombia e
diretta a Livorno di cui al capo D), il tentativo di importazione di un ingente
quantitativo di cocaina con la motonave Grande San Paolo proveniente dal
Sudamerica e diretta al porto di Rotterdam di cui al capo H), e da due reati ad essi
connessi, ossia il reato di tentata estorsione ex art. 629 cod. pen. di cui al capo
G) ed il reato di riciclaggio di danaro proveniente dal traffico di stupefacenti e
trasferito attraverso operazioni di mascheramento dall'Italia al Brasile per
acquistare una partita di cocaina di cui al capo F).
Avverso il suddetto provvedimento gli imputati hanno proposto, per il
tramite del proprio difensore, ognuno con separato atto, ricorso per cassazione,
articolando i motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.
2.
Massimo Giuliani,
condannato alla pena di 5 anni e 6 mesi di reclusione
per il reato associativo e per il reato di tentata estorsione, ha articolato otto motivi.
2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione dì legge
riferito agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. e al vizio motivazionale, l'utilizzabilità
delle intercettazioni effettuate sulle chat dei dispositivi Blackberry in assenza di
rogatoria all'estero e la ritualità della decriptazione effettuata sul rilievo che,
contrariamente a quanto assunto dalla sentenza impugnata, il sistema Blackberry
prevede che l'operazione di decriptazione dei dati trasmessi via cellulare si svolga
all'estero presso uno dei server della RIM, nella specie dall'azienda canadese
produttrice dei relativi dispositivi, cui il messaggio proveniente dall'utente viene
inoltrato via internet dall'operatore telefonico italiano, al di fuori di qualsiasi
controllo dell'autorità giurisdizionale nazionale. I dati trasmessi al server della
Procura della Repubblica sono perciò, secondo la difesa, integralmente elaborati
all'estero come si evince dalla deposizione del teste Pira che chiarisce, con
ciò
sconfessando anche la correttezza dell'interpretazione giurisprudenziale
avallata dalle sentenze della Cassazione n.5818/2016 e 1342/2016 fondate
sull'erroneo presupposto che la decriptazione avvenga sul server italiano, come
senza la chiave di codifica proveniente dalla RIM il server della Procura, non
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potrebbe leggere il messaggio e come il flusso di comunicazioni venga
irreversibilmente modificato mediante l'operazione di decriptazione eseguita
all'estero. Contesta la distinzione tra originale e copia seguita dalla Corte di merito
per superare il dato oggettivo della ontologica diversità tra il flusso di dati
trasmesso dal dispositivo Blackberry in uscita e quello pervenuto agli
uffici della Procura rimasto nell'esclusivo dominio della RIM nell'operazione di
decifratura.
2.2. Con il secondo motivo deduce in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 178 lett. c) cod. proc. pen., l'inutilizzabilità patologica delle
intercettazioni avendo il GUP provveduto negativamente sull'istanza di accesso
inoltrata dalla difesa al Server della Procura della Repubblica al fine di accertare,
attraverso la consultazione dei dati informatici trasmessi in originale dalla società
canadese (cd. dato grezzo), la genuinità della prova. Sostiene che la limitazione
del diritto della difesa di ascoltare le registrazioni di conversazioni intercettate,
equiparabile all'accesso al dato grezzo nel caso di dispositivi Blackberry presso il
server della Procura, aveva dato luogo ad una nullità di ordine generale, non
superabile dal fatto che si trattasse nella specie di un rito abbreviato stante la
sanzione di inutilizzabilità che colpisce tutti gli atti a contenuto probatorio acquisiti
in violazione di legge.
2.3. Con il terzo motivo contesta l'omessa motivazione in ordine
all'attribuibilità all'imputato di un dato nickname sostenendo che solo in pochissimi
casi le celle della Sim card erano coincidenti a quelle agganciate alle utenze
personali dei singoli imputati e che comunque coprono un'area vastissima estesa
fino a 50 km, così da escludere ogni valutazione di certezza, tanto è vero che la
stessa polizia giudiziaria si esprime sempre in termini dubitativi al riguardo usando
il condizionale.
2.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione ai vizio motivazionale, la
sussistenza del reato associativo finalizzato all'introduzione in Italia di ingenti
quantitativi di stupefacenti evidenziando come i protagonisti dei reati fine,
ovverosia delle contestate importazioni di droga non coincidessero con i presunti
sodali posto che ben quattro dei presunti associati, ovverosia il Protani, il Martino,
il Lombardo e lo stesso imputato non avevano preso parte ad alcuna attività di
importazione, come anche Rega, Galanti e Sebastiani fossero stati assolti in
appello del reato associativo, come il lasso temporale di circa un anno, intercorso
tra il reato di cui al capo H perfezionatosi a marzo 2015 e gli altri reati fine risalenti
all'aprile 2014 escludesse la permanenza del vincolo, come l'identificazione della
casa del Tassoni a Colle Mattia come "covo" dell'associazione" non potesse trovare
giustificazione in frequentazioni legate a tutt'altro ordine di ragioni posto che lo
stesso Giuliani risiedeva a Colle Mattia, che il Lombardo si stava occupando della
ristrutturazione dell'immobile, che il Protani forniva i materiali per i lavori e che il
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Martino la frequentava in quanto cugino del Tassoni e come non fosse stata né
dimostrata l'esistenza di una cassa comune né fornita alcuna prova della
operazioni illecite che avrebbero fruttato le ingenti somme indicate dalla sentenza
quali l'importo di C 1.300.000 trasferito in Spagna ed il riciclaggio di C 1.500.000
in Brasile, essendo stata contestata solo un'ipotesi di tentata importazione di
droga. Lamenta la manifesta illogicità dell'intera ricostruzione del reato associativo
la quale prende le mosse da un episodio legato ad un certo Ranicchi che, non
costituendo reato, non poteva essere indicativo della volontà di perseguire
propositi criminosi, valorizza i rapporti tra il Tassone e tale Fazio senza considerare
che la misura custodiale emessa nei confronti di quest'ultimo era stata annullata
dal Tribunale del Riesame per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
annovera tra i suoi membri, in tutto sei, quattro soggetti, come il Giuliani, il
Protani, il Lombardo e il Martino estranei a qualsiasi ipotesi di associazione e
desume l'importazione di ingenti carichi di droga dall'estero, con evidente salto
logico, da vicende o marginali concernenti la cessione di modesti quantitativi di
droga o estranee al preteso sodalizio come la perdita di un carico di stupefacente
nel porto di Rotterdam da parte dei soli Tassoni e Protani, o il viaggio del Lombardo
in Brasile, di per sé privo di connotazioni illecite, o la valigia scaricata
dall'imputato, condotta questa esente da collegamenti con l'attività associativa.
Lamenta, ancora, l'illogicità della motivazione in ordine alle disponibilità
economiche della pretesa associazione, di cui non era emersa alcuna evidenza non
essendo stati i giudici neppure in grado di indicare quali fossero state le operazioni
di traffico di stupefacente portate a compimento fruttando le somme
apoditticamente definite guadagno dell'attività illecita. Con riferimento alla
posizione del Giuliani ne contesta l'appartenenza all'associazione facendo presente
come l'unico reato contestatogli, ovverosia la tentata estorsione, esulasse dai reati
fine legati alla sussistenza del sodalizio e come la sua presenza all'interno della
compagine associativa, operativa per oltre due anni secondo l'accusa (dal luglio
2013 al marzo 2015), fosse del tutto saltuaria, riducendosi soltanto a quattro
episodi, e fosse in ogni caso scandita da intervalli temporali significativamente
ampi, durante i quali non vi era stato alcun contatto neppure telematico con gli
altri sodali, indici questi che ne eludevano una stabile e permanente
collaborazione.
2.5. Con il quinto motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 629 cod. pen. e al vizio motivazionale, che l'azione intimidatoria
asseritamente posta in essere dal Giuliani seguendo le direttive del Tassone risulta
smentita dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni di una
delle p.o., Davide Perracino, da cui si evince, al contrario, la reazione adirata del
Tassone nei confronti dell'imputato proprio perché discostatosi dalle sue
indicazioni circa le minacce che avrebbe dovuto rivolgere alle vittime, nonché i toni
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confidenziali e distesi del colloquio intercorso con il Perracino, a dimostrazione
dello stretto legame amicale tra i due: eccepisce pertanto, anche in relazione alla
mancata valorizzazione delle dichiarazioni rese dal coimputato Massimiliano
Carlesi, il travisamento della prova, non emergendo dal compendio istruttorio
alcuna azione violenta o minacciosa posta in essere dall'imputato nei confronti del
Perracino, alla cui versione era stata iopinatamente attribuita credibilità
incondizionata. Lamenta infine l'insussistenza degli elementi costituivi dell'ingiusto
profitto e dell'altrui danno, in assenza di prova oltre il ragionevole dubbio
dell'esclusiva riconducibilità della somma di $ 6.000.000 al Tassone, nonché della
provenienza illecita della stessa, tantomeno da un'operazione legata al traffico di
sostanze stupefacenti
2.6. Con il sesto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 393 cod. pen. e al vizio motivazionale, la mancanza della condizione
di procedibilità dovendo il reato di cui al capo G) dell'imputazione essere
riqualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni atteso che, in mancanza
di prova che la somma di $ 6.000.000 costituisse il corrispettivo di una partita di
sostanza stupefacente riconducibile all'associazione criminosa, l'elemento
soggettivo del reato non poteva essere costituito dal perseguimento da parte
dell'agente di un profitto sul quale egli era consapevole di non poter vantare alcuna
pretesa, secondo lo schema del delitto di estorsione, avendo semmai l'imputato
agito spinto dalla volontà di esercitare un diritto nella ragionevole convinzione
della sua sussistenza, come previsto dall'art. 393 cod. pen..
2.7. Con il settimo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 610 cod. pen. e al vizio motivazionale, che il reato sul G) avrebbe
dovuto essere qualificato in via subordinata come semplice violenza o minaccia
diretta a costringere il soggetto passivo ad un comportamento commissivo od
omissivo, non sussistendo l'elemento finalistico relativo al conseguimento
dell'ingiusto profitto con altrui danno caratterizzane l'estorsione. Sostiene al
riguardo che la circostanza secondo cui il danaro mancante sì sarebbe trovato in
Brasile e l'azione intimidatoria contestata all'imputato fosse diretta a costringere
le vittime a ripagare di tasca propria l'ammanco, costituiva una mera congettura,
non supportata dal alcuna evidenza probatoria.
2.8. Con l'ottavo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la
quantificazione della pena quantificata in 12 anni di reclusione, ovverosia in misura
ben più severa rispetto a quella irrogata ad altri imputati incaricati della ricerca di
canali di approvvigionamento esterni, laddove ai Giuliani era stato affidato il
compito, sicuramente meno rilevante, di attivarsi nel mercato interno, senza tener
conto della sua giovane età e del ruolo di mero esecutore materiale che avrebbe
imposto un più mite trattamento sanzionatorio.
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3.
Valerio Lombardo,
condannato alla pena di 6 anni e 2 mesi di reclusione
in quanto ritenuto responsabile del reato associativo e di tentata estorsione, ha
affidato le proprie censure quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 74 d.P.R. 309/1990 e al vizio motivazionale, che gli elementi
evidenziati dalla Corte distrettuale identifichino il reato associativo delineando
piuttosto il paradigma proprio della fattispecie concorsuale rispetto alla quale
assumeva ruolo di centralità il coimputato Tassone come soggetto capace di
intrattenere rapporti continuativi ma separati gli uni dagli altri con i vari imputati,
intessendo con ciascuno di essi un legame fiduciario, avvalendosi della
collaborazione di soggetti ogni volta diversi e perseguendo singoli e specifici
obiettivi. Lamenta al riguardo l'indebita confusione effettuata dalla Corte di Appello
tra le categorie dogmatiche della stabilità organizzativa e della frequenza degli
incontri con gli altri coimputati, elemento quest'ultimo che, essendo l'unico
evidenziato a sostegno del reato associativo, era di per sé pienamente compatibile
con l'ipotesi del concorso di persone, a favore della quale militava altresì
l'assoluzione dal reato di cui al capo A) del Rega, del Sebastiano e del Galanti,
costituente un'evidente contraddizione in termini rispetto alla fattispecie criminosa
contestata posto che è esclusivamente sulle intercettazioni di costoro,
evidentemente estranei al sodalizio, che si fonda la configurabilità
dell'associazione delittuosa.
3.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di
legge riferito all'art. 629 cod. pen. e al vizio motivazionale, che essendo stato ben
messo in luce dalla stessa sentenza impugnata come gli operatori finanziari di
Prato non fossero i responsabili dell'ammanco del danaro indebitamente trattenuto
invece dagli operatori in Brasile, e che di ciò era ben consapevole l'imputato, le
minacce da costui poste in essere nei confronti del Perracino e del Castagnozzi
dovevano necessariamente ritenersi dirette ad ottenere da costoro non già una
pretesa economica, bensì un facere: le minacce erano infatti volte a spingerli a
mettersi in contatto con i referenti in Brasile affinché restituissero il danaro
indebitamente sottratto, configurando perciò secondo la difesa gli estremi della
violenza privata e non dell'estorsione contestata.
3.3. Con il terzo motivo lamenta la mancata concessione delle attenuanti
generiche nella massima estensione, senza che alla determinazione assunta si
fosse accompagnata alcuna motivazione, nonché l'assenza di giustificazioni in
ordine alla quantificazione della pena, quantunque il mancato adeguamento della
pena al concreto disvalore del fatto avesse formato oggetto di specifica censura
nell'atto di appello.
3.4. Con il quarto motivo eccepisce l'incostituzionalità dell'art. 74 d.P.R.
309/1990 in ordine alla cornice edittale non conforme a quanto stabilito
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dall'Unione Europea con la decisione quadro 2004/757/GAI, né a quanto rilevato
dalla Corte Costituzionale con il monito contenuto nella sentenza 179/2017 in
ordine all'asimmetria punitiva tra il primo ed il quinto comma dell'art. 73 del
medesimo d.P.R., dal quale è ben desumibile un invito alla rivisitazione di tutte le
cornici edittali della normativa in materia di stupefacenti.
4. Il ricorso di
Simone Reqa,
condannato per il reato di tentata importazione
di cocaina di cui al capo D) alla pena di 4 anni ed 8 mesi di reclusione ed C 14.000
di multa, si compone di quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo si contesta l'identificazione dell'imputato con
l'utilizzatore del dispositivo "BB Tiziocaio", fondata sulla circostanza che un servizio
di OCP avrebbe verificato che egli si era recato a casa del Tassone in data 1.4.2014
dopo che quest'ultimo lo aveva invitato tramite un sms intercettato l'utilizzatore
di tale dispositivo a passare da lui: eccepisce al riguardo l'intervenuto
travisamento della prova da parte della Corte di Appello posto che nessun servizio
di OCP vi era stato in quella data, di cui neppure la sentenza dì primo grado aveva
fatto menzione, avendo parlato di un diverso atto istruttorio, ovverosia
dell'intercettazione ambientale effettuata quel giorno. Deduce che
conseguentemente viene meno il presupposto fondante l'ascrivibilità all'imputato
del reato di cui al capo D) dell'imputazione. Contesta altresì l'identificazione della
voce nelle conversazioni ambientali intercettate nell'abitazione del Tassone con
quella dell'imputato attesi i malfunzionamenti dell'apparecchio captativo e gli
assordanti rumori di fondo dovuti ai lavori di ristrutturazione ivi in corso, reputando
irrilevante la circostanza che gli interlocutori si chiamassero per nome fatto questo
non dirimente trattandosi di nomi molto comuni e comunque insufficiente per una
certa identificazione del prevenuto.
4.2. Con il secondo motivo si contesta, in relazione al vizio di violazione di
legge riferito all'art. 49, secondo comma cod. pen. e al vizio motivazionale, la
penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo D), costituito dal
tentativo di importazione sul territorio italiano di una partita di cocaina di ingente
quantità a bordo di una nave proveniente dalla Colombia, stante l'inesistenza
dell'oggetto per non essere stata la droga mai caricata sull'imbarcazione, come
comprovato dall'esito negativo delle minuziose ricerche eseguite dalla PG al suo
arrivo al porto di Livorno. Lamenta che nessuna motivazione sia stata resa al
riguardo dalla Corte distrettuale limitatasi ad asserire la configurabilità del
tentativo, nonostante la dispiegata eccezione, ritualmente formulata con l'atto di
appello, costituisca un antecedente logico necessario, in quanto afferente alla
stessa inconfigurabilità del delitto, sia pure nella forma tentata, per l'originaria
inefficacia causale dell'azione a realizzare l'evento dannoso. Sostiene che in tanto
possa ritenersi sussistente il delitto tentato quando l'oggetto manchi solo
temporaneamente o accidentalmente e non già come nel caso di specie quando
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non vi sia mai stato in concreto, dovendo equipararsi all'assenza del bene
aggredito in rerum natura la sua inesistenza originaria, ricorrente nella specifica
contingenza per non essere stata la droga mai stata caricata presente sulla nave
che avrebbe dovuto trasportarla dal Sud America in Italia.
4.3. Con il terzo motivo invoca l'illogicità della motivazione in ordine alla
sussistenza dell'accordo tra i coimputati, in relazione allo stesso reato di cui al
capo D) ed alla conseguente configurabilità del tentativo, con i fornitori stranieri
accertato dalla Corte territoriale sulla base delle sole emergenze probatorie
positive, tralasciando integralmente quelle che dimostravano la sua inesistenza e
senza alcuna valutazione in ordine alla serietà ed affidabilità delle intese raggiunte.
Eccepisce che si imponeva preliminarmente al giudice la verifica della sussistenza
di riserve mentali o, peggio ancora di intenti fraudolenti ad opera di una delle parti
contraenti che, ove riscontrate, avrebbero impedito la ravvisabilità di un'effettiva
intesa negoziale costituente il presupposto dei contestato tentativo.
4.4. Con il quarto motivo lamenta l'illogicità delle ragioni addotte dalla
Corte di Appello a fondamento dell'aggravante dell'ingente quantità, rimasta del
tutto priva di motivazione nella sentenza di primo grado, costituite dal quantitativo
di droga caricato sulla nave, dal valore economico dell'operazione e dall'entità del
prezzo pagato. Deduce che tutti i suddetti elementi, seppur astrattamente idonei
a configurare la contestata aggravante, non potevano assumere alcuna rilevanza
nel caso di specie in cui all'accordo non aveva fatto seguito alcun adempimento da
parte dei fornitori stranieri dell'obbligazione a loro carico per non essere la merce
oggetto della compravendita mai arrivata a destinazione, di talché, in assenza di
un dato certo, costituito dal quantitativo effettivamente importato o tentato di
importare da parte dell'imputato, gli elementi evidenziati dalla sentenza
impugnata rappresentano soltanto proiezioni di propositi criminosi abortiti prima
ancora di nascere, mancando alla radice la stessa configurabilità dell'accordo
negoziale, verosimilmente configurante una truffa ai danni degli importatori dello
stupefacente, in assenza di qualsivoglia verifica di un'effettiva serietà delle
trattative prodronniche alla conclusione di un valido contratto.
5. Cosimo Damiano Tassone, condannato alla pena di 14 anni di reclusione
essendo stato ritenuto responsabile del reato associativo con il ruolo di promotore
e dei reati di cui ai capi D), G) e H), ha presentato due ricorsi, ognuno per il tramite
di diverso difensore.
5.1. Il ricorso a firma dell'avv. Cesare Piraino si compone di dieci motivi.
5.1.2. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di
legge riferito agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. e al vizio motivazionale,
l'utilizzabilità delle intercettazioni effettuate sulle chat dei dispositivi Blackberry
svolgendo censure analoghe a quelle di cui al primo motivo del ricorso del Giuliani.
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5.1.3. Con il secondo motivo deduce in relazione al vizio di violazione di
legge riferito all'art. 178 lett. c) cod. proc. pen., l'inutilizzabilità patologica delle
intercettazioni, con censure sovrapponibili a quelle di cui al secondo motivo del
ricorso del Giuliani.
5.1.3. Con il terzo motivo censura la mancanza di motivazione
sull'attribuibilità all'imputato del dispositivo Blackberry incriminato, questione che
quantunque avesse costituito oggetto di specifica censura con i motivi di appello,
era stata solo apparentemente affrontata dalla Corte di Appello con generiche e
stereotipate argomentazioni. Ribadisce quanto già evidenziato nella precedente
impugnativa, ovverosia l'irrilevanza, quanto ad un dispositivo, della coincidenza
tra le celle della Sim card associata a quelle agganciate dall'utenza personale del
Tassone alla luce della vastissima area avente un raggio ben 50 chilometri coperta
dalle celle, nonché la circostanza che l'utilizzatore del Blackberry dichiarava di
essere il "pelato", caratteristica questa comune ad altri coimputati, l'equivocità
della presenza in loco dell'autovettura Golf trattandosi di mezzo non di proprietà
del prevenuto e comunque utilizzato anche da altri soggetti, il fatto che
l'interlocutore fosse non già l'imputato ma la donna a lui legata sentimentalmente
e, quanto all'altro dispositivo, che lo stesso non gli era stato nemmeno attribuito
dalla Polizia Giudiziaria.
5.1.4. Con il quarto motivo deduce che in relazione al reato di cui al capo
D) le conversazioni intercettate mettevano in luce una pluralità di elementi che
non consentivano di ritenere le stesse riferite al fatto in contestazione con
conseguente illogica valutazione dei dati acquisiti da parte dei giudici di appello e
comunque carente motivazione. Deduce che il riferimento nelle chat intercettate
al carico della nave da parte di un soggetto soprannominato il Grande, ed
identificato nel coimputato Rega, avvenuto in Ecuador non potesse riguardare la
nave Noble Rigel che in tale paese non era mai transitata, che il richiamo a fatti
avvenuti sei mesi prima rendeva la vicenda inconciliabile con il carico del 7 aprile
così come il riferimento al fatto che l'imbarcazione fosse diretta in un porto dove
in passato era accaduto qualcosa di negativo non poteva indicare il porto di Livorno
dove non si erano mai verificati episodi sfavorevoli per gli imputati. Deduce in ogni
caso che la vicenda di cui all'imputazione aveva dato luogo ad un reato impossibile
posto che il mancato rinvenimento della droga sulla nave era indicativo di un
mancato accordo tra l'imputato ed i fornitori brasiliani e che non era comunque
mai stato pagato il prezzo della partita di droga; censura conseguentemente la
configurabilità del tentativo atteso che l'avvenuto pagamento della fornitura era
smentito dalla riduzione della fornitura della merce, passata da 200 a 135
chilogrammi, la quale rendeva inverosimile un versamento anticipato riferito ad
un quantitativo maggiore a quello teoricamente inviatogli e che la conclusione
dell'accordo, oltre a non trovare alcun aggancio nelle conversazioni captate, era
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sconfessata dalla mancata definizione della stessa entità della partita, elemento
essenziale ai fini del perfezionamento del contratto.
5.1.5. Con il quinto motivo lamenta che la penale responsabilità
dell'imputato con riferimento al reato di cui al capo H) sia ancorata a mere
congetture e sia soprattutto priva di motivazione per avere la Corte di Appello
apoditticamente ritenuto che "i calabresi" cui faceva riferimento nelle chat
intercettate uno dei coimputati fossero identificabili nel Tassone limitandosi a
menzionare, a supporto delle conclusioni raggiunte, due conversazioni tra
quest'ultimo ed il Virzì, una avvenuta lo stesso giorno e l'altra relativa all'incontro
avvenuto tra i due il 6.3.2015 in un bar, senza che neppure ne fosse stato
analizzato il contenuto. Deduce che avendo, invece, il Galanti escluso di aver
raggiunto accordi con i calabresi non vi erano, secondo la stessa prospettiva
imbracciata dalla Corte di Appello, i presupposti per l'attribuibilità dei reato
all'imputato e che la sua insistenza per acquistare una parte del carico,
manifestata solo quando aveva appreso che la nave era partita dal Sudarnerica
escludeva che egli avesse prestato alcun contributo fattivo all'illecita importazione
della partita di cocaina, già perfezionatasi al momento in cui l'imbarcazione era
salpata in direzione della Germania.
5.1.6. Con il sesto motivo deduce che la Corte di Appello ha ricondotto il
fatto contestato al capo G) al delitto di tentata estorsione sul presupposto che il
profitto perseguito dall'imputato fosse ingiusto in quanto la somma di $ 600.000
che intendeva costringere i fornitori di Prato a farsi consegnare costituiva il
provento di attività delittuose, laddove invece non vi era alcun elemento che
supportasse tale conclusione. Eccepisce in ogni caso che anche accedendo alla
ricostruzione patrocinata dalla Corte territoriale mancava il danno subito dai
soggetti passivi, con conseguente insussistenza delia contestata estorsione:
dovendo infatti il pregiudizio di cui all'art. 629 cod. pen. corrispondere ad una
diminuzione patrimoniale delie vittime, la circostanza che costoro fossero state
condannate per riciclaggio non consentiva di ritenere che le somme richiestegli
dagli estorsori facessero parte del patrimonio di cui le stesse vittime potessero
lecitamente disporre.
5.1.7. Con il settimo motivo lamenta, in relazione al vizio motivazionale, la
sussistenza del reato associativo, svolgendo censure sostanzialmente
sovrapponibili a quelle articolate dal Giuliani con il quarto motivo di ricorso.
5.1.8. Con l'ottavo motivo contesta l'illogicità della motivazione in ordine al
ruolo di promotore dell'associazione rivestita dall'imputato. Nel premettere che
tale posizione implica lo svolgimento di compiti di coordinamento dell'attività degli
associati in modo da assicurare la piena funzionalità dei consesso criminale,
deduce che i segni distintivi di tale figura sono del tutto mancanti nella sentenza
impugnata che si limita a menzionare le esternazioni autoincensanti profferite dallo
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stesso imputato, che si vantava dei suoi trascorsi così come dei suoi contatti, senza
che ne fosse risultata alcuna evidenza, mentre la circostanza che gli altri
coimputati lo indicassero come "il principale", ma non consentiva di individuare
alcuna funzione referenziale o carismatica del Tassoni dalla quale desumere che
le azioni criminose poste in essere da altri coimputati fossero l'esecuzione di suoi
ordini o direttive. Eccepisce infine che del tutto irrilevante, rispetto all'associazione
finalizzata al narcotraffico di ingenti quantitativi di stupefacenti importati
dall'estero, fosse il ruolo da costui rivestito nella vicenda relativa al Varricchio
implicante uno spaccio di ben più modesta caratura avente ad oggetto modeste
cessioni di droga riconducibili al 5 comma dell'art. 73 d.P.R.309/1990.
5.1.9. Con il nono motivo lamenta, in relazione al vizio motivazionale,
l'omessa perizia volta all'accertamento della capacità di intendere e di volere
dell'imputato in presenza di chiari segni di una condizione patologica pregressa
trattandosi dì soggetto già soggetto a terapia farmacologica e che aveva
addirittura tentato il suicidio a 18 anni, e l'omesso esame della documentazione di
supporto prodotta dalla difesa.
5.1.10. Con il decimo motivo lamenta l'illogicità della motivazione in ordine
al trattamento sanzionatolo, stante l'applicazione della riduzione conseguente alle
attenuanti generiche in misura del tutto ridotta, pari ad appena 1/6, così da
vanificare nella sostanza lo stesso beneficio riconosciutogli e valutare due volte lo
stesso elemento fattuale atteso che il suo ruolo di promotore dell'associazione era
già stato considerato nella quantificazione della base ai sensi dell'art. 74, primo
comma d.P.R. 309/1990, in misura peraltro superiore al minimo edittale.
5.2. Il ricorso redatto dall'avv. Nunzia De Ceglia si compone di cinque
motivi.
5.2.1. Con il primo motivo censura preliminarmente la scelta, dì per sé
contraddittoria, della Corte di Appello di revocare la perizia disposta al fine di
ottenere chiarimenti tecnici sulle procedure di estrazione dei dati delle
conversazioni intercettate a mezzo di dispositivi Blackberry, e perciò
evidentemente ritenuta necessaria per valutare l'utilizzabilità dei suddetti dati, in
ragione della difficoltà, di natura del tutto contingente, di reperire un perito il
giorno dell'udienza e soprattutto di poter sopperire al mancato accertamento
tecnico con l'escussione del funzionario dipendente della società che aveva
collaborato con la Procura nell'attività di intercettazione, sentito come teste.
Eccepisce in ogni caso l'irritualità della deposizione di quest'ultimo volta ad
acquisire regole tecniche per la valutazione dei fatti, la quale spetta soltanto al
perito nella sua veste di ausiliario del giudice alle cui competenze specialistiche
quest'ultimo è chiamato a far riferimento laddove necessario, nonché le gravi
lacune del ragionamento seguito, sulla sua falsariga, dalla sentenza impugnata
non essendo stato il teste in grado di confrontarsi con sistemi hardware diversi da
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
quelli operativi nella società dove presta attività lavorativa, né di ricostruire i dati
relativi al periodo temporale di interesse essendo stato assunto dopo la chiusura
delle indagini preliminari del presente procedimento, né di riferire quale fosse stato
il luogo della decriptazione del dato grezzo o se i server utilizzati contenessero la
codifica Hash, ovverosia la chiave che dimostra che il contenuto di un file è rimasto
inalterato. Contesta pertanto il diniego di rinnovazione dell'istruttoria non
supportato da adeguata motivazione in ordine alla censurata utilizzabilità del
materiale captato.
5.2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata applicazione dell'art. 49
cod. pen. in relazione al reato di cui al capo D) sotto il profilo del vizio di violazione
di legge e del vizio motivazionale, svolgendo censure di analogo tenore a quelle
contenute, in punto di reato impossibile, nel quarto motivo dell'altro ricorso del
Tassone.
5.2.3. Con il terzo motivo si duole, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 73 d.P.R. 309/1990 e al vizio motivazionale, della mancata
dimostrazione del contributo causale fornito dall'imputato al perfezionamento del
reato di cui al caso D), essendo l'accertato ruolo di concorrente invece smentito
dalla richiesta di informazioni al Rega sul quantitativo di merce importata,
operazione questa perciò pianificata da soggetti diversi e comunque configurante
al più una manifestazione di intenti. Evidenzia altresì una serie di elementi che non
consentono di riferire le conversazioni intercorse tra il Tassone ed il Rega al
trasporto di cocaina oggetto di contestazione, quali il carico effettuato in Ecuador,
luogo in cui la nave non era mai transitata, l'inesistenza di termini in codice
essendo le navi Linda e Sabrina realmente esistenti. Deduce inoltre, con
riferimento al reato di cui al capo H), che il coinvolgimento del Tassone si fonda
sulla sua volontà di acquisire una parte del carico importato manifestata al Virzì,
soggetto nemmeno indagato, dalla quale non era evincibile alcun contributo
causale alla realizzazione dell'azione criminosa già perfezionatasi con la
pianificazione dell'importazione.
5.2.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione dì
legge riferito all'art. 629 cod. pen. e al vizio motivazionale, che la somma inviata
dall'imputato in Brasile provenisse da attività delittuosa atteso che emerge dal
complessivo compendio istruttorio non soltanto la mancanza di guadagni derivanti
dall'attività inerente il traffico di sostanze stupefacenti, ma al contrario le ingenti
perdite subite dall'imputato.
5.2.5. Con il quinto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di
legge riferito all'art. 74 d.P.R. 309/1990 e al vizio motivazionale, la sussistenza
del reato associativo evidenziando in primo luogo, come a parte i due reati fine di
cui ai capi D) ed F), da tutti gli altri episodi relativi al traffico di stupefacente
l'imputato era stato assolto e che comunque non era stata fornita alcuna prova né
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dell'accordo criminoso volto alla commissione di una pluralità di reati, né
dell'elemento soggettivo risolvendosi il ruolo dei pretesi sodali in interventi
estemporanei limitati a singole operazioni di compravendita di stupefacente.
svolgendo censure analoghe a quelle sviluppate nel settimo motivo del ricorso già
esaminato. '
6. Anche Fabio Martino, condannato a 6 anni per il delitto associativo, ha
proposto due ricorsi, uno a firma dell'avv. Giacinto Lupia e l'altro redatto dall'avv.
Pierpaolo Emanuele.
6.1. Il primo ricorso si compone di quattro motivi.
6.1.1. Il primo motivo, con cui si contesta l'utilizzabilità delle intercettazioni
dei dispositivi Blackberry, si compone di censure analoghe a quelle di cui al primo
motivo del ricorso del Giuliani.
6.1.2. Il secondo motivo, afferente alia sussistenza del reato associativo
ricalca le doglianze oggetto del quarto motivo del ricorso proposto dal Giuliani,
concludendo in estrema sintesi che il quadro tratteggiato dalla Corte di Appello
valeva al più a delineare singole ipotesi concorsuali il cui unico comun
denominatore era la figura del Tassone sussumibili nello schema del concorso di
persone.
6.1.3. Con il terzo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la
partecipazione dell'imputato all'associazione in primo luogo sul rilievo che
l'attribuzione al prevenuto di plurimi nicknanne (Diavoletto, Tornado, Francesco,
Coca Cola, Mimmo, Pince Naseem e Lili) imponeva alla Corte di Appello l'obbligo,
rimasto inadempiuto, di fornire una specifica motivazione per ogni singolo
dispositivo Blackberry posto che per ciascuno erano state mosse con l'atto di
appello puntuali e differenti contestazioni. Eccepisce in secondo luogo la
contraddizione di fondo che inficia la sentenza impugnata che ha valorizzato, con
riferimento alla peculiare posizione del Martino, elementi relativi al suo contributo
alla realizzazione del programma criminoso reputati tuttavia insufficienti per
elevare contestazioni concernenti i singoli reati-fine, tralasciando altresì la
circostanza, invece dirimente, che, trattandosi di associazione dedita
all'importazione dì ingenti quantitativi dì stupefacente dall'estero, non poteva
essere apprezzato a tal fine qualunque tipo di apporto, ma solo quelli finalizzati
alla realizzazione degli scopi specifici propri del sodalizio. Sotto tale profilo
evidenza come la circostanza che ii Martino fosse il referente del traffico di
stupefacenti nel mercato italiano fosse di per sé il frutto di un'evidente forzatura
risultando che costui si fosse soltanto occupato della cessione di modesti
quantitativi di stupefacente a tale Rino Varricchio che, in quanto non costituenti
oggetto di alcuna contestazione elevata dalla Procura, non possono rilevare ai fini
della sua partecipazione al consesso criminale, che si assume implicato in traffici
di ingenti quantitativi di droga introdotta nel territorio nazionale mediante
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
container stivati nelle navi. La mancanza di correlazione tra la condotta della
cessione al dettaglio, astrattamente sussurnibile nel piccolo spaccio, e la
partecipazione all'associazione è resa, secondo la difesa, ancor più evidente, dal
fatto che gli unici due reati fine per i quali era stata raggiunta la prova si riferiscono
a due tentativi di importazione che in quanto non arrivati a buon fine non hanno
consentito l'introduzione di alcuna sostanza stupefacente nel territorio nazionale.
L'ulteriore elemento su cui si fonda la penale responsabilità dell'imputato,
ovverosia la sua presenza agli incontri svoltisi presso l'abitazione del Tassone,
risulta, stando alla censura difensiva, illogico ed in conferente ove si consideri che
il Martino aveva ben altre ragioni di trovarsi in quel luogo essendo l'autista del
capo, nonché suo nipote diretto. Eccepisce infine che le restanti condotte
evidenziate nella sentenza impugnata, quali il sotterramento nel terreno
circostante la casa del Tassone di una valigia, della quale neppure è dato conoscere
il contenuto essendo stato in tale luogo rinvenuto nel corso delle successive
indagini solo un bidone contenente una pistola, o le confidenze ricevute dallo zio
circa i suoi progetti futuri nei colloqui del 13 gennaio e del 3 febbraio 2014, non
hanno alcun nesso causale con il programma dell'associazione.
6.1.4. Con il quarto motivo contesta la eccessiva severità della pena base
quantificata in 13 anni e 6 mesi di reclusione, senza che si fosse tenuto conto della
giovanissima età del prevenuto e dei ruoli del tutto marginali attribuitigli, nonché
la sua iniquità rispetto al trattamento sanzionatorio ben più clemente riservato agli
altri coimputati con il ruolo di approvvigionatori della droga proveniente
dall'estero, senza alcuna posizione di subalternità rispetto al Martino.
6.2. Il secondo ricorso si compone di due motivi.
6.2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di
legge riferito agli artt. 696, 727 e 729 cod. proc. pen., l'utilizzabilità dei dati
intercettati in assenza di rogatoria internazionale prevista ogni qualvolta sia
necessario acquisire elementi probatori in territorio estero, deducendo che la
distinzione interna all'operazione intercettiva tra la fase di captazione e quella di
registrazione, entrambe volte all'acquisizione del dato probatorio costituito dal
flusso telematico, impone il rispetto delia procedura internazionale essendosi nella
specie l'attività di captazione svolta all'estero. Ciò emerge dalla stessa deposizione
del teste Piro che ha chiarito come l'operatore telefonico nazionale che gestisce la
SIM Card posizionata nel Blackberry si limiti ad autorizzare il passaggio del
messaggio criptato alla società RIM in Canada, senza perciò svolgere alcuna
attività nella captazione, demandata invece in via esclusiva alla società produttrice
che, dopo aver decifrato il messaggio mettendolo in chiaro attraverso la chiave in
suo possesso, lo trasmette alla RIM Italia la quale a sua volta lo reindirizza ai
server della Procura. Censura pertanto la motivazione ne! punto in cui afferma che
"la captazione è stata eseguita presso un operatore telefonico italiano che ha
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
trasportato la comunicazione", sostenendone l'irragionevolezza rispetto alla
dinamica effettiva delle operazioni, perché se fosse vero quanto affermato dalla
Corte di Appello, dovrebbe allora ammettersi, contrariamente all'evidenza, che il
messaggio, in quanto captato prima del suo passaggio alla RIM Canada, arrivi non
decriptato ai server della Procura. Contesta altresì l'utilizzabilità dei dati acquisiti
in violazione della procedura di legge atteso che il doppio transito a cui sono
soggetti dopo la decriptazione, ossia dalla RIM Canada alla RIM Italia e dalla RIM
Italia alla Procura, li espone alla manomissione, compromettendone l'attendibilità.
Lamenta inoltre che l'attività di decriptazione fosse esperibile esclusivamente
attraverso chiavi riservate alla RIM Canada.
6.2.2. Con il secondo motivo deduce che le attività poste in essere
dall'imputato fossero, come riconosce la stessa sentenza impugnata, del tutto
sganciate dallo specifico programma delittuoso dell'associazione sul punto
essendosi espressamente pronunciato il Tassone nel corso di un colloquio con il
Giuliani risalente al 28.8.2013, anch'esso riportato dalla pronuncia quale pretesa
genesi dell'attività partecipativa del ricorrente, considerando la sua troppo giovane
età tale da precludergli di rivestire un ruolo associativo, compreso quello di
gestione del traffico delle sostanze stupefacenti in Italia: in tale premessa si annida
l'evidente salto logico compiuto dalla Corte di Appello che, quantunque abbia
escluso la qualifica di organizzatore attribuita al Martino dal primo giudice, ne ha
ciò nondimeno mantenuto la veste di partecipante dell'associazione la quale risulta
in stridente contraddizione con l'attività da costui svolta al di fuori del programma
associativo imperniato sul narcotraffico internazionale. Deduce altresì la difesa che
uguale illogicità contraddistingue gli ulteriori segmenti di condotta costituiti,
secondo i giudici di appello, dall'avere il prevenuto eseguito gli incarichi
assegnatigli dallo zio che comportavano un rapporto di elevata fiducia, ovverosia
l'aver sotterrato una valigia nel giardino di quest'ultimo ed il suo coinvolgimento
nella vicenda connessa al reato di riciclaggio: quanto alla prima il presunto
sotterramento di denaro che comproverebbe la conoscenza dei traffici illeciti
perseguiti dal sodalizio risulta smentito dalla successiva affermazione della Corte
distrettuale secondo cui il contenuto della valigia non era stato mai accertato,
precludendo proprio tale lacuna investigativa l'affermazione della responsabilità
dell'imputato che solo ove si fosse trattato di danaro avrebbe potuto consentire di
desumere la sua eventuale intraneità nella consorteria criminale, sempre che ne
fosse stata accertata la provenienza illecita, ma giammai consentiva una
deduzione in tal senso in assenza di ogni accertamento su quanto contenuto nel
bagaglio; quanto alla seconda manca ogni evidenza del coinvolgimento
partecipativo del Martino posto che pur avendo in auto accompagnato in auto lo
zio viene da questi invitato a scendere proprio quando avrebbe dovuto concordare
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
con il Carlesi il programma del riciclaggio, tanto è vero che tale reato non risulta
essergli stato contestato neppure a titolo di dolo eventuale.
7. Domenico Sainato, condannato alla pena di 6 anni e 10 mesi di reclusione
in quanto responsabile del reato associativo e dei reati di cui ai capi G) e D), ha
articolato sei motivi di ricorso.
7.1. Con il primo motivo contesta l'utilizzabilità dei dati intercettati dai
dispositivi Blackberry legata al mancato coinvolgimento dei gestori italiani nella
trasmissione degli stessi all'autorità giudiziaria transitando sulla rete italiana
soltanto il flusso dei dati criptati senza possibilità di visione in chiaro, cui provvede
invece la RIM nelle sedi in cui è ubicata per poi trasmettere in chiaro i dati
decriptati alla RIM Italia e questa a sua volta ai server della Procura. Deduce
pertanto la violazione degli 267 e 268 cod. proc. pen. per la mancanza di controllo
sulle operazioni di intercettazione da parte della Procura che, quand'anche utilizzi
impianti diversi da quelli installati presso i propri uffici, deve comunque poter
verificare la tracciabilità dei dati acquisiti, mentre nel caso in esame non vi è alcun
verbale delle operazioni eseguite volto a garantirne la regolarità e comunque non
poteva delegare integralmente a soggetti privati le operazioni di intercettazione
essendone soltanto consentita l'utilizzazione, previa autorizzazione motivata, di
impianti diversi da quelli della Procura, nella specie del tutto mancante. Eccepisce
altresì la violazione dell'art. 272 cod. proc. pen. che impone di attivare la rogatoria
internazionale non soltanto per le attività di comunicazione e notificazione degli
atti, ma anche per l'assunzione dibattimentale della prova e prima ancora per la
ricerca della stessa con la sola eccezione delle misure cautelari reali, tenuto conto
che i server nei quali sono stati riversati i dati telematici sono ubicati in Canada e
che pertanto si imponeva l'intervento dell'autorità giudiziaria straniera a nulla
rilevando che la richiesta di acquisizione del materiale probatorio fosse avvenuta
in Italia essendo per converso la sua elaborazione materiale, e dunque la stessa
acquisizione del materiale probatorio avvenuta in uno Stato estero. Sotto tale
profilo rileva anche l'illogicità della motivazione che nell'escludere il ricorso alla
rogatoria in quanto consentita nel solo caso in cui sussista la necessità di acquisire
elementi probatori in uno Stato estero, finisce poi con il riconoscere che le
comunicazioni oggetto di intercettazione erano state acquisite al presente
procedimento grazie alla spontanea collaborazione presta da RIM Blackberry
Canada attraverso la sua articolazione nazionale RIM Italia.
7.2 Con il secondo motivo ribadisce l'eccezione di incompetenza territoriale
del giudice adito essendo chiamato a celebrare il procedimento il Tribunale di
Reggio Calabria, tale essendo il luogo del reato più grave dei reati-fine connessi a
quello associativo, costituito dal delitto di cui ai capo B) consumatosi integralmente
nel territorio di Gioia Tauro.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
7.3. Con il terzo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 74 d. P. R. 309 /1990 e al vizio motivazionale, la mancanza di
elementi volti a dimostrare la partecipazione dell'imputato al delitto associativo
tenuto conto che gli sporadici incontri svoltisi in casa del Tassone, promotore ed
organizzatore del sodalizio criminale, e la sua partecipazione a due soli reati fine
potevano al più configurare, in assenza di un vincolo durevole che accomuni il
prevenuto anche agli altri sodali e della stabilità del factum sceleris, l'ipotesi
concorsuale.
7.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito all'art. 73 d. P. R. 309 /1990 e al vizio motivazionale, l'identificazione
dell'utilizzatore del dispositivo Blackberry avente il nickname "Vale" con l'imputato
quale autore del reato di cui al capo D) non essendo a tal fine sufficiente la sua
presenza a bordo di un'autovettura Golf insieme ad un altro uomo davanti al
cancello dell'abitazione del Tassone a ritenere che si trattasse della stessa persona
che il giorno prima aveva concordato con il coimputato di vedersi sotto casa sua
attesa la presenza di un altro soggetto sulla stessa auto e l'utilizzo non esclusivo
del mezzo da parte dell'imputato. Eccepisce altresì il travisamento della prova
relativa alla conversazione intercorsa tra l'imputato ed il Tassone a due mesi di
distanza dai fatti in cui il capo si lamentava con il suo interlocutore di un'ingente
perdita di danaro, senza che nessun elemento consentisse di ritenere la perdita
riferita al tentativo di importazione di cocaina in contestazione, né tantomeno che
sottintendesse, come inopinatamente ritenuto dalla Corte territoriale, l'accordo
raggiunto da costoro per l'acquisto di una partita con i fornitori della cocaina,
peraltro mai identificati, al quale aveva fatto seguito la corresponsione del prezzo
pattuito. Del pari avulsa dagli acquisiti elementi istruttori risulta secondo la difesa
la contestazione dell'aggravante dell'ingente quantità.
7.5. Con il quinto motivo deduce il travisamento della prova riferita al reato
di
cui capo G) in ordine all'identificazione, del tutto disancorata dai dati
processuali, dell'utilizzatore del Blackberry recante il nickname "Zanet" con
l'imputato, in ragione della sua presenza nella città di Prato lo stesso giorno in cui
veniva registrato su detto cellulare un messaggio dal tenore palesemente equivoco
ed oscuro proveniente dal dispositivo con il nickname Adriano.
7.6. Con il sesto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge
riferito agli artt. 133 e 62 bis cod. pen. e al vizio motivazionale, l'eccessiva severità
della pena ed il diniego delle attenuanti generiche nella massima estensione senza
aver tenuto conto della dubbia identificabilità dell'imputato, della marginalità dei
ruolo da costui ricoperto all'interno dell'associazione e dell'incapacità dei sodali di
portare a termine importazioni di droga in quantitativi rilevanti.
8. Il ricorso di Davide Perracino, condannato alla pena di 2 anni ed 8 mesi
di reclusione ed C 3.000 di multa per il reato di riciclaggio, si compone di un unico
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pluriarticolato motivo afferente al vizio di illogicità, contraddittorietà e carenza
motivazionale per non avere la Corte di Appello valutato la ricostruzione
alternativa offerta dall'imputato. Specificamente la difesa contesta che dalla
conversazione intervenuta tra il Tassone ed il Giuliani il 4.6.2014 possano trarsi
indicazioni sul riciclaggio in quanto provenienti da soggetti indifferenti a tale tema
oltre che essere il Tassone in evidente stato di ira, che l'imputato potesse essere
consapevole della provenienza illecita del danaro sin dalla riunione avvenuta tra i
promotori finanziari, essendo tale affermazione contraddetta dall'assunta difficoltà
in cui si sarebbe trovato quando erano arrivate in casa sua le due valigie con il
danaro, oltre che illogica perché, se così fosse stato, si sarebbe attivato per
esportare la somma e comunque non avrebbe provocato la reazione di paura del
Castagnozzi e del Carlesi quando egli aveva negato la propria collaborazione,
rifiutata proprio perché ignaro delle conseguenze. Deduce che l'assunzione di
responsabilità per l'accaduto, frase peraltro del tutto generica, da parte
dell'imputato trova giustificazione nel fatto che quando pronuncia tale frase si
trovava in presenza del Castagnozzi al quale era assoggettato.
9. Alessandro Galanti, condannato alla pena di 4 anni ed 8 mesi di
reclusione ed C 14.000 di multa in quanto responsabile del reato di cui al capo H),
ha articolato tre motivi.
9.1. Con il primo motivo lamenta l'utilizzabilità delle intercettazioni
telefoniche acquisite in assenza di rogatoria internazionale svolgendo
contestazioni di contenuto analogo a quelle oggetto del primo motivo di ricorso
dello Stainato. Deduce inoltre l'irritualità della tecnica, in alternativa alla rogatoria
internazionale, dell'instradannento, intesa come convogliamento delle chiamate,
quand'anche estensibile alla nnessaggistica, svoltesi in Italia in partenza per
l'estero sfruttando un unico nodo situato in Italia posto che tale nodo nel territorio
italiano manca del tutto.
9.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di
legge processuale, che essendo le comunicazioni tra i coimputati avvenute a
mezzo messaggi, foto e chat, ovverosia con modalità prive, a differenza delle
conversazioni telefoniche, di contestualità, riducendosi invece ad una copiatura di
file, assimilabili a documenti, conservati su server siti all'estero che la società
proprietaria, la RIM, trasmette, senza perciò intercettarli, alla Polizia Giudiziaria,
avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 254 bis cod. proc. pen. che disciplina il
sequestro di dati informatici presso i fornitori degli stessi dati. Lamenta pertanto
la mancata osservanza delle formalità preliminari, quali l'emissione di un decreto
motivato, la consegna dello stesso agli interessati unitamente alle facoltà di farsi
assistere da un difensore.
9.3. Con il terzo motivo contesta l'identificabilità dell'utilizzatore de
Blackberry "Don Nino" con l'imputato deducendo che il rinvenimento presso
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
l'abitazione di costui dell'annotazione relativa al PIN in uso al suddetto nickname
non fosse idonea a giustificare la raggiunta conclusione posto che tra gli imputai
era diffuso l'uso promiscuo dei dispositivi Blackberry e che neppure potesse
rilevare il fatto che l'utilizzatore di tale dispositivo aveva fornito al proprio
interlocutore due indirizzi email, le cui password erano composte dal nome
Alessandro, trattandosi di un nome comune anche ad altri coimputati.
10. Con memoria depositata in data 20.5.2019 l'avv. Nunzia De Ceglia ha
articolato per il Tassone un nuovo motivo con il quale eccepisce la nullità della
sentenza impugnata con riferimento agli aumenti di pena applicati a titolo di
continuazione per i reati di cui ai capi D) ed H) stante la sopravvenuta declaratoria
di parziale incostituzionalità dell'art. 73 d.P.R. 309/1990 nella parte in cui prevede
la pena minima edittale di otto anni anziché di sei anni, rilevando come gli aumenti
applicati a titolo di continuazione all'imputato fossero stati calcolati tanto dal primo
giudice quanto dalla Corte di Appello sulla base della previgente, più sfavorevole
forbice edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Carattere preliminare rivestono le questioni relative al compendio
probatorio per la parte relativa alla messaggistica proveniente dai dispositivi
Blackberry in uso ai vari coimputati di cui si contesta sotto plurimi profili
l'utilizzabilità.
Il primo motivo di entrambi i ricorsi del Martino, il primo motivo dello
Stainato, il primo ed il secondo motivo del Galanti, i primi due motivi del Giuliani
ed il primo motivo dei due ricorsi del Tassone ed il secondo di quello a firma
dell'avv. Piraino devono essere, in quanto accomunati da censure tra loro
intrinsecamente connesse ed in buona parte sovrapponibili, esaminati
congiuntamente.
1.1. La giurisprudenza di legittimità, alla quale i Giudici di merito si sono
pienamente attenuti, si è più volte occupata delle questioni dedotte con i motivi di
ricorso chiarendo che è legittima l'acquisizione di contenuti di attività di
messaggistica mediante intercettazione operata ai sensi degli articoli 266 e
seguenti del codice di procedura penale, poiché le "chat", anche se non contestuali,
costituiscono un flusso di comunicazioni e precisando come sia del tutto consentita
l'attività di messa in chiaro di messaggi criptati (nella specie scambiati mediante
sistema Blackberry), effettuata dalla PG delegata attraverso la nomina, anche
senza particolari formalità, di ausiliari tecnici ed il ricorso alla spontanea
collaborazione da parte del produttore del sistema operativo in ordine all'algoritmo
necessario per la decifrazione (Sez. 3, n. 5818 del 10/11/2015, dep. 2016,
Agresta, Rv. 266267).
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Che l'attività di ricerca della prova sia riconducibile al genus delle
intercettazioni deve ritenersi affermazione pienamente condivisibile alla luce del
fatto che si tratta della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ben
diversa dall'acquisizione "ex post" del dato conservato nella memoria
dell'apparecchio telefonico che documenta flussi già avvenuti, come avviene per i
messaggi "WhatsApp" e gli "SMS". Va pertanto disattesa la preliminare doglianza
svolta dalla difesa del Galanti che ha censurato l'applicazione della disciplina di cui
all'art. 266 cod. proc. pen. in luogo di quella di cui all'art. 254 cod. proc. pen.,
essendo al riguardo sufficiente considerare che il sequestro di dati informatici può
avere ad oggetto dati nella loro configurazione statici, relativi, cioè, a
comunicazioni già avvenute, presenti su un dispositivo telefonico o telematico e
che rivestono perciò natura di documenti. Come già affermato da questa Corte
deve pertanto reputarsi legittima l'acquisizione di contenuti di attività di
messaggistica mediante intercettazione operata ai sensi dell'art. 266 e ss. cod.
proc. pen, poichè le "chat", anche se non contestuali, costituiscono un flusso di
comunicazioni (Sez. 3, n. 50452 del 10/11/2015 - dep. 23/12/2015, Guarnera e
altri, Rv. 26561501, riferita proprio alla messaggistica proveniente dal sistema
"Blackberry"), la cui intercettazione non differisce in alcun modo (se non in ordine
alle modalità tecniche ed operative) da quanto normalmente avviene in ipotesi di
captazioni di conversazioni effettuate attraverso apparati mobili (in tal senso Sez.
4, n. 40903 del 28/06/2016, Grassi, Rv. 268228).
1.2. Ciò posto, la Corte capitolina ha puntualmente chiarito la dinamica
dell'intercettazione, ovverosia l'acquisizione della messaggistica scambiata
mediante il sistema protetto Blackberry: il messaggio partito dal dispositivo
Blackberry di un utente in Italia, munito di codice identificativo (IMEI) e di codice
Pin (che essendo impresso all'interno del telefono non è né scambiabile né
riutilizzabile) e diretto ad altro dispositivo Blackberry attraverso il sistema pin to
pin (la comunicazione non può essere effettuata se non si conosce il pin del
destinatario), transita sulla rete telematica dove viene acquisito dall'operatore
telefonico italiano che gestisce la carta Sim; quest'ultimo lo trasmette mediante la
scheda Sim, che è l'unico elemento che consente al dispositivo Blackberry di
collegarsi al web, utilizzando un canale cifrato end-to-end, dal terminale al server
della RIM Italia che a sua volta lo trasmette alla RIM Canada, la quale, essendo
l'unica depositaria la chiave necessaria alla cd. messa in chiaro, decifra il contenuto
del messaggio e lo reinvia al destinatario finale decriptato. Su tale peculiare
dinamica si innesta l'attività di intercettazione, ai cui fini è necessario che la
competente autorità giudiziaria emetta il relativo decreto di intercettazione
telematica per un certo PIN o IMEI, intestato a BlackBerry / RIM Italia s.r.l. e che
lo invii all'ufficio di pubblica sicurezza dedicato ai rapporti con l'autorità giudiziaria
italiana (PSO - Public Security Office - Italia): questa procedura, come risulta dagli
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atti processuali, è stata rigorosamente eseguita ed osservata, previa assicurazione
della collaborazione fornita dalla RIM Italia che ha posto quale condizione che il
terminale intercettato si trovasse sul suolo italiano e che fosse dotato di carta Sim
italiana. Una volta verificate le condizioni iniziali (decreto di intercettazione,
presenza del terminale sul suolo italiano), BlackBerry ha di volta in volta estratto
i contenuti relativi ai servizi del terminale di interesse e li ha inviati direttamente
sul server della Procura della Repubblica richiedente. Quest'ultima ha poi
provveduto alla registrazione dei messaggio attraverso l'utilizzo di server di società
private, la Area e la SIO, installati direttamente nei suoi uffici.
La Corte d'appello, nell'uniformarsi agli approdi cui è pervenuta in questa
specifica materia la giurisprudenza di legittimità, ha sostenuto come, nel caso di
specie, le operazioni di intercettazione di cui all'art. 268 cod. proc. pen.,
legittimamente applicabili anche in presenza di comunicazione informatiche
costituite da flussi di dati, fossero avvenute in territorio italiano, tramite la
registrazione dei dati telematici (i messaggi scambiati dai telefoni degli imputati)
trasmessi in originale alla società RIM con sede in Italia e dalla stessa, avvalsasi
del compendio aziendale ubicato all'estero per la sola decifratura, inviati alla
memoria informatica centralizzata (server) installata nei locali della Procura di
Roma, ove sono stati letti, registrati e verbalizzati.
Nel prendere a riferimento tale ricostruzione, l'obiezione su cui fa leva la
difesa della maggior parte dei motivi dei ricorsi in esame si incentra sul passaggio
dalla RIM Italia alla RIM Canada, paese nel quale è ubicato il server che, essendo
dotato della chiave che consente di mettere in chiaro il contenuto del singolo
messaggio, provvede alla decriptazione per poi solo dopo trasmetterlo
nuovamente al destinatario finale, cioè al server della Procura: sostengono i
ricorrenti che tale passaggio del flusso delle comunicazioni dall'Italia al Canada sia
illegittimo in quanto avvenuto in assenza dell'attività rogatoriale prevista dal
codice di rito, e dunque di qualsivoglia controllo o garanzia giurisdizionale, nonché
al di fuori dei locali della Procura procedente, la quale soltanto è deputata alla
registrazione dei dati all'infuori dei casi di insufficienza, inidoneità degli impianti o
eccezionali ragioni di urgenza, e che comunque comporti un'inammissibile
modificazione del dato originale, essendo quella reinviata alla Procura soltanto una
copia, che si riflette sulla sua stessa utilizzabilità ed attendibilità.
L'assunto non può essere in alcun modo essere condiviso.
Muovendo dalla distinzione, messa ben in luce dalla pronuncia a Sezioni
Unite n. 36359/2008, tra le quattro fasi - captazione, registrazione, ascolto,
verbalizzazione - di cui si compone l'attività di intercettazione, aventi ognuna
autonoma e diversa rilevanza sul piano giuridico, occorre rilevare che mentre il
primo segmento, la captazione delle conversazioni (e cioè l'intercettazione in
senso stretto), non può che essere effettuata presso l'operatore telefonico che
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
"trasporta" la comunicazione, quale che sia la tecnica utilizzata, e quindi
necessariamente al di fuori degli uffici della Procura, dove il segnale sonoro viene
semplicemente deviato per la registrazione e l'ascolto, è con esclusivo riferimento
alla fase successiva della registrazione, consistente, sulla base delle tecnologie
attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in una memoria informatica
centralizzata (il cd. server), che si pone la problematica di assicurare la genuinità
ed intangibilità delle emissioni sonore captate. Conseguentemente, cosi
come chiarito da questa Corte nel suo supremo consesso, è limitatamente a detta
fase che deve ritenersi riferito, a garanzia dei bene giuridico tutelato, l'obbligo di
esecuzione nei locali della Procura della Repubblica mediante l'utilizzo di impianti
ivi esistenti previsto dall'art. 268, 3 comma, derogabile con provvedimento
autorizzativo del Pubblico Ministero espressamente motivato solo nell'ipotesi di
inidoneità o insufficienza degli impianti installati presso la Procura della
Repubblica o di eccezionali ragioni di urgenza: infatti è attraverso la integrale
registrazione delle conversazioni che viene evitato il rischio di possibili
manipolazioni della prova, assicurando invece la piena corrispondenza tra quanto
detto, quanto ascoltato e quanto verbalizzato (Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008 -
dep. 23/09/200S, Carli, Rv. 240395).
Ciò premesso, quella che viene effettuata dalla RIM Canada è
esclusivamente la decriptazione del dato che ne consente attraverso la chiave di
decodificazione la messa in chiaro, attività che non ha nulla a che fare con la sua
registrazione, operazione ad essa logicamente successiva che resta demandata
all'organo giurisidizionale inquirente e che risulta anche nel caso di specie essere
stata eseguita integralmente nei locali della Procura romana. E' in Italia, luogo dal
quale partivano i messaggi dai singoli dispositivi Blackberry, che è stato acquisito,
attraverso l'operatore telefonico italiano, il dato grezzo che, solo per essere reso
intellegibile, interferiva con RIM Italia e poi con RIM Canada, che in quanto dotata
della chiave di decriptazione, era in grado, attraverso un sistema di funzionamento
binario, di metterne in chiaro il testo, senza tuttavia poterne alterare il contenuto.
Ma nessun rilievo riveste la circostanza che il relativo server fosse ubicato in
Canada considerato che l'algoritmo attraverso il quale veniva effettuata la
decodificazione fa parte di un'unica rete interconnessa elettricamente con segnali
che, viaggiando alla velocità della luce, non hanno distanza fisicamente
quantificabile. Il mondo RIM, quale che sia il luogo di dislocazione della relativa
strumentazione, ovverosia delle porte di accesso, il Canada, come il Regno Unito
o gli Stati Uniti o l'Italia, è una rete globale che non ha geografia, al cui interno
viaggiano soltanto le chiavi di decodificazione, mentre i dati che ne sono oggetto
(i cd. dati grezzi) restano fisicamente nel luogo in cui sono stati emessi e, dunque,
nella fattispecie, in Italia. La attività di decriptazione non può conseguentemente
ritenersi avvenuta all'estero, bensì all'interno del "mondo RIM" che, facendo parte
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
del web, non conosce localizzazioni. D'altra parte essendo la suddetta attività
compiuta attraverso un algoritmo, la sua automacità, compiuta senza alcun
intervento umano, costituisce la garanzia dell'insussistenza, in tale fase, facente
ancora parte delle operazioni di captazione, di qualsivoglia manipolazione. Quello
che conta invece, al fine di assicurare la genuinità ed intangibilità del flusso
di comunicazioni captato, è che i relativi dati vengano dalla RIM, una volta
decriptati, trasmessi alla Procura attraverso un canale diretto, che è esattamente
quello che è avvenuto nell'attività di intercettazione effettuata nel presente
procedimento, essendosi poi la Procura occupata, una volta ricevuto il dato messo
in chiaro, dell'attività di registrazione e di estrazione con l'utilizzo esclusivo degli
apparecchi hardware forniti dalle società SIO ed Area ed ubicati all'interno dei
propri locali.
Da tale premessa discende, a cascata, l'infondatezza di tutte le
contestazioni difensive.
1.3. Va in primo luogo evidenziato che lo Stato italiano non ha compiuto
alcuna attività di acquisizione probatoria o documentale all'estero, con la
conseguenza che, a torto, è stata invocata dai ricorrenti la sanzione
dell'inutilizzabilità di cui all'articolo 729 del codice di procedura penale per
violazione dell'articolo 727, comma 1, stesso codice. Premesso che il concetto
stesso di rogatoria internazionale implica una richiesta di assistenza
(cooperazione) giudiziaria che uno Stato presenta ad un altro per il compimento,
in territorio estero, di attività probatoria o di altra attività connessa ad esigenze di
un procedimento in corso nonché per acquisizioni documentali, rogatoria alla quale
lo Stato estero richiesto decide, di volta in volta, se dare o meno esecuzione in
conformità al diritto internazionale, occorre rilevare come in tema di intercettazioni
a tale procedura sia necessario fare ricorso solo per conversazioni che intercorrono
su utenze estere o su terminali (anche se intercettati attraverso il codice IMEI o il
Pin) tra soggetti che non si trovino in territorio italiano (Sez. 4, n. 9161 del
29/01/2015 - dep. 02/03/2015, Andreone ed altri, Rv. 262441). Ben diverso è il
caso di specie in cui i dati informatici necessari per decriptare le comunicazioni
sono stati forniti all'autorità giudiziaria italiana a seguito di una richiesta, corredata
dal decreto autorizzativo ex articolo 266-bis del codice di procedura penale,
inoltrata ad una società italiana (ossia la RIM Italia/Blackberry Italia), la quale ha
preso in carico la richiesta stessa ed il risultato dell'attività, spontaneamente
espletata, è stato trasmesso, in via telematica, nei server installati presso la
Procura richiedente. In tali termini risulta essersi già espressa questa Corte
affermando in una fattispecie analoga che sono utilizzabili, senza necessità di
rogatoria, gli esiti di intercettazioni di comunicazioni in "chat protette tramite il
servizio c.d. "pin to pin" gestito tramite "server" collocato in territorio estero, ma
i cui dati siano stati registrati nel territorio nazionale, per mezzo di impianti
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
installati presso la Procura della Repubblica (Sez. 6, n. 1342 del 04/11/2015, dep.
2016, Brandimarte, Rv. 267184). Principio questo di recente ribadito da questa
stessa Sezione che ha affermato che "in tema di intercettazioni telefoniche,
l'acquisizione della messaggistica, scambiata mediante sistema BlackBerry, non
necessita di rogatoria internazionale quando le comunicazioni sono avvenute in
Italia o attraverso un terminale presente sul suolo nazionale, a nulla rilevando che
per "decriptare" i dati indentificativi associati ai codici PIN occorra ricorrere alla
collaborazione del produttore del sistema operativo avente sede all'estero,
collaborazione che, se spontaneamente prestata, rende non necessario il ricorso
alla rogatoria internazionale per l'acquisizione dei dati telematici, e ciò anche ai
sensi e per gli effetti dell'articolo 234-bis del codice di procedura penale, norma
peraltro direttamente applicabile anche nel presente procedimento, dovendosi
avere riguardo, sulla base del principio tempus regit actunn, alla legge processuale
del tempo dell'utilizzazione della prova e non della sua acquisizione, atteso che
nel caso di successione di leggi che incidano sui requisiti e sui presupposti
legittimanti i mezzi di ricerca della prova e l'utilizzazione dei relativi elementi, il
principio "tennpus regit actum" opera in maniera differente qualora siano
ontologicamente separati, come nella specie, i due momenti di formazione dell'atto
e di formale acquisizione dei risultati della ricerca probatoria" (Sez. 3, n. 36381
del 09/05/2019 - dep. 23/08/2019, CRUZADO OCARIS HECTOR RAUL, Rv.
27670102).
1.4. Né è invocabile sotto altri profili l'inutilizzabilità dei dati intercettati che
risultano, invece, acquisiti nel pieno rispetto della procedura ex lege. Le pur
copiose disquisizioni difensive in ordine al funzionamento della comunicazione a
mezzo chat del sistema di messaggistica utilizzato dalla Blackberry non arrivano
in definitiva a scalfire il dato, rimasto incontestato, che il messaggio è partito nel
territorio italiano e che ivi è rimasto nella successiva fase di intercettazione,
essendo irrilevante in quale frangente sia avvenuta la criptazione come la
decriptazione dello stesso da parte del sistema informatico per il tramite
dell'azienda che gestisce il servizio di captazione.
Ciò è del resto quanto emerge anche dalla deposizione del teste Piro,
ovverosia del funzionario della società SIO, titolare degli apparecchi utilizzati dalla
Procura, che ha precisato come non possa parlarsi in relazione alla registrazione
del flusso di dati presso la Procura di una versione "originale" che ha affermato
essere inesistente posto che il contenuto del messaggio, che viaggia in formato
digitale, è cifrato già all'origine. Affermazione questa che viene chiarita dalla Corte
distrettuale che, muovendo dall'inapplicabilità dei concetti di originale e di copia
ad un sistema informatico, spiega come il messaggio registrato sui server della
Procura, pur non corrispondendo a quello inizialmente captato dall'operatore in
quanto cifrato, non era comunque qualificabile come copia trattandosi dello stesso
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
messaggio messo in chiaro. Ciò non toglie che in ogni caso il dato originario,
seppur non leggibile in quanto coperto dalla chiave di cifratura Blackberry,
comunque esistesse: la sua indecifrabilità non attiene in alcun modo alla genuinità,
ma esclusivamente al fatto che l'algoritmo di decodificazione fosse nell'esclusiva
disponibilità della RIM e, come tale, segreto. Dal file originario è stato ciò
nondimeno creato, grazie a specifici programmi informatici, i cd. tools, che
decodificano, raggruppano ed elaborano il dato captato in modo automatico, un
altro file in formato XML, contenente la decriptazione del primo oltre importanti
informazioni aggiuntive come il codice PIN dei dispositivi interessati, nonché la
data e l'orario di invio.
1.5. Da nessuna manifesta illogicità o carenza può ritenersi affetta la
motivazione resa dai giudici distrettuali che non risulta meritevole di alcuna
censura per non avere disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale,
sollecitata dalla difesa del Tassone, con la richiesta di acquisizione della consulenza
tecnica di parte redatta dall'ing. Palumbo e della sua escussione come teste (primo
motivo del ricorso a firma dell'avv. De Ceglia).
La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che, in tema di giudizio
abbreviato, al giudice di appello è consentito disporre d'ufficio i mezzi di prova
ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti che formano oggetto
della decisione, secondo il disposto dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., e che
alle parti, in difetto di una prerogativa processuale ormai definitivamente abdicata
con la scelta iniziale, è permesso soltanto di sollecitare l'esercizio dei detti poteri
suppletivi di iniziativa probatoria (Sez. 1, n. 13756 del 24/01/2008, dep.
02/04/2008, Diana, Rv. 239767). Ne viene che, pur se la rinnovazione del
dibattimento in appello non è assolutamente incompatibile con il rito abbreviato,
posto che anche nel giudizio a prova contratta occorre assicurare il rispetto dei
valori costituzionali che innervano l'esercizio della funzione giurisdizionale, il
potere di integrazione probatoria può trovare legittimamente ingresso all'interno
del detto giudizio esclusivamente all'esito di un preventivo scrutinio che valuti
l'assoluta necessità della prova nuova, dichiarativa o documentale che sia, ai fini
della decisione, sulla scorta dei poteri officiosi (Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013,
dep. 31/10/2013, PG, PC in proc. Stasi, Rv. 258320). Alla stregua di tali regulae
iuris appare evidente la correttezza del diniego da parte della Corte territoriale
che, pur avendo inizialmente ritenuto la necessità di procedere ad accertamento
tecnico relativamente alle questioni sollevate in tema di intercettazioni tramite
Blackberry, ha, in seguito all'audizione della deposizione del tecnico, dipendente
della società SIO da cui erano state prese a noleggio le apparecchiature utilizzate
dalla Procura della Repubblica, ritenuto di revocare la precedente ordinanza sul
rilievo che le dichiarazioni fornite dall'ing. Piro consentivano di ritenere acquisiti i
chiarimenti necessari. Provenendo le notizie relative al funzionamento delle
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
intercettazioni della comunicazione a mezzo chat del sistema di messaggistica
utilizzato dalla Blackberry comunque da un tecnico che ha fornito in forma orale,
senza rivestire la veste formale di ausiliario del giudice, i chiarimenti richiestigli,
le doglianze difensive che, lungi dal confutare il merito delle dichiarazioni rese da
costui, si diffondono in disquisizioni meramente teoriche sull'impossibilità per il
teste di confrontarsi con sistemi hardware di società diverse dalla propria o sul
fatto che all'epoca delle indagini preliminari non fosse ancora dipendente della
SIO, non colgono nel segno: i chiarimenti richiestigli, attenendo al funzionamento
del sistema Blackberry, prescindevano infatti dalla sua condizione personale,
essendo egli stato sentito esclusivamente nella veste di esperto dei sistemi
telematici di comunicazione "sicura". Né certamente rileva la circostanza che egli
non sapesse se i server della SIO contenessero il sistema di decodifica Hash o
quale fosse il canale di sicurezza utilizzato dalla sua società nel 2014 quando
ancora non lavorava al suo interno, posto che la sentenza impugnata ha ritenuto
di dover prescindere integralmente, stante la ritenuta assoluta genuinità del dato
decriptato, dalla verifica tramite codice Hash o di altro tipo. Del resto il codice
Hash è invocato inutilmente posto che trattandosi di un sistema relativo alla
modulazione della comunicazione, non ha nulla a che vedere con la criptografia
e/o la decriptazione della messaggistica.
1.6. Infondata risulta, ancora, la doglianza secondo la quale la mancata
disponibilità in capo ai ricorrenti dell'algoritmo attraverso il quale decodificare i
dati informatici connessi al contenuto dei messaggi intercettati, configurerebbe
violazione del diritto di difesa precludendo la possibilità di verifica della
corrispondenza tra il dato originale e quello messo in chiaro e ne
comprometterebbe la genuinità (primo motivo del Martino). Al di là del rilievo che
le conversazioni così come registrate hanno trovato in molti casi un formidabile
riscontro nelle risultanze servizi di 0.P.C, alla contestazione in esame non si
accompagna in ogni caso alcuna indicazione di messaggi troncati, incompleti o
dissonanti, tali da desumerne in ultima analisi una compromissione del dato,
restando la censura relegata sul piano della genericità: deve infatti rilevarsi che la
circostanza che per i suddetti flussi di comunicazione siano previsti sistemi non di
libero accesso alla decifrazione, in quanto nell'esclusiva disponibilità del soggetto
che ne sfrutta il potenziale economico e commerciale, non si traduce di per sé in
un'alterazione del dato originale.
Invero, come già affermato da questa Corte in tema di intercettazioni di
flussi comunicativi, l'indisponibilità dell'algoritmo utilizzabile per la decriptazione
dei dati informatici non determina alcuna lesione del diritto di difesa, atteso che
l'interessato può avvalersi della procedura prevista dall'art. 268, commi 6 e 7, cod.
proc. pen. per verificare il contenuto delle captazioni, ma non può anche
pretendere un controllo diretto mediante l'utilizzo esclusivo e non mediato del
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
programma di decriptazione (Sez. 6, n. 14395 del 27/11/2018 - dep. 02/04/2019,
Testa, Rv. 275534) I codici cifrati consentono, come nel caso del sistema
Blackberry, di rendere criptati i messaggi che solo attraverso la decriptazione
possono essere resi intellegibili, senza che tuttavia possa mai giungersi attraverso
tale operazione a modificarne il contenuto, evenienza che il ricorrente, deducendo
una omessa diretta verifica, solo astrattamente ipotizza. In assenza dell'algoritmo
necessario alla decodificazione risulta - secondo la scienza informatica -
impossibile avere a disposizione un testo intellegibile con contenuto in lingua
italiana difforme dal reale, potendosi, al più avere, se del caso, una sequenza
alfanumerica o simbolica (come avviene con l'utilizzo del codice Hash o altri
similari) priva di alcun senso, analogamente a quanto avviene in ipotesi di flussi
che inviano immagini criptate. Appare, allora, evidente che la censura in questa
sede proposta risulta certamente generica laddove, sotto specie di una critica
rivolta alla possibilità di verifica astratta nei confronti di tutte le captazioni
comunque avvenute ed in assenza di circostanze che consentano, anche solo a
livello ipotetico, di ritenere che sulle stesse sia stata effettuata una manipolazione,
in realtà se ne contesti la legittimità, a cui sopra si è fornita adeguata risposta.
1.7. Quanto alla doglianza relativa alla violazione del diritto di difesa per
non avere il GIP autorizzato l'accesso alla memoria centralizzata al fine di verificare
la diretta acquisizione delle intercettazioni al server, la stessa risulta
manifestamente infondata.
Invero, non è dato rinvenire nella sequenza procedurale descritta nello
statuto codicistico delle intercettazioni alcuna norma positiva che autorizzi
l'accesso del difensore alla memoria informatica della Procura, accesso che, nei
termini esplorativi nei quali è stato allegato, non sarebbe in ogni caso ammissibile
ai sensi dell'art. 268, comma 6, cod. proc. pen. poiché il diritto del difensore di
accesso alle registrazioni, anche ai fini dell'ascolto degli originali, può essere
garantito attraverso opportuni sistemi tecnici - quali, in primis la duplicazione,
eseguibile anche "in remoto" dalla polizia giudiziaria, dei file estratti dai supporti
informatici -, che prescindano dall' accesso diretto al server dell'ufficio
istituzionalmente deputato alla conservazione degli atti e, quindi, garante della
loro genuinità, del trattamento dei dati e della loro segretezza. All'interno di tali
coordinate, esclusa la sussistenza di una condizione di inutilizzabilità patologica,
deve anche escludersi che il mancato accesso diretto al server dell'ufficio
inquirente ovvero agli originali dei files audio possa comportare una nullità
assoluta, ai sensi degli artt. 178, lett. c) e 179 cod. proc. pen., potendo, al più
dare luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, assoggettata,
come è noto, alla particolare osservanza dell'art. 180 stesso codice e non più
deducibile, in quanto sanata con la scelta del giudizio abbreviato, secondo
un'opzione che questa Corte ha già affermato, in tema di intercettazioni di
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
conversazioni, in relazione all'omesso deposito dei supporti magnetici ed al
conseguente mancato accesso agli stessi da parte dei difensori (Sez. 6, n. 44006
del 06/06/2017 - dep. 25/09/2017, Cafiero e altri, Rv. 271558; Sez. 6, n. 21265
del 15/12/2011, dep. 2012, P.G., Bianco e altri, Rv. 252850). In aggiunta ai rilievi
fin qui svolti, deve rilevarsi che del tutto generico è l'allegato pericolo che, nel
procedere alle operazioni di trasferimento e duplicazione, si possa essere
provocata la dispersione o l'alterazione dei files pericolo che, ex se remoto dal
punto di vista tecnico, è evocato senza indicare alcun riscontro di tale
supposizione.
2. Passando alla disamina delle altre eccezioni pregiudiziali, deve affermarsi
la manifesta infondatezza delle contestazioni in ordine alla competenza territoriale
oggetto del secondo motivo del ricorso dello Stainato.
Correttamente i giudici di merito hanno applicato l'art. 51, comma 3-bis
cod. proc. pen. che prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, tra i quali
figura il reato di cui all'art. 74 d.P.R. 309/1990, una deroga assoluta ed esclusiva
agli ordinari criteri di determinazione della competenza sicché, ove si proceda per
uno qualsiasi di essi e per reati connessi, anche più gravi, la competenza
territoriale del primo esercita una "vis attractiva" anche sugli altri (cfr. ex multis
Sez. 1, n. 16123 del 12/11/2018 - dep. 12/04/2019, Rv. 276391; conf. Sez. 1, n.
32765 del 03/05/2016 - dep. 27/07/2016, Confl. comp. in proc. G, Rv. 267503).
Nessun pregio ha l'eccepita competenza territoriale del foro di Reggio
Calabria che la difesa trae dal principio estrapolato da una sentenza, peraltro letta
solo parzialmente, che affronta un diverso profilo della problematica, relativo cioè
all'ipotesi in cui non sia possibile individuare il luogo della consumazione del reato
associativo, affermando che "In tema di associazione per delinquere, anche se di
tipo mafioso o finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, qualora le evidenze
processuali non rendano manifesto né il luogo in cui ha preso vita l'associazione
per delinquere né quello della sua concreta operatività organizzativa e decisionale,
occorre far riferimento al luogo in cui è stato commesso il primo reato fine, a
prescindere dalla sua gravità, in quanto manifestativo - ai sensi dell'art. 8, comma
3, cod. proc. pen. - della consumazione del reato associativo. Tuttavia, qualora i
reati fine siano connessi a quello associativo, la competenza territoriale deve
essere determinata ai sensi ai sensi dell'art. 16, comma 1, cod. proc. pen., e quindi
con riferimento non al reato commesso per primo, bensì a quello più grave" (Sez.
2, n.33724 del 2.8.2016). E' evidente che tale questione sia del tutto estranea al
procedimento in esame, in cui non emergono problematiche in ordine al luogo di
consumazione del reato associativo.
3.Esaurite le questioni processuali, devono essere affrontate, in successiva
battuta, quelle afferenti al merito dei reati in contestazione.
28
c,.
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Muovendo dalla disamina dei reati-fine secondo l'ordine di cui
all'imputazione, i motivi articolati dal Tassone, dal Rega e dal Sainato in ordine al
delitto di tentata importazione di un ingente quantitativo di cocaina proveniente
dal Sud America di cui al capo D) devono ritenersi in larga parte inammissibili e
comunque infondati.
Appare il caso di premettere, in termini generali, che, come già evidenziato
in altri casi dalla giurisprudenza di questa corte, il reato consumato di importazione
di stupefacenti si realizza anche prima del materiale trasferimento della droga in
territorio nazionale, quando l'agente abbia acquisito in uno Stato estero la
proprietà della droga medesima, assumendo l'onere del trasporto a proprie cure
(Sez. 6, Sentenza n. 27998 del 11/07/2011, rv. 250560; Sez. 2, Sentenza n. 486
del 21/12/1998, rv. 212252). Ciò rispecchia il generale principio consensualistico
che regola il contratto di compravendita, in ragione del quale l'incontro di volontà
determina il passaggio di proprietà, e conduce ad affermare che, in concreto, il
raggiungimento dell'accordo circa il trasferimento della sostanza stupefacente
destinata ad essere trasferita sul territorio italiano da parte dell'acquirente concreti
senz'altro la fattispecie consumata della condotta di "importazione" enunciata,
sinteticamente, dalla norma penale, che si risolve, come le altre condotte
incriminate, in una acquisita "titolarità" della droga da parte di soggetti che
agiscono, anche solo in parte, sul territorio nazionale, che attraverso quell'accordo
hanno realizzato, sostanzialmente, un approvvigionamento all'estero. Da ciò
discende che tutte le condotte che si collocano nel momento antecedente
all'incontro di volontà che determina il passaggio della proprietà delle sostanze
oggetto dell'illecita importazione, possono rientrare nella sfera del tentativo
punibile allorquando, in ragione della progressione delle trattative intercorse tra le
parti, debba ritenersi che le intese raggiunte ai fini del perfezionamento del
contratto siano arrivate ad una fase tale di avanzamento da farne ritenere avviata
la fase conclusiva. Se dunque, secondo i condivisibili principi già affermati da
questa Corte, è sufficiente ad integrare il tentativo di importazione di sostanze
stupefacenti la condotta che, collocandosi in una fase antecedente all'acquisto
della proprietà della droga destinata ad essere trasferita nel territorio nazionale,
si presenti come idonea ed univocamente diretta alla conclusione di tale accordo
traslativo, dando vita ad una trattativa sul cui positivo esito risulti che - per la
natura, la qualità ed il numero dei contatti intervenuti - i contraenti abbiano riposto
concreto affidamento (Sez. 3, n. 7806 del 15/11/2017 - dep. 19/02/2018, Pmt ed
altri, Rv. 272446; Sez. 3, n. 29655 del 29/01/2018 - dep. 02/07/2018, Rv.
273717), la fattispecie tentata deve ritenersi a fortiori perfezionata quando, come
nel caso di specie, sia stato già concluso l'accordo per l'importazione della droga,
che tuttavia non è arrivata a destinazione per la mancata esecuzione da parte dei
29
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
fornitori sudamericani degli adempimenti a loro carico, ovverosia per il mancato
caricamento della merce sulla nave individuata per il suo trasporto oltreoceano.
3.1. Obietta la difesa del Rega (terzo motivo) che nessuna verifica sia stata
effettuata dai giudici di merito in ordine alla serietà degli accordi negoziali da parte
dei fornitori dello stupefacente, assumendo, a fronte della loro evidente
inaffidabilità, la sussistenza di riserve mentali o di intenti fraudolenti tali da privare
il contratto del necessario crisma di validità. E' evidente che l'argomento provi
troppo, presupponendo le stesse contestazioni difensive l'intervenuta conclusione
del contratto: una volta che si sia raggiunto l'accordo avente ad oggetto la
fornitura della cocaina, le intenzioni dell'altro contraente, quand'anche truffaldine,
rilevano semmai sul piano della responsabilità contrattuale da inadempimento, ma
non incidono sul perfezionamento del contratto che supera, proprio con la fusione
della volontà fra le parti, le trattative tra costoro in precedenza intercorse che non
possono più costituire, unitamente agli atteggiamenti o agli stati d'animo delle
parti, oggetto di accertamento da parte del giudice. E' infatti l'accordo concluso,
sul quale gli imputati facevano pieno affidamento essendosi organizzati in attesa
dell'arrivo del carico per prelevarlo, che configura l'idoneità dell'azione rilevante ai
fini del tentativo punibile.
3.2. Quanto al mancato pagamento del prezzo della fornitura eccepito dalla
difesa dello Stainato sulla scorta di un assunto travisamento della prova (quarto
motivo), occorre rilevare che la contestazione, oltre ad essere preclusa dal limite
del devolutum in presenza di cosiddetta "doppia conforme", lungi dal far emergere
una contraddittorietà processuale, si sostanzia invece, venendo con essa
censurata la valutazione data dalla sentenza impugnata alle prove raccolte, in
un'inammissibile censura di apparente natura motivazionale. Non è infatti
consentito, in sede di legittimità, proporre un'interlocuzione diretta con la
Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente vagliate in
sede di merito sollecitandone l'esame attraverso la sovrapposizione del proprio
scrutinio, posto che il compito del giudice di legittimità è limitato al controllo della
coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il
profilo logico argomentativo: le dispiegate censure nelle quali non vengono
evidenziate né fratture motivazionali né incongruità argonnentative rispetto alle
conclusioni raggiunte, non possono perciò trovare ingresso innanzi a questa Corte.
Del resto, la sentenza impugnata ha coerentemente desunto dalla conversazione
intercorsa tra il Tassone ed il Rega, cui il ricorrente non risulta neppure aver
assistito, il pagamento del prezzo avendo costoro fatto espressa menzione con
riferimento al tentativo di importazione di droga nel porto di Livorno alle somme,
specificamente indicate nell'importo, perse nell'operazione, senza che la difesa
abbia neppure indicato a quali diverse fallite importazioni dovesse riferirsi il dialogo
preso in esame.
30
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
3.3. Del pari inammissibili risultano le analoghe contestazioni svolte dalla
difesa del Tassone che, facendo leva su una serie di elementi esclusivamente
fattuali, propongono una diversa lettura dei messaggi scambiatisi tra i computati,
in cui invece la Corte di Appello identifica, con minuziosa analisi del materiale
captato - di cui viene evidenziato di volta in volta il linguaggio convenzionale
utilizzato - i riferimenti alla nave Noble Rigel e al carico trasportato, del tutto
irrilevante risultando in ogni caso, alla luce dell'intervenuta conclusione del
contratto, la circostanza che le somme versate corrispondessero al prezzo
integrale pattuito o costituissero solo un anticipo inziale.
3.4. Va infine rilevato quanto alle contestazioni svolte dal Rega con il
secondo motivo e dal Tassone nel secondo motivo del ricorso dell'avv. De Ceglia,
che in tanto è configurabile il reato impossibile in quanto, tenuto conto delle
circostanze conoscibili da parte dell'agente la sua condotta non presentava
nessuna possibilità di successo, evenienza questa da escludersi nella fattispecie in
esame dove l'importazione era stata concordata nei minimi dettagli dagli imputati.
L'azione si configurava perciò pienamente idonea al raggiungimento dell'obiettivo
voluto, dovendo l'efficienza causale originaria dell'azione essere valutata con
giudizio ex ante. Premesso che gli imputati non avevano neppure ipotizzato che la
droga potesse non essere stata caricata sulla nave che la avrebbe dovuta
trasportare in Italia, va rilevato che non è certo il disguido o la volontà truffaldina
dei fornitori ad incidere sull'idoneità dell'azione perfettamente pianificata sin
dall'origine, essendo soltanto intervenuto un fattore causale deviante rispetto
all'evento voluto, che non può rilevare sulla condotta, univocamente idonea al
conseguimento del risultato.
La circostanza che nessuna motivazione sia stata spesa dalla sentenza
impugnata in ordine al reato impossibile non configura alcuna carenza censurabile
posto che la ritenuta configurabilità, in positivo, del tentativo di importazione di
droga contiene in sé l'esclusione di ogni altra ipotesi alternativa. Nella motivazione
della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, infatti, a compiere
un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che,
anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato,
le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
decisivo, con la conseguenza che debbano in tal caso considerarsi implicitamente
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del
19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
Il motivo deve essere pertanto rigettato.
3.5. Lo stesso dicasi per l'aggravante ex art. 80 d.P.R. 309/1990 la cui
contestazione non può fondarsi, come sostiene il Rega nel quarto motivo, sulle
31
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
risultanze, valutate ex post, dell'insuccesso dell'azione. L'ingente quantità del
carico trasportato è stata tratta dall'intercettazione della comunicazione in data
26.4.2014 tra il ricorrente e il Tassone in cui il primo rende noto al secondo che
il carico atteso sarebbe stato di almeno 200 chilogrammi, poi rettificata quello
stesso giorno in forza di un messaggio trasmesso dal fornitore estero al Rega e da
questi girato al dominus in cui si precisava che la fornitura era di 135 chili,
suddivisa in tre borsoni, quantitativo questo che trova conferma nella
ragguardevole somma che il Tassone, una volta constatato l'insuccesso
dell'operazione, si lamenta di aver sborsato per l'acquisto, anch'essa emersa dal
compendio captato. Non si tratta, così come assume la difesa, di proiezioni dei
propositi criminosi degli imputati, ma di dati che, attenendo alla trattativa già
conclusa per la fornitura della cocaina proveniente da Sud America, erano per
costoro certi, esattamente come l'arrivo della merce sulla quale facevano
affidamento. E poiché la disciplina del delitto tentato coinvolge tutti gli aspetti della
tipicità dell'azione, devono ritenersi tra essi compresi anche quelli inerenti alle
circostanze, le quali, assolvendo alla funzione di caratterizzare la condotta
criminosa comunque perfezionatasi, consentono di adeguare la pena all'effettivo
disvalore del fatto e devono perciò essere considerate ai fini della gravità
dell'illecito in contestazione: non vi sono ostacoli, in assenza di elementi sia
testuali che logici che impongano di ritenere che la disciplina del tentativo sia
inerente al solo reato base, a considerare la possibilità di configurare una
fattispecie tentata, in cui figuri una circostanza parimenti tentata e quindi non
ancora compiutamente realizzatasi. Ne consegue che è configurabile, in materia
di delitti concernenti gli stupefacenti, l'aggravante di cui all'art. 80 d.P.R. 309 del
1990 allorché sia possibile desumere con certezza dalle modalità del fatto e in
base ad un preciso giudizio ipotetico, che, se il reato fosse stato portato a
compimento, la condotta tipica, in questo caso quella di importazione, avrebbe
riguardato un quantitativo ingente di droga (Sez. 3, n. 6021 del 19/10/2016 - dep.
09/02/2017, Corsini e altri, Rv. 268949; Sez. 4, n. 2631 del 23/11/2006 - dep.
25/01/2007, Aquino, Rv. 235937). Uniformandosi perciò al suddetto orientamento
giurisprudenziale i giudici capitolini hanno correttamente ritenuto sulla scorta delle
indicate premesse fattuali la sussistenza della contestata aggravante.
3.6. Valutazione a sé stante deve essere riservata ai motivi articolati dai
tre imputati con riferimento alla loro identificabilità come autori del reato, i quali
incorrono tutti nella censura di inammissibilità.
Le doglianze svolte dalla difesa del Rega nel primo motivo, nel quale si
assume il travisamento della prova per avere la Corte di Appello equivocato il
compendio probatorio avendo ritenuto che l'imputato fosse stato visto arrivare
1'1.4.2014 presso l'abitazione del Tassone nel corso del servizio di OCP, incappano
nella palese violazione del principio di autosufficienza: l'assunto difensivo secondo
32
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
cui il suddetto servizio di OCP non sarebbe stato mai espletato non risultano
supportate da alcuna evidenza, gravando sul ricorrente l'onere di identificare l'atto
processuale cui fa riferimento, di individuare l'elemento fattuale o il dato
probatorio che da tale atto emerge, incompatibile con la ricostruzione svolta nella
sentenza e di dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio
invocato, nonchè della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si
fonda (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010 - dep. 22/12/2010, Damiano, Rv.
249035). L'assunto negativo su cui si fonda la doglianza non esonerava il
deducente dall'onere di allegazione quantomeno producendo la comunicazione
conclusiva delle indagini dalla quale sarebbe stato possibile verificare l'eventuale
mancanza del servizio di osservazione ad opera della PG, restando invece la
censura formulata in termini apodittici e perciò relegata sul piano della genericità.
In ogni caso, anche a voler ritenere che non ci fosse stato 1'1.4.2014 alcun
servizio di OCP nei pressi dell'abitazione del Tassone, così come assume la difesa,
la contestazione è priva di rilevanza decisiva atteso che la Corte distrettuale ha
comunque fondato la riconducibilità della conversazione concernente un carico di
droga perduto, captata all'interno dell'abitazione del Tassone, al Rega sul
riconoscimento della sua voce da parte degli inquirenti e sull'ulteriore riscontro
dell'identità del timbro vocale riconosciuto nel corso del successivo colloquio
intervenuto il successivo 30.6.2014 tra gli stessi interlocutori, confermato dal fatto
che i due si chiamavano per nome. Né l'identificazione della voce da parte degli
operatori di PG può ritenersi contrastato dalle contestazioni meramente
congetturali svolte dalla difesa in ordine a pretesi malfunzionamenti della
strumentazione di captazione o ai rumori di fondo della conversazione che sono
ampiamente superati dall'accertata buona qualità della registrazione. Il devoluto
vizio motivazionale incorre perciò nella sanzione dell'inammissibilità atteso che
l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè
di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, tali
da inficiare la tenuta dell'intero ragionamento seguito dal giudice di merito (Sez.
2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
3.7. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il quarto motivo
dello Stainato, le cui contestazioni in ordine alla sua identificazione con
l'utilizzatore del dispositivo Blackberry denominato "Vale" si appuntano sul
momento valutativo della prova senza individuare alcuna frattura logica o carenza
argomentativa nelle quali possa compendiarsi il devoluto vizio motivazionale.
Scevro da illogicità deve ritenersi il ragionamento seguito dalla Corte capitolina -
e comunque non contrastato dalle censure di natura meramente contestative in
ordine al possibile utilizzo dell'autovettura da parte di terzi - la quale ha fondato
su tre elementi di chiara valenza probatoria il riconoscimento dell'imputato,
33
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
ovverosia sui messaggi captati in data 23.4.2014 inerenti ad accordi con il Tassone
per vedersi il giorno successivo a casa di quest'ultimo, sull'effettività dell'incontro
avvenuto il mattino seguente stante il messaggio proveniente dal medesimo
cellulare in cui l'interlocutore avvertiva lo "zio" di essere arrivato e dalla presenza,
contestualmente riscontrata dal servizio di OPC, di un uomo giunto davanti la
villetta del dominus a bordo della stessa autovettura in cui è stato dagli agenti due
mesi dopo identificato lo Stainato al suo arrivo a Prato.
3.8. Del tutto generiche risultano infine le doglianze svolte dal Tassone nel
terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. Piraino in ordine all'attribuibilità a costui
del dispositivo Blackberry denominato Momo sul rilievo che le celle della Sim Card
associata allo stesso cellulare coprono un'area talmente vasta, avendo un raggio
di
circa 50 chilometri da escludere alcuna valutazione contrassegnata da certezza.
La difesa non si confronta, infatti, con la puntuale osservazione resa dai giudici
distrettuali che sottolineano la costante coincidenza dei messaggi provenienti dal
dispositivo contrassegnato dal suddetto nickname con quelle dell'utenza
ufficialmente intestata all'imputato, tale da escludere che potesse trattarsi di una
casualità a meno di supporre l'evenienza in concreto inverosimile che un altro
soggetto si trovasse ogni volta nelle stesse zone in cui si trovava il Tassone: la
deduzione improntata a rigorosa logicità non risulta in alcun modo scalfita dalle
astratte contestazioni difensive, di natura esclusivamente contestativa.
Quanto invece all'attribuibilità all'imputato della conversazione svoltasi in data
30.6.2014 con il Rega contestata dalla difesa sul presupposto che durante il
colloquio il soggetto intercettato avrebbe dichiarato di essere "il pelato",
caratteristica questa non conferente con la persona del Tassone, la doglianza così
come formulata preclude alla radice qualunque vaglio della dispiegata censura di
illogicità motivazionale: sotto tale profilo il ricorso sconta la violazione del principio
di autosufficienza che impone ogni qualvolta venga dedotto il vizio di manifesta
illogicità della motivazione in relazione a specifici atti di provvedere, a pena di
inammissibilità, alla loro integrale trascrizione ovvero all'allegazione
all'impugnativa stessa (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 - dep.
26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez.5, n.11910 del 22.1.2010, Casucci,
Rv.246552). Non avendo la difesa adempiuto al suddetto onere di allegazione
riferito all'atto processuale di cui si lamenta l'incongrua valutazione, il profilo
censurato deve essere dichiarato inammissibile.
Le ulteriori doglianze svolte all'interno dello stesso motivo sempre in ordine
all'identificabilità dell'imputato cadono tout court nell'inammissibilità in quanto,
non indicando neppure i punti della sentenza ai quali si riferiscono, risultano prive
della necessaria pertinenza censorea.
4. In relazione al reato di cui al capo H), concernente il tentativo di
importazione di 60 chilogrammi di cocaina caricati a bordo della nave "Grande San
34
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Paolo" diretta a Rotterdam e sequestrati prima del suo arrivo nei porti di Emden e
di Amburgo, ascritto al Tassone e al Galanti, i motivi articolati dalla difesa di
entrambi gli imputati risultano inammissibili.
4.1. Il terzo motivo articolato dal Galanti afferente alla sua identificabilità con
l'utilizzatore del dispositivo Blackberry contrassegnato con il nickname "Don Nino"
si destina, risolvendosi nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in
appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, per ciò solo all'
inammissibilità in quanto omette di assolvere la tipica funzione di una critica
argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. Mentre la circostanza che il
dispositivo, di cui il ricorrente non contesta la titolarità, fosse in uso anche ad altri
soggetti non risulta supportata neanche nel presente ricorso, come già rilevato dai
giudici capitolini, da alcuna evidenza eventualmente pretermessa, tale non
potendosi certamente considerare la dichiarazione resa in sede dibattimentale
dallo stesso imputato, non valgono per contro ad inficiare la tenuta logico
argomentativa della pronuncia gravata le generiche osservazioni sul fatto che il
nome "Alessandro", corrispondente a quello di battesimo dell'imputato ed
utilizzato come password per l'apertura di due caselle di posta elettronica, fosse
comune ad altri coimputati, sia perché trattasi di rilievo già considerato dalla Corte
di Appello che ha escluso che potesse corrispondere a quello del Virzì, l'unico fra i
prevenuti con lo stesso nome, che utilizzava anche nelle conversazioni con il
prevenuto un altro dispositivo, sia perché anche altri sono stati gli elementi
considerati ai fini della sua identificabilità, con i quali il ricorrente non si confronta:
valenza dirimente è stata infatti attribuita alla circostanza che al messaggio partito
da tale cellulare in data 15.3.2015 per un incontro col Virzì abbia fatto seguito
l'OCP che ha consentito di verificare che era proprio il Galanti colui che si trovava
in compagnia del coimputato nel luogo e all'ora convenuta.
4.2. Quanto ai due motivi svolti nei due ricorsi per conto del Tassone deve
rilevarsi che il terzo motivo dell'atto a firma dell'avv. De Ceglia si compone di
doglianze del tutto generiche con le quali si assume che l'imputato non abbia avuto
alcun ruolo nella pianificazione di un'operazione programmata ed organizzata da
altri essendo le frasi da costui pronunciate solo una manifestazione di intenti:
trattasi tuttavia di prospettazione che non solo non risulta accompagnata da alcun
supporto neppure fattuale, ma che comunque non si confronta con i puntuali rilievi
della Corte di Appello che è ben consapevole che le trattative per l'acquisto di una
parte del carico siano state condotte quando la nave era già in viaggio, senza ciò
nondimeno ritenere tale elemento rilevante alla luce dell'intesa raggiunta per il
tramite del Galanti.
4.3. Il quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Piraino si risolve invece in
doglianze o meramente contestative, quale quella che il Tassone non potesse
identificarsi con il gruppo dei calabresi, puntualmente documentata invece dalla
35
3'-°
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
sentenza impugnata che evidenzia la stretta sequenza temporale tra il primo
colloquio tra l'imputato ed il Virzì e quello successivo avuto da quest'ultimo con il
Galanti in cui
/
riferendosi proprio alle richieste dei "calabresi", concorda con
l'intermediario di esaudire le richieste del Tassone sia pure in forma di concessione,
o che comunque si appuntano sulla valutazione del compendio probatorio
esaminato dai giudici di appello senza tuttavia evidenziarne alcun vulnus sul piano
logico argomentativo, assumendo anche in tal caso l'estraneità dell'imputato alle
trattative intercorse quando il carico di droga era già partito. Il vizio motivazionale,
deve essere ancora una volta ricordato, si sostanzia nel solo accertamento della
congruità e coerenza dell'apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli
elementi acquisiti nel corso del processo, e non al suo contenuto valutativo,
fuoriuscendo dal perimetro operativo di questa Corte il controllo tra prova e
decisione: il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere
valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione
posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione
probatoria ad essa sottesa, esclusivamente riservata al giudice di merito.
5. Il reato di riciclaggio di cui al capo
F)
ascritto, per quanto qui interessa, a
Davide Perracino è oggetto del ricorso di quest'ultimo che contesta il vizio
motivazionale quanto all'affermazione di responsabilità in relazione all'elemento
soggettivo. Tuttavia l'operazione censorea condotta dalla difesa si fonda su una
disamina parcellizzata di singoli elementi che, estrapolati dal complessivo tessuto
motivazionale, non riescono a delineare l'illogicità argomentativa astrattamente
invocata, tenuto peraltro conto che si tratta comunque di rilievi afferenti a profili
del tutto marginali, tali da escludere in sé il carattere della decisività, intesa come
capacità di disarticolare, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati, il costrutto
logico-argonnentativo della decisione impugnata, richiesta ai fini della compiuta
configurabilità del vizio deducibile ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen.: va
infatti ancora una volta ribadito che il sindacato di legittimità, riservato a questa
Corte, non può dilatarsi nella indiscriminata rivalutazione dell'intero materiale
probatorio che si risolverebbe in un nuovo giudizio di merito.
Che la conversazione del 4.6.2014 intervenuta tra il Tassone ed il Giuliani
possa essere "eventualmente valutata a favore del Perracino", come si legge nella
sentenza impugnata nella disamina della posizione del Castagnozzi, è
affermazione che, strutturata lessicalmente in forma concessiva, non scalfisce i
plurimi elementi successivamente individuati, in termini positivi, dai giudici
capitolini a dimostrazione della consapevolezza della provenienza delittuosa in
capo all'imputato del danaro oggetto del trasferimento all'estero.
Compiuta, organica e coerente si presenta la ricostruzione della Corte di
Appello sul punto, venendo evidenziato in una serrata sequenza motivazionale
come la sottoscrizione da parte del prevenuto di un documento contenente i
36
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dettagli dell'operazione di trasferimento del denaro del Tassone in Brasile
avvenuta ai primi di maggio del 2014, le plurime conversazioni intercettate tra i
commissionari dell'operazione finanziaria in cui vengono dagli stessi chiaramente
esplicitati i rischi cui sarebbero andati incontro, la presenza dei soldi in contanti
contenuti in due valigie, portate a casa del Castagnozzi dove si era svolto un
successivo incontro tra i cd. operatori finanziari per pianificare il trasferimento, la
reazione di panico mostrata dai presenti alle difficoltà sollevate dall'imputato sul
fatto che si trattasse di contanti, culminate nella frase del Sozzi "qua mi
ammazzano", sintomatica delle conseguenze paventate ove l'operazione non
fosse stata portata a compimento, costituissero tutti indici, logicamente
assemblati, della consapevolezza in capo al ricorrente della natura e della finalità
della manovra finanziaria posta in essere. E' in tale contesto che si inserisce il
secondo passaggio censurato dalla difesa che assume che essendo stato dato atto
delle difficoltà in cui sarebbe venuto a trovarsi il Perracino, nella riunione in casa
del Castagnozzi, alla vista dei contanti, risulterebbe esclusa la previa acquisita
consapevolezza dell'illecito, oltre al fatto che non sarebbe stata la presenza dei
contanti a fermarlo se egli fosse stato realmente consapevole della provenienza
delittuosa del denaro. Lettura questa anch'essa del tutto decontestualizzata posto
che l'accento messo dalla Corte capitolina sulla reazione degli astanti costituisce il
riscontro ritenuto incontrovertibile, nella remota eventualità che egli non avesse
già precedentemente compreso la reale portata dell'operazione commissionata dal
Tassone, della acquisita consapevolezza della effettiva provenienza del danaro e
delle finalità cui era sotteso il trasferimento affidatogli. E che non sia stata la
presenza dei contanti a fermarlo è chiarito proprio dalla descrizione della sua
successiva condotta, essendosi egli attivato per il tramite di suoi canali personali
per il reperimento di un contatto con la Svizzera che ha consentito ai suoi complici
di partire il giorno seguente, valigie alla mano, alla volta di Lugano.
In definitiva le doglianze difensive si risolvono in una lettura alternativa del
compendio istruttorio, suffragata peraltro soltanto da elementi congetturali,
rispetto a quella datane dai giudici di merito, che non può essere ritenuta illogica
solo perché contraria agli assunti del ricorrente: l'illogicità della motivazione, per
essere apprezzabile come vizio denunciabile ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., può riferirsi esclusivamente alla mera correttezza dei discorso giustificativo
della decisione, e non al suo contenuto valutativo, dovendo perciò essere
unicamente riscontrata tra le diverse proposizioni contenute nella motivazione,
ovverosia sulla congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo dello
stesso provvedimento, il metro della cui logicità è soltanto interno al medesimo
atto impugnato. Deve infatti ribadito che il controllo di legittimità concerne il
rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione;
sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere
37
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione
posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione
probatoria ad essa sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea
al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Meramente congetturale è del resto l'ulteriore profilo lamentato relativo
all'assunta soggezione psicologica del Perracino al Castagnozzi, delle cui
determinazioni il primo sarebbe stato integralmente succube,
incontrovertibilmente esclusa dalla Corte distrettuale in assenza di qualsivoglia
riscontro della tesi difensiva, senza che la doglianza in questa sede proposta
effettui un pur minimo confronto con quanto al riguardo enunciato.
Il ricorso in esame deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
6. Intrinsecamente legato all'operazione di riciclaggio è il reato di tentata
estorsione di cui al capo G) ai danni dei Carlesi, del Castagnozzi e del Perracino,
ascritto al Tassone, in qualità di mandante, ed al Sainato, al Giuliani e al Lombardo
quali esecutori materiali, ai danni degli operatori finanziari di Prato: la condotta
contestata ai quattro imputati trae origine, secondo la ricostruzione dei giudici di
merito, connessione questa non messa in discussione dalle rispettive difese, dal
fatto che il danaro "da ripulire" con l'operazione finanziaria di cui al capo F), fosse
giunto solo parzialmente in Brasile.
Esaminando i motivi di ricorso articolati dai quattro imputati secondo l'ordine
logico e sistematico derivante dalla struttura dell'impugnazione in sede di
legittimità, devono essere prioritamente analizzate le questioni afferenti alla
sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato.
6.1. Il travisamento della prova devoluto con il quinto motivo del ricorso del
Giuliani in ordine alla condotta posta in essere dall'imputato che avrebbe soltanto
ricevuto direttive da parte del Tassone volte ad intimidire con minacce e violenza
le vittime ma lei avrebbe in concreto eseguite incorre all'evidenza nella censura di
inammissibilità. Come già affermato da questa Corte nel caso di cosiddetta "doppia
conforme", il vizio in questione, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel
materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere
dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. e)
cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica
deduzione - che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima
volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento
di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 - dep. 20/02/2017, La Gunnina
e altro, Rv. 26921701): non soltanto nel motivo in esame le prove asseritamente
travisate in quanto costituite da singoli spezzoni estrapolati dal contesto di
riferimento ne precludono alla radice la valutazione, ma in ogni caso manca
qualsiasi deduzione nel senso testè precisato, sembrando al contrario da quanto
38
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
dedotto in ricorso che la difesa attinga indifferentemente da entrambe le sentenze
di merito.
6.2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per il quinto motivo dello
Stainato, fondato anch'esso su un preteso travisamento della prova quanto
all'identificabilità dell'imputato con l'utilizzatore del dispositivo Blackberry
corrispondente al nicknanne Zanet. Al di là del rilievo che non risulta neppure
chiarito in cosa consista il dedotto travisamento sembrando piuttosto la
contestazione appuntarsi sulla valutazione del contenuto della conversazione
intercettata, vale in ogni caso, anche a volere ritenere così come sostiene il
ricorrente che il giudice di appello abbia fondato il proprio convincimento sul
contenuto dell'intercettazione incontestabilmente diverso da quello reale, il
principio secondo il quale il vizio in esame può essere invocato nell'ipotesi di
decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di
doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato
ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice d'appello,
al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a
contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice. Nessuna deduzione è
contenuta nel ricorso in ordine al fatto che il dato probatorio asseritannente
travisato è stato per la prima volta valutato dalla sentenza impugnata pronunciata
dal giudice di secondo grado.
6.3. Quanto al secondo motivo del Lombardo, la pretesa illogicità
motivazionale della sentenza impugnata si fonda sulla lettura parcellizzata del
provvedimento atteso che l'esclusione di violenza fisica da parte degli imputati nei
confronti delle vittime non si traduce affatto nella negazione della condotta
contestata, concretizzatasi invece, come chiarito nei passaggi successivi, nelle
pesanti intimidazioni rivolte agli operatori finanziari, accompagnate anche da
minacce di morte, cui peraltro ha fatto seguito nei confronti del Perracino un
serrato e costante controllo ai limiti del sequestro di persona, di fatto segregato
nell'abitazione dello stesso Lombardo, al fine di dimostrare loro la potenza
criminale del gruppo. La descritta condotta criminosa, ad escludere la quale non
valgono gli atteggiamenti subdolamente comprensivi, con cui si alternavano,
nell'obiettivo di guadagnare la condiscendenza degli interlocutori, quelli
marcatamente minatori essendo entrambi volti a coartare la volontà delle vittime
per ottenerne la collaborazione, integra a tutti gli effetti l'elemento oggettivo del
delitto di estorsione: sono infatti le contingenze concrete, quali l'appartenenza
degli imputati ad un sodalizio criminoso, la loro caratura delinquenziale, le
modalità con cui sono state poste in essere a determinare la potenzialità delle
minacce ad incutere timore in chi la riceve (Sez. 6, n. 3298 del 26/01/1999 - dep.
12/03/1999, Savian D, Rv. 212945; Sez. 2, n. 19724 del 20/05/2010, P.M. in
proc. Pistolesi). Correttamente perciò le minacce poste in essere nei confronti dei
39
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
soggetti passivi, dovendo essere valutate con giudizio ex ante, sono state ritenute
idonee ad incidere sulla libertà psichica di costoro, venutisi, di conseguenza a
trovare in uno stato di costrizione morale ancorchè non abbiano poi ceduto alle
richieste estorsive.
6.4. Quanto agli altri elementi costituivi del reato viene contestata dal Giuliani
sempre con il quinto motivo, nonché dal Tassone con il quarto motivo del ricorso
a firma dell'avv. De Ceglia e con il sesto motivo a firma dell'avv. Piraino la
sussistenza dell'ingiusto profitto.
In tema di estorsione, il profitto deve ritenersi ingiusto allorché sia fondato su
una pretesa non tutelata dall'ordinamento giuridico ne' in via diretta - quando,
cioè, si riconosce al suo titolare il potere di farla valere in giudizio - ne' in via
indiretta - quando, pur negandosi il potere di agire, si accordi il diritto di ritenere
quanto spontaneamente sia stato adempiuto, come nel caso delle obbligazioni
naturali menzionate nell'art. 2034 cod. Civ.. Nella specie il danaro richiesto in
restituzione dagli imputati agli operatori finanziari era connotato dall'accertata
provenienza delittuosa, trattandosi dei profitti acquisiti dall'associazione facente
capo al Tassone dai traffici di droga costituenti l'attività cui era dedita lo stesso
sodalizio criminoso e conferiti agli operatori di Prato al fine di riciclarli così da
ostacolare l'identificazione della loro origine illecita. Tale assunto è stato
ampiamente suffragato dalla sentenza impugnata sul rilievo che nessuna cifra di
pari entità (quasi un milione e mezzo di euro) fosse mai neppure soltanto
transitata sui conti correnti personali del Tassone, che il fatturato ben più modesto
della società denominata Econé da lui gestita in via ufficiale non dimostrasse
alcunchè posto che la somma consegnata agli operatori finanziari toscani
corrisponde non al ricavo, ma semmai al guadagno, rimasto indimostrato posto
che neppure risulta essere mai stata effettuata una distribuzione di utili e neppure
un prelievo di pari importo dalle casse aziendali. A fronte di tale argomentata
ricostruzione incombeva perciò sugli imputati uno specifico onere di confutazione,
che invece è rimasto inadempiuto, essendosi costoro limitati a contestazioni
meramente contestative sulla provenienza lecita del denaro e, come tali,
generiche. Nessun rilievo riveste in ogni caso la circostanza che i reati fine
contestati nel presente procedimento non abbiano portato introiti per essere le
due operazioni di importazione della cocaina nel territorio italiano rimaste a livello
di tentativo, posto che non vi è alcuna presunzione che i due delitti esauriscano
l'attività illecita dell'associazione criminosa essendo l'attività investigativa iniziata
allorquando il Tassone era già operativo (pag.72 della sentenza) e che semmai
dalla imputazione di cui al capo D) emerge l'ampia disponibilità economica del
dominus che proprio per quel carico aveva sborsato la somma di ben 1.400.000
euro. Pertanto l'origine delittuosa della somma comporta automaticamente
l'ingiustizia del profitto, in quanto non ottenibile né tutelabile in sede civile, non
40
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
potendosi, peraltro, invocare la tutela indiretta predisposta dall'art. 2035 cod. Civ.,
con il riconoscimento della "soluti retentio", trattandosi di norma che fa riferimento
ad un atto contrario al buon costume, e non, come nel caso di specie, ad un atto
contrario a norme imperative, secondo la distinzione contenuta nell'art. 1343 cod.
Civ.. (Sez. 6, n. 2460 del 16/10/1990 - dep. 23/02/1991, Rasi ed altri, Rv.
18647201).
6.5. Ed è proprio sulla scorta di tali rilievi che deve essere affrontata la
questione relativa alla differenziazione tra il delitto di estorsione e quello di
esercizio arbitrario delle private ragioni, oggetto del sesto motivo del Giuliani: non
è da dubitare che risponda del primo, e non del secondo, colui che minacci un
individuo, o gli usi violenza, allo scopo di costringerlo ad una prestazione
suscettibile di incidere negativamente sulla sua autonomia patrimoniale; peraltro,
benché possa coincidere la condotta, l'indagine da compiersi da parte del giudice
di merito attiene, oltre che alla direzione della volontà dell'agente (allo scopo di
verificare se, attraverso la violenza o la minaccia, questi abbia inteso procacciarsi
un profitto ingiusto ovvero a farsi giustizia da sé medesimo: cfr. Sez. 2, n. 1901
del 20/12/2016 - dep. 16/01/2017, Di Giovanni, Rv. 268770), anche al profilo
della tutelabilità dinanzi all'autorità giudiziaria del preteso diritto cui l'azione del
reo era diretta, giacché tale requisito deve ricorrere per la configurabilità del delitto
di cui all'art. 393 cod. pen., mentre, se manca, determina la qualificazione del
fatto alla stregua del delitto di cui all'art. 629 cod.pen. (Sez. 2, n. 52525 del
10/11/2016, D., Rv. 268764). Va, in proposito, richiamata la costante linea
ermeneutica di questa Corte, a mente della quale il delitto di estorsione si
caratterizza rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con
violenza alle persone per il fatto che la violenza o minaccia solo nel secondo caso
sono esercitate per far valere un diritto già esistente e azionabile dinanzi a un
giudice, mentre qualora l'azione costrittiva sia finalizzata a far sorgere una
posizione giuridica che altrimenti non potrebbe essere vantata né conseguita
attraverso il ricorso al giudice, e a questa consegua un ingiusto vantaggio
patrimoniale, è configurabile il reato di estorsione (Sez. 2, n. 25613 del
22/04/2009, Bartolini, Rv. 244160; ). Ciò detto il ricorrente pretende di superare
la suddetta distinzione attraverso deduzioni che, senza lambire i profili giuridici ad
essa sottesi, attingono esclusivamente al fatto, riproponendo in via meramente
assertiva la provenienza lecita del danaro: il motivo deve essere pertanto in
ragione della sua aspecificità dichiarato inammissibile.
6.6. Quanto all'altrui danno che si atteggia ad evento ulteriore rispetto a
quello della costrizione che consegue alla violenza o alla minaccia rivolte al
soggetto passivo, sicché si configura il tentativo nel caso in cui la violenza o la
minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al "facere"
ingiunto (Cass. sez. 2 n. 11922 del 12\12\2012, dep. 2013, Rv 254798; Sez. 2,
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
n. 3934 del 12/01/2017 - dep. 27/01/2017, Liotta e altri, Rv. 269309) - nella
specie correttamente configurato sulla base della valutazione della univoca e non
equivoca direzione delle minacce ad ottenere l'ingiusto profitto -, il pregiudizio
avuto di mira dagli imputati consisteva nella diminuzione patrimoniale cui
intendevano costringere le vittime. Malgrado l'acquisita consapevolezza da parte
dei primi che l'ammanco di danaro fosse da ricollegarsi all'operato di coloro che
l'avevano ricevuto in Brasile, e dunque nel passaggio successivo a quello del
trasferimento dalla Svizzera effettuato dagli operatori di Prato, l'obiettivo
perseguito con le azioni intimidatorie poste in essere ai danni delle vittime non era
affatto.conne sostiene la difesa del Lombardo, quello di costringere queste ultime
a contattare i propri referenti in Brasile perché fossero costoro a restituire il danaro
sottratto, ma era quello di rientrare in possesso ad ogni costo e a prescindere dalle
specifiche contingenze delle somme mancanti, che perciò pretendevano dagli
stessi operatori finanziari. Emblematica al riguardo è proprio la condotta tenuta,
secondo la ricostruzione effettuata dalla pronuncia impugnata sulla scorta delle
deposizioni del Perracino e dei Carlesi, dal Lombardo negli uffici della società
finanziaria che "chiedeva i soldi a tutti i presenti, altrimenti li avrebbe ammazzati"
(pag. 66 della sentenza): è dunque da siffatta pretesa che scaturisce l'ingiustizia
del danno consistito ove il delitto fosse stato portato a compimento nell'esborso
personale delle considerevoli somme mancanti da parte delle stesse vittime che
avrebbero conseguentemente dovuto attingere, nella prospettiva degli agenti, ai
rispettivi patrimoni per colmare l'ammanco denunciato, ancorchè le somme in
questione non vi fossero mai entrate.
6.7. D'altra parte risiede proprio nell'altrui danno economico l'impossibilità di
qualificare la condotta in contestazione ai sensi dell'art. 610 cod. pen.. Secondo il
consolidato orientamento giurisprudenziale ricorre il delitto di estorsione e non
quello di violenza privata, nel caso in cui l'agente, al fine di procurare a sé o ad
altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere
il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico
(Sez. 2, n. 5668 del 15/01/2013 - dep. 05/02/2013, Levak, Rv. 25524201). Il
danno per la persone offesa funge infatti da elemento specializzante del delitto ex
art. 629 cod. pen. rispetto alla violenza privata, che è configurabile nella diversa
ipotesi in cui la coartazione da parte dell'agente è diretta a procurarsi un ingiusto
profitto anche di natura non patrimoniale senza tuttavia arrecare un pregiudizio
economico alla vittima (cfr. Sez. 6, n. 38661 del 28/09/2011 - dep. 25/10/2011,
P.M. e Lamacchia, Rv. 251052 in cui si è ritenuto che la minaccia diretta ai
responsabili di una casa di cura al fine di ottenere l'affissione di un invito agli utenti
a servirsi di una determinata ditta di onoranze funebri integra il reato di violenza
privata e non quello di estorsione).
42
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Il settimo motivo del Giuliani, così come il secondo motivo del Lombardo
devono perciò ritenersi infondati.
7. Il reato associativo, ascritto al Tassone, al Giuliani, al Lombardo, al Martino
ed al Sainato, è contestato dalle rispettive difese in primis quanto alla
configurabilità dello stesso consorzio criminoso.
Quello che accomuna i singoli motivi di ricorso (quarto motivo del Giuliani,
primo motivo del Lombardo, settimo motivo del Tassone dell'atto a firma dell'avv.
Piraino, quinto motivo del Tassone dell'impugnativa dell'avv. De Ceglia, secondo
motivo del Martino dei ricorso a firma dell'avv. Lupia e l'unico motivo del Protani),
che possono perciò essere trattati congiuntamente, è la riconducibilità del devoluto
vizio motivazionale all'apprezzamento valutativo delle risultanze istruttorie sulle
quali i giudici di secondo grado hanno fondato la configurabilità del delitto, senza
che possa comunque ritenersi individuato sulla scorta delle rispettive allegazioni,
a dispetto del nomen juris delle rubriche di taluni ricorsi, alcun vizio di violazione
di legge, ricorrente nella sola ipotesi di erronea interpretazione della legge penale
sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero di erronea applicazione della
stessa al caso concreto (ossia, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la
sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta).
Se il vizio ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. non può essere utilmente
evocato, le censure di natura motivazionale che invece i ricorrenti rivolgono al
provvedimento impugnato sono solo formalmente assertive del vizio lamentato,
ma non arrivano a delineare alcuna censura sussumibile nell'art. 606 lett. e) cod.
proc. pen.. Giova, al riguardo, ricordare che in sede di legittimità non è consentita
una diversa lettura ed interpretazione delle risultanze processuali finalizzata alla
ricostruzione dei fatti, né la Corte di cassazione può trarre valutazioni autonome
dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento
impugnato. Solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e
sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere
sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la
rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della
completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella).
Orbene, una volta chiarito che lo scrutinio demandato questa Corte può
riferirsi esclusivamente alla mera correttezza dei discorso giustificativo della
decisione, e non al suo contenuto valutativo, va rilevato che l'esame del
provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione sia
congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, venendo attraverso di essa
individuati gli specifici elementi costitutivi del reato associativo ricorrenti nella
fattispecie in esame.
Quanto alla struttura organizzativa, le difese si concentrano sull'inconsistenza
della ricostruzione dei giudici di merito che trarrebbero tale elemento in relazione
43
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
ad una compagine associativa avente ad oggetto l'importazione di ingenti forniture
di cocaina da fatti del tutto marginali o per i quali neppure era stata esercitata
l'azione penale, quali la vicenda legata ad un certo Racanicchi, pacificamente non
costituente reato, i contatti intrattenuti dal Tassone con il cugino spagnolo Fazio,
nei confronti del quale era stata annullata la misura cautelare per insussistenza di
gravi indizi di colpevolezza, la fornitura di droga nei confronti di tale Varricchio,
neanch'essa oggetto di contestazione, l'importazione di un carico di droga che
sarebbe dovuto arrivare al porto di Rotterdam, ancora una volta estranea alle
imputazioni di cui al presente procedimento.
Ma tali dati, seppur menzionati dalla sentenza impugnata, si inseriscono
all'interno di tutt'altro ragionamento fungendo solo da elementi indicativi di una
struttura associativa preesistente allo stesso avvio delle indagini, dai quali la Corte
capitolina trae spunto per dimostrare come fosse sin dall'origine perfettamente
individuabile l'attività di programmazione dell'attività di narcotraffico su larga scala
caratterizzante il reato associativo. Poco importa pertanto quali siano stati gli esiti
penali delle riferite vicende, posto che quello che viene sottolineato, nel
menzionarle, è l'attività, per vero quasi frenetica, da parte del Tassone, capo ed
organizzatore del sodalizio, per individuare nuovi canali di approvvigionamento dal
Sud America, oltre all'indicazione, emersa dai colloqui intrattenuti con il cugino
spagnolo, della potenza del gruppo in relazione sia alle capacità di controllo del
mercato delle importazioni, pari a detta dello stesso imputato al 75% del totale,
sia alle ingenti disponibilità economiche che gli consentivano di acquistare la droga
prima del suo stesso arrivo in Italia, confermate dal prezzo corrisposto in anticipo
con riferimento alla partita di stupefacente da due milioni di euro che sarebbe
dovuta arrivare nel porto di Rotterdam. Ancora, dalla fornitura eseguita
stabilmente in favore del Varricchio viene tratta l'evidenza sia dell'attività di
coordinamento e di controllo svolta dal dominus nei confronti dei sodali, non
avendo costui esitato ad intervenire al sopraggiungere di problematiche sollevate
dal cliente per trovare una soluzione, sia dell'interscambiabilità dei ruoli degli
adepti, come è avvenuto a seguito dell'arresto del Giuliani, deputato ad
interfacciarsi con il cessionario, immediatamente sostituito dal Martino. Da qui i
giudici distrettuali proseguono individuando una serie di elementi emersi nel corso
delle indagini, altamente emblematici della struttura organizzativa di cui era
dotato il sodalizio, con i quali i ricorrenti non si confrontano: vengono invero
enucleate a riprova della sussistenza del vincolo associativo, elemento
caratterizzante del quale è proprio l'elemento organizzativo, una pluralità di
condotte sottese necessariamente ad una logica di gruppo nella programmazione
e nell'attuazione dell'attività criminosa, quali l'acquisto cumulativo dei cellulari
Blackberry, proposto dal Lombardo, una volta appreso dell'arresto del Giuliani, ed
approvato dal Tassone per tutti i sodali nella convinzione di un maggiore
44
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
affrancamento dall'attività intercettativa nelle loro comunicazioni, il linguaggio
criptico da costoro utilizzato nello scambio di messaggi e nelle conversazioni,
segno di un codice costituente un bagaglio comune, la suddivisione fra tutti i
componenti del gruppo dei profitti derivanti dalle operazioni delittuose poste in
essere, indipendentemente dalla loro partecipazione al singolo reato-fine, i viaggi
oltre confine effettuati dal Lombardo, dal Protani e dal Giuliani per conto del
dominus vuoi per consegnare denaro, vuoi per concludere l'acquisto di ulteriori
forniture di stupefacente destinato all'importazione in Italia, vuoi per attendere il
carico nei porti di approdo esteri, la "squadra" mossasi compatta dietro le direttive
del Tassone per tentare di recuperare l'ammanco delle somme che avrebbero
dovuto attraverso l'operazione di riciclaggio di cui al capo F) con le azioni
intimidatorie contestate al capo G), la costante presenza di un membro
dell'associazione nei porti ove sarebbero dovute arrivare via mare le singole
forniture.
Ed è proprio siffatta struttura organizzativa a configurare l'elemento
differenziale del reato di cui all'art. 74 d.P.R. 309/1990 dal concorso di persone
nei reati in materia di stupefacenti, così da escludere alla radice l'assunto difensivo
secondo cui si tratterebbe per tutti i reati fine in contestazione che si trattasse di
condotte esclusivamente riconducibili al Tassone, sia pure attuate con l'ausilio di
singoli soggetti all'occorrenza assoldati.
Il fatto che l'accordo criminoso, nei reati associativi, debba essere
tendenzialmente permanente, ossia stabile, ed il fatto che il programma di
delinquenza debba essere necessariamente indeterminato costituiscono i tramiti
interpretativi maggiormente utilizzati per fondare la distinzione tra i reati
associativi ed il concorso di persone nel reato continuato, posto che quest'ultimo
ammette anche le attività di organizzazione, di promozione e di direzione nella
cooperazione delittuosa (ex articolo 112, comma 1, n. 2, del codice penale).
Siccome sono riscontrabili numerose analogie tra i reati associativi ed il concorso
di persone nel reato continuato, la diversità degli elementi si deve
necessariamente tradurre, al fine di consentire una più precisa distinzione tra le
due categorie, in una diversità qualitativa e strutturale dell'accordo criminoso che
nei reati associativi è data dalla costituzione di una struttura distinta dalle persone
che la compongono, struttura che può essere di qualsiasi tipo purché adeguata
alla messa in pericolo del bene giuridico.
In ogni caso nessuna rilevanza assume la circostanza che non tutti i sodali
abbiano preso parte congiuntamente ai singoli reati fine a fronte dell'affectio
societatis da ognuno mostrata con il perseguimento del programma criminoso
dell'associazione, ampiamente documentata dal susseguirsi e dall'intersecarsi
delle rispettive condotte nel corso del periodo di indagine: la contestazione svolta
sul punto dalla difesa del Tassone risulta del tutto generica non essendo
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
accompagnata da alcuna specifica confutazione delle plurime condotte passate in
rassegna dalla pronuncia in esame soprattutto scrutinando gli esiti delle
intercettazioni, evidenzianti l'adesione dei singoli membri al pactum sceleris. Del
tutto impropria deve altresì ritenersi l'operazione, comune ad altri ricorsi, che
parcellizza i dati relativi al concorso che ciascun associato ha prestato in relazione
ai reati fine, valorizzando l'elemento del tutto inconferente relativo all'assoluzione
di tre degli imputati dal reato associativo, laddove l'adesione al programma
criminoso degli altri, desunto dalle acquisite risultanze istruttorie, è stato
ampiamente messo in luce dai Giudici di merito.
La Corte capitolina aggiunge quali ulteriori elementi caratterizzanti la
compagine associativa la predisposizione di mezzi costituiti dalle ingenti somme di
danaro disponibili, tali da consentire l'acquisto della merce in anticipo rispetto al
suo arrivo in Italia, a riprova della quale viene addotto il pagamento della partita
di cocaina di cui al capo D), nonchè le somme destinate al riciclaggio, e la
sussistenza di una base operativa, ovverosia la casa del Tassone, documentata ai
numerosi incontri nella villetta di Colle Mattia, puntualmente elencati nella
sentenza impugnata, senza che possa valere ad escluderne la frequenza le
assiomatiche valutazioni in termini opposti addotte dalla difesa o il fatto che non
venisse adibita a stivaggio della droga, fermo restando che proprio nel giardino è
stata occultata una valigia sotto il terreno.
I motivi in esame devono essere perciò rigettati.
8. Né a diversi esiti si perviene analizzando i motivi concernenti la
partecipazione dei singoli associati.
Quanto al Tassone, la natura della posizione apicale del ricorrente è stata
compiutamente esaminata con aspetti che si sottraggono a qualsiasi rilievo alla
luce delle contestazioni meramente contestative e pertanto generiche articolate
nell'ottavo motivo del ricorso a firma dell'avv. Piraino. I Giudici del merito hanno
compiutamente illustrato come il ricorrente, sulla base di consolidati rapporti
comprovati dalle numerosissime intercettazioni, avesse concentrato su di sé il
ruolo sia di promotore per avere iniziato la societas sceleris e supervisionato alla
complessiva attività di gestione del gruppo assumendo funzioni decisionali, sia di
organizzatore per aver svolto attività di pianificazione e coordinamento dei compiti
assegnati ai singoli associati nell'approvvigionamento delle forniture di
stupefacente che era lui stesso a decidere, dotando l'organismo della linfa
necessaria, anche nella qualità di finanziatore, allo svolgimento di specifiche
importazioni: ciò emerge con chiarezza non soltanto dalle affermazioni provenienti
dallo stesso Tassone che si vanta dei suoi plurimi contatti esteri, delle sue ingenti
risorse economiche e della capacità di dar lavoro ai "ragazzi", ma altresì dalle
direttive specifiche impartite ai sodali che le eseguono pedissequamente
intraprendendo i viaggi all'estero loro commissionati, tenendo i contatti con i
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
fornitori sudamericani, recandosi presso l'abitazione di Colle Mattia su sua
richiesta, ponendo in essere le attività intimidatorie nei confronti degli operatori
finanziari ritenuti indirettamente responsabili della sottrazione delle somme loro
consegnate dal dominus dietro il costante monitoraggio telefonico di quest'ultimo,
definito dal Giuliani, con appellativo emblematico, "il principale". Tutte le suddette
condotte hanno correttamente indotto i Giudici di merito a ritenere configurabile
la natura apicale del ruolo attribuito al ricorrente che questi, a torto, contesta,
senza confutare specificamente alcuna delle attività dettagliatamente illustrate
dalla sentenza impugnata.
9. Quanto ai due motivi articolati dal Martino in ordine alla sua partecipazione
al reato associativo, le doglianze svolte dall'avv. Emanuelli nel secondo motivo del
ricorso a sua firma e in buona parte sovrapponibili al settimo motivo del ricorso a
firma dell'avv. Lupia, non colgono nel segno.
Quello che la sentenza impugnata ha inteso evidenziare è il ruolo di stretto
fiduciario dell'imputato del Tassone: ancorchè egli non potesse svolgere un ruolo
autonomo all'interno del consesso associativo al pari degli altri sodali che, pur
sottoposti alle direttive del dominus, godevano di un margine di relativa
discrezionalità nell'esecuzione dei compiti affidatigli specie nei contatti ricercati ed
intrattenuti con i fornitori all'estero, ciò non toglie che il giovane Martino, godendo
della stretta fiducia dello zio - che proprio perciò aveva pensato inizialmente a lui
per gestire il traffico di droga nel territorio nazionale, sia pure per scartarlo subito
dopo in ragione della sua giovane età (il nipote all'epoca appena ventidue anni) e
del presumibile minore carisma che avrebbe potuto esercitare nei confronti dei
possibili interlocutori -, abbia potuto espletare, quale sua longa manus, una serie
di incombenze strettamente preordinate al programma associativo della cui
esistenza era stato messo a parte dallo stesso Tassone, interagendo ripetutamente
anche con gli altri affiliati: oltre ai plurimi rifornimenti effettuati in favore del
Varricchio che, seppur non oggetto di contestazione nel presente procedimento
offrono un significativo riscontro dell'affidamento in lui riposto dallo zio,
certamente sintomatiche di un concreto contributo prestato in favore del consesso
criminoso
/
sono la sua partecipazione all'incontro tenutosi insieme agli altri membri
in casa del Tassone 1'8.1.2014, le ricariche telefoniche effettuate per altri cellulari
degli appartenenti al gruppo, il sotterramento di una valigia nel giardino dello zio
su direttiva di quest'ultimo, la trasferta effettuata a Prato per consegnare ai Carlesi
le somme da trasferire in Brasile in relazione all'operazione di riciclaggio pianificata
dal Tassone e soprattutto l'aver impartito specifiche direttive ai partecipanti della
spedizione punitiva organizzata nei confronti degli operatori finanziari toscani di
cui al capo G) su come interagire con questi ultimi. A tali condotte si aggiungono,
quali elementi ampiamente significativi della sua intraneità nel sodalizio criminoso
e conseguentemente della sua piena consapevolezza degli obiettivi perseguiti,
47
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
l'utilizzo anche da parte sua di un dispositivo Blackberry al pari degli altri associati,
il risentimento palesato al Lombardo nei confronti dei sodali non operativi
all'interno dell'associazione e gli ammonimenti, rivoltigli dallo zio in relazione alla
possibile acquisizione di un appartamento, sulla necessità di mantenere un profilo
basso essendo stato il gruppo preso di mira dalle forze dell'ordine, con l'utilizzo,
fortemente indicativo del coinvolgimento anche del nipote, del "noi" al plurale.
Quanto alla specifica condotta del sotterramento della valigia, non si registra
nel ragionamento seguito dalla Corte di Appello la contraddittorietà lamentata
dalla difesa: ben poca rilevanza assume invero il suo contenuto atteso che vuoi
che si trattasse di danaro, ipotesi per la quale sembrano propendere i giudici di
merito, vuoi che si trattasse di documenti compromettenti o di quant'altro, ciò non
toglie che era comunque roba che occorreva occultare e dunque senza dubbio
pericolosa, non avendo altrimenti alcun senso la condotta indiscutibilmente
anomala e altrettanto certamente circospetta di ricorrere a modalità tanto
rudimentali al fine di ottenerne la momentanea sparizione. Non è d'altra parte
neppure discutibile che costituisca segno palese del coinvolgimento del Martino il
suo intervento in veste di latore delle linee di condotta che i componenti della
squadra punitiva mandata a Prato avrebbero dovuto tenere con gli operatori
finanziari supposti responsabili della trasgressione agli ordini della comnnittenza:
quello che, al contrario, sarebbe manifestamente illogico è che un compito così
delicato potesse essere affidato dal Tassone al giovane se costui non fosse stato
pienamente reso edotto della vicenda sottostante e non fosse al contempo
direttamente implicato nei programmi e nelle sorti dell'associazione, tenuto conto
che la posta in gioco era la liquidità economica necessaria ai successivi
approvvigionamenti di droga.
Se, come è stato già affermato da questa Corte con specifico riferimento all'
associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, non è sufficiente ad integrare la
condotta di partecipazione la mera disponibilità manifestata nei confronti di un
singolo associato, anche se di livello apicale, né la mera condivisione di intenti,
essendo indispensabile un effettivo ed operativo contributo all'esistenza e al
rafforzamento dell'associazione (Sez. 6, n. 34563 del 17/07/2019 - dep.
29/07/2019, Di Punzio, Rv. 276692; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015 - dep.
27/05/2015, Borraccino, P.v. 263662), ne deriva, per converso, che la volontaria
e consapevole realizzazione di concrete attività funzionali, apprezzabili come
contributi di qualunque generepurché finalizzati alla realizzazione del programma
comune, integri comunque il ruolo di partecipante punibile ai sensi dell'art. 74
Le restanti censure svolte dall'avv. Lupia nel terzo motivo del suo ricorso sono
invece inammissibili. Nessun rilievo riveste invero la mancanza di espressa
motivazione sull'utilizzo dei diversi dispositivi, ognuno con un diverso nickname,
48
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
ascrivibile al Martino posto che la valenza di tale accertamento è
inequivocabilmente superata dal riconoscimento da parte degli agenti operanti del
timbro della voce dell'imputato, nonché dal fatto che in occasione della
partecipazione di costui al summit tenutosi nella casa di Colle Mattia, così come
del sotterramento della valigia in giardino egli è stato direttamente osservato e
riconosciuto dalle forze dell'ordine in servizio di OCP. Meramente congetturali
risultano infine le disquisizioni in ordine alla presenza dell'imputato negli incontri
concernenti le attività associative, sul rilievo che si trattasse dell'autista e del
nipote diretto dello zio.
10.
Le doglianze svolte dal Lombardo in ordine alla sua partecipazion
i
e
e
,
hte
4
c
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eca
all'associazione risultano del tutte generiche, posto che questi nori
s
'confronta
limitandosi a ribadire la compatibilità delle condotte tenute con l'ipotesi
concorsuale, profilo questo già compiutamente esaminato nel punto 7 della
presente pronuncia al quale si rinvia.
11.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi per lo Stainato
/
che contesta in
termini meramente astratti la sussistenza di un suo contributo operativo
all'associazione senza neppure individuare i singoli passaggi del provvedimento
impugnato suscettibili di censura, sostenendo che la sua partecipazione a due soli
reati-fine non consentisse l'affermazione della sua responsabilità per il delitto in
esame: le assunte carenze motivazionali si scontrano con la dettagliata e diffusa
analisi che i giudici distrettuali dedicano alla sua figura passando in rassegna le
molteplici condotte che, pur senza consentirgli di assurgere al ruolo di
organizzatore come affermato dal giudice di prime cure, sono state ritenute
ampiamente rivelatrici del suo concreto apporto al programma criminoso, della
sua radicata conoscenza degli accadimenti della vita associativa e del ruolo di
sostanziale vicario del dominus ricoperto nella vicenda di Prato, tutti elementi che
la difesa ha integralmente tralasciato.
12.
Quanto alla partecipazione del Giuliani deve in primo luogo censurarsi che
il reato fine contestatogli, ovverosia la tentata estorsione di cui al punto G), fosse
estraneo agli scopi dell'associazione: al contrario il tentativo di recuperare le
somme consegnate agli operatori finanziari di Prato affinchè provvedessero a
"ripulirle" così da ostacolarne l'identificabilità della provenienza delittuosa, risulta
strettamente collegato a garantire l'operatività del sodalizio nell'immediato futuro,
essendo evidente che tanto il riciclaggio quanto la ripresa del danaro mancante
fossero strettamente funzionali al perseguimento del programma perseguito dalla
consorteria criminale con l'acquisizione di nuove forniture da importare in Italia.
Meramente fattuali risultano in ogni caso le disquisizioni in ordine
all'intermittenza della sua partecipazione risultante dal compendio captativo su cui
si dilunga la difesa posto che la sentenza impugnata ne fornisce una più che
coerente giustificazione, costituita in primis dal suo arresto e al conseguente
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defilamento dalla scena per un congruo periodo suggeritagli dallo stesso Tassone
ed in secondo luogo dal rilievo che la sua sporadica assenza potesse corrispondere
alla non necessità del suo intervento tenuto conto che ogni volta gli venivano
affidati dal capo nuovi incarichi, peraltro di natura particolarmente delicata, segno
evidente che quest'ultimo manteneva uno stretto rapporto di fiducia con il suo
sottoposto.
13.
In ordine alla pretesa alterazione psichica del Tassone al momento dei
fatti, le contestazioni articolate nel nono motivo del ricorso a firma dell'avv. Piraino
devono ritenersi inammissibili alla luce della loro genericità: il ricorrente si limita
a ribadire in una sostanziale riedizione dell'atto di appello la presenza di una
sindrome depressiva da cui l'imputato sarebbe stato affetto sin dalla giovane età,
ma tralascia integralmente la dirimente osservazione formulata dai giudici di
appello relativa all'assenza di elementi patologici idonei ad alterarne la personalità,
così come di tratti psicotici i quali soltanto avrebbero potuto mettere in discussione
la sua capacità di intendere e di volere.
14.
Passando alla disamina del trattamento sanzionatorio, devono essere
trattati congiuntamente il sesto motivo del Sainato, il decimo motivo del ricorso
redatto per il Tassone dall'avv. Piraino ed il terzo motivo del Lombardo concernenti
il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione.
Le doglianze sollevate al riguardo sono tutte manifestamente infondate. Mentre
nessuno specifico onere motivazionale incombeva sul giudice di merito a fronte di
una riduzione del tutto prossima al massimo consentito (stante lo scarto di appena
un mese e dieci giorni dal limite massimo di un terzo) per il Lombardo ed il Sainato,
peraltro ampiamente compensato dalle diffuse valutazioni sulla considerevole
importanza dell'apporto da ognuno di essi fornito al sodalizio criminoso e sulla
pericolosità dello stesso e comunque neppure contrastato da pretesi elementi
favorevoli indebitamente disattesi, per quanto concerne, invece, il Tassone, non si
evince dalla puntuale motivazione spesa dalla sentenza impugnata in ordine alla
contenuta riduzione applicatagli alcuna illogicità manifesta o arbitrarietà tale da
inficiare la valutazione discrezionale riservata al giudice di merito, che peraltro
neppure le prospettazioni difensive, che restano sul piano della contestazione
generica, riescono ad evidenziare. Nessuna elisione del beneficio può essere
riscontrata nell'applicazione del beneficio sol perché non riconosciuto nella
massima estensione, né può ritenersi che lo stesso si traduca, come sostiene la
difesa, nella doppia valutazione negativa conseguente al suo ruolo di promotore:
è invece evidente che il riconoscimento della diminuzione di 1/6 rispetto alla pena
base di 21 anni di reclusione, di poco superiore al minimo di 20 anni previsto
dall'art. 74, primo comma d.P.R. 309/1990, gli abbia comunque consentito di
scendere al di sotto della soglia edittale.
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15.
Il Giuliani con l'ottavo motivo ed il Martino con il quarto motivo del ricorso
a firma dell'avv. Lupia lamentano, con censure del tutto sovrapponibili,
l'eccessività della pena loro applicata rispetto al trattamento più mite riservato agli
altri soggetti gravati dalla medesima imputazione: la doglianza è all'evidenza
generica, non venendo neppure individuati i coimputati asseritamente fruitori del
più clemente trattamento astrattamente invocato, né tanto meno indicati gli
elementi di perfetta sovrapponibilità della propria posizione a quella di altri, o di
supposta discriminazione, in ordine alla determinazione della pena con la
specificità che il motivo di impugnazione necessariamente richiede. Va in ogni caso
ribadita, alla luce del principio sancito dall'art. 27 Cost. secondo il quale il
trattamento penale è personale, l'inammissibilità delle questioni con le quali si
lamenta la disparità di pena
)
avendo questa Corte già affermato che, in tema di
ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice di vizio di
motivazione
il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo
procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul
diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da
asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015 - dep.
30/06/2015, La Penna e altri, Rv. 264020).
16.
Quanto all'eccezione di incostituzionalità sollevata dal Lombardo nel
quarto motivo con riferimento alla cornice edittale dell'art. 74 d.P.R.309/1990
deve rilevarsene la manifesta infondatezza.
Il trattamento sanzionatorio costituisce invero una scelta tipicamente
rientrante nella discrezionalità legislativa e, come tale, non è qualificabile di per
sè come caratterizzata da manifesta irragionevolezza, atteso che neppure viene
individuata la fattispecie criminosa rispetto alla quale effettuare una comparazione
tale da consentire l'ipotizzabilità della violazione del principio di ragionevolezza.
La Corte Costituzionale, con orientamento costante, ha infatti da tempo
affermato che il legislatore, in presenza di situazioni diverse e in applicazione del
principio di uguaglianza, può prevedere una disciplina diversa, purché le predette
situazioni siano identificate in modo non irragionevole e rispettando il principio di
proporzionalità (ex plurimis Corte Cost. sentenza n. 83 del 2010), con la
conseguenza che i principi di uguaglianza, di ragionevolezza e di proporzionalità,
possono dirsi violati solo quanto il legislatore, senza alcuna plausibile e ragionevole
giustificazione, tratti in maniera sensibilmente diversa una fattispecie rispetto ad
altra, la quale, per le sue similitudini e analogie con la prima sia idonea a fungere
da tertium genus comparationis (cfr Corte Cost. ordinanza n. 240 del 2011).
La scelta legislativa relativa alla modulazione del trattamento sanzionatorio
non è mai di per sé irragionevole e non è perciò demandabile alla Corte
Costituzionale di intervenire sic et simpliciter, ovverosia in assenza di soluzioni
costituzionalmente obbligate, sulla configurazione del trattamento sanzionatorio
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in relazione a condotte individuate come punibili dallo stesso legislatore, potendo
il sindacato di legittimità costituzionale investire le pene scelte dal legislatore solo
se si appalesi una evidente violazione del canone della ragionevolezza, in quanto
ci si trovi di fronte a fattispecie di reato sostanzialmente identiche, ma sottoposte
a diverso trattamento sanzionatorio.
Né può fungere da ausilio l'art. 4 della decisione quadro del Consiglio
dell'Unione europea n. 2004/757/GAI, quale eventuale quale parametro
interposto. Quest'ultima disposizione, infatti, lungi dal determinare precisi
intervalli di pena per le diverse ipotesi di reato in tema di stupefacenti, si limita ad
esigere che il legislatore nazionale fissi i massimi edittali al di sopra di determinate
soglie minime, derogabili solo in pejus, secondo il cosiddetto «principio del minimo
del massimo». Nessuna indicazione può, dunque, evincersi dalla disposizione
europea richiamata, ai fini della richiesta rivisitazione del trattamento
sanzionatorio dell'art. 74: in assenza di soluzioni costituzionalmente vincolate o
imposte dal rispetto degli obblighi comunitari, non può essere richiesto alcun
intervento della Corte Costituzionale che verrebbe altrimenti ad interferire nella
sfera delle scelte di politica sanzionatoria riservate al legislatore, in spregio al
principio della separazione dei poteri.
17. Tutto ciò premesso, occorre ciò nondimeno rilevare, in accoglimento del
motivo aggiunto articolato per il Tassone dall'avv. De Ceglia, la sopravvenuta
illegalità della pena con riferimento ai reati di cui ai capi D) ed H), compito che
questa Corte è chiamata a svolgere anche di ufficio ad eccezione dell'ipotesi in cui
il ricorso sia inammissibile per tardività (cfr. Sez. U. 33040 del 2015). Per effetto
della sentenza della Corte Costituzionale del 23.1.2019 n. 40, pubblicata sulla G.U.
del 13.3.2019, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 73, primo
comma d.P.R. 309/1990 nella parte in cui prevede la pena minima edittale della
reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni, la pena determinata con
riferimento ai reati di tentata esportazione di sostanze stupefacenti deve ritenersi
illegale atteso che la sua quantificazione è stata effettuata attraverso un
procedimento di commisurazione basato sui limiti edittali dell'art. 73 in vigore al
momento del fatto, ma attualmente non più tali.
Dovendo escludersi che possa essere conservata, in quanto legittima, sotto
il profilo del principio costituzionale di proporzionalità della pena rispetto all'offesa,
la pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma
dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente sin dalla sua origine, e ciò anche
nell'ipotesi in cui la stessa risulti contenuta nell'ambito del vigente arco edittale,
considerate le inevitabili ricadute nella sua graduazione stanti i diversi margini tra
il minimo ed il massimo rispetto ai quali è stata calcolata, la sentenza impugnata
deve essere, pertanto, su tale punto annullata nei confronti di tutti gli imputati cui
sono stati ascritti i relativi delitti, ovverosia Rega Simone, Galanti Alessandro,
52
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Tassone Cosimo Damiano e Sainato Domenico, con rinvio al giudice a quo per la
rideterminazione del trattamento sanzionatorio, dovendo per il resto i relativi
ricorsi essere rigettati. Va tuttavia precisato che, per effetto del principio della
formazione progressiva del giudicato, che copre, in conseguenza del giudizio di
parziale annullamento disposto da questa Corte, i capi della sentenza ed i punti
della decisione impugnati che non hanno connessione essenziale con la parte
annullata, così come disposto dall'art. 624 cod. proc. pen., resta ferma
l'affermazione di responsabilità degli imputati, con conseguente inapplicabilità di
eventuali cause estintive sopravvenute (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà,
Rv. 207640).
I ricorsi di Giuliani Massimo, Martino Fabio e Lombardo Valerio devono
essere integralmente rigettati, seguendo a tale esito la condanna degli imputati
alle spese processuali. All'inammissibilità del ricorso di Perraccino Davide consegue
oltre al pagamento delle spese processuali altresì la condanna, non sussistendo
elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una
somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Rega Simone, Galanti Alessandro,
Tassone Cosimo Damiano e Sainato Domenico, limitatamente al trattamento
sanzionatorio relativo ai capi D) ed H) e rinvia sul punto ad altra Sezione della
Corte di Appello di Roma; rigetta nel resto i ricorsi di Rega, Galanti, Tassone e
Sainato, dichiarando irrevocabile l'affermazione della loro responsabilità. Rigetta
i ricorsi di Giuliani Massimo, Martino Fabio, Lombardo Valerio e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di
Perraccino Davide e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 05/06/2019.
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