n. 155 SENTENZA 21 maggio - 4 giugno 2014 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 4, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), promossi dal Tribunale ordinario di Roma con due ordinanze del 24 ottobre 2012, iscritte ai numeri 301 e 302 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2013. Visti gli atti di costituzione di C.G. e di Poste Italiane s.p.a., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Sergio Galleano e Vincenzo de Michele per C.G., Giampiero Proia e Luigi Fiorillo per Poste Italiane s.p.a. e l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 24 ottobre 2012 (r.o. n. 301 del 2012) ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 4, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nella parte in cui prevede l'applicazione del termine di decadenza di cui al riformato art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) ai contratti di lavoro a tempo determinato gia' conclusi alla data di entrata in vigore della citata legge n. 183 del 2010 e con decorrenza dalla medesima data. 2.- Il rimettente, chiamato a pronunciare su una causa promossa da C.I. nei confronti di Poste Italiane spa, premette che, con ricorso depositato il 24 gennaio 2012, il ricorrente ha chiesto che fosse accertata la nullita' del termine finale di durata apposto al contratto di lavoro stipulato con la detta societa', ai sensi dell'art. 2, comma 1-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), come modificato dall'art. 1, comma 558, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), contratto avente durata dal 9 luglio 2008 al 31 ottobre 2008, con inquadramento al livello E, con mansioni di portalettere;

la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dalla data di stipulazione;

la condanna della resistente alla riammissione in servizio del lavoratore e al pagamento, anche a titolo risarcitorio, delle retribuzioni a far data dalla scadenza del termine, oltre agli accessori di legge. Il Tribunale, inoltre, riferisce che Poste Italiane s.p.a., costituitasi in giudizio con memoria del 28 maggio 2012, ha eccepito in via preliminare la decadenza dall'azione di nullita' per mancata impugnazione del contratto nel termine previsto dall'art. 32 della legge n. 183 del 2010 e la risoluzione del contratto stesso per mutuo consenso;

nel merito, la societa' ha contestato la fondatezza delle pretese azionate dal ricorrente, chiedendone il rigetto. Il giudicante espone che, all'udienza del 12 giugno 2012, ritenuta la causa matura per la decisione, ha fissato l'udienza di discussione anche sui «dubbi in merito alla legittimita' costituzionale della norma dell'art. 32, comma 4, lettera b), L. 183/2010 - nella parte in cui prevede l'applicazione del termine di decadenza di cui al riformato art. 6 della L. 604/1966 anche ai contratti a termine "gia' conclusi" alla data di entrata in vigore della medesima legge - in relazione al disposto dell'art. 3 della Costituzione». Cio' premesso, il rimettente, dopo aver riportato l'art. 32, comma 4, della legge n. 183 del 2010, nonche' il richiamo, in esso contenuto, all'art. 6 della legge n. 604 del 1966, rileva che, nel caso di specie, benche' il contratto stipulato tra le parti fosse cessato in data 31 ottobre 2008, cioe' ben prima dell'entrata in vigore della normativa ora citata (24 novembre 2010), il ricorrente aveva contestato per la prima volta la legittimita' dell'apposizione del termine di durata con lettera spedita il 25 ottobre 2011, quindi ben oltre la scadenza del termine decadenziale introdotto dal menzionato art. 32. Tuttavia, il rimettente da' atto che, ai sensi del comma 1-bis, di detta norma, introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, intervenuta a convertire, con modificazioni, il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), «In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011». Pero' il menzionato differimento del termine al 31 dicembre 2011 sarebbe stato previsto quando lo stesso, decorrente dal 24 novembre 2010 e della durata di sessanta giorni, era ormai irrimediabilmente scaduto, con conseguente intangibilita' di ogni fattispecie decadenziale medio tempore verificatasi. A conforto di questa tesi sono richiamate alcune sentenze della Corte di cassazione e alcune fattispecie nelle quali il legislatore, pur introducendo disposizioni di sospensione o proroga di termini di prescrizione o di decadenza, lo avrebbe fatto prima della scadenza dei termini stessi e mai dopo. Comunque - prosegue il rimettente - che si aderisca o meno all'opzione interpretativa in ordine alla applicabilita' a tutte le ipotesi indicate nel citato art. 32 del differimento dell'efficacia del termine decadenziale di impugnazione introdotto dalla legge n. 10 del 2011, nonche' in merito alla non applicabilita' dello stesso a tutte le decadenze a tale data gia' maturate, non vi sarebbe ragione di dubitare che, nel caso di specie, essendo cessato il contratto a termine in data 31 ottobre 2008, ed avendo il ricorrente formalizzato la propria impugnazione con lettera del 25 ottobre 2011, quest'ultimo sia incorso nella decadenza contemplata dalla menzionata norma, come eccepito dalla parte convenuta. In questo quadro, «la previsione dell'applicazione del citato termine decadenziale d'impugnazione ai soli contratti di lavoro a tempo determinato "gia' conclusi" (rectius: cessati o scaduti) alla data di entrata in vigore della L. 183/2010, e non anche a tutte le altre ipotesi previste dall'art. 32, commi 3 e 4, della medesima legge e gia' verificatesi a quella stessa data», sarebbe in contrasto con i principi di parita' di trattamento e di ragionevolezza sanciti dall'art. 3 Cost. Infatti, quanto al principio di ragionevolezza, non vi sarebbe dubbio che il legislatore possa, nell'esercizio della discrezionalita' che gli e' propria, disciplinare in maniera diversa fattispecie differenti, quali sarebbero certamente, ai fini che ne occupano, quelle: 1) relative alla scadenza del termine apposto al contratto di lavoro (citata per ben quattro volte nell'art. 32, nella formulazione precedente alle modifiche da ultimo introdotte dall'art. 1, comma 12, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), applicabile ratione temporis al caso di specie e, in particolare, al comma 3, lettere a) e d), e al comma 4, lettere a) e b );

2) concernenti il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalita' a progetto (comma 3, lettera b);

3) relative al trasferimento del lavoratore, ai sensi dell'art. 2103 del codice civile (comma 3, lettera c);

4) attinenti alla cessione del contratto di lavoro, ai sensi dell'art. 2112 cod. civ. (comma 4, lettera c), nonche' 5) aventi ad oggetto ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'art. 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro), si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto (comma 4, lettera. d). Tuttavia, sarebbe del pari indubbio che, qualora sia lo stesso legislatore a disciplinare in maniera identica fattispecie diverse in relazione ad un determinato aspetto (qual e' quello del termine d'impugnazione che in questa sede interessa), debba farlo in maniera coerente e, per l'appunto, ragionevole ed uguale per tutte. Nel caso in esame, per non incorrere nella violazione del principio di ragionevolezza, il legislatore avrebbe potuto prevedere o che per tutte le ipotesi previste dall'art. 32, commi 3 e 4, il termine di decadenza di 60 giorni si applicasse anche ai rapporti «gia' conclusi» (nel caso dei contratti a termine, di collaborazione, di somministrazione), o agli atti gia' compiuti (nel caso di trasferimento dei lavoratori e di cessione dei contratti di lavoro) alla data di entrata in vigore della legge, ovvero che, sempre per tutte le medesime ipotesi, il predetto termine si applicasse soltanto ai rapporti non ancora conclusi o agli atti non ancora compiuti a quella stessa data. Prevedendo che soltanto per i contratti di lavoro a tempo...

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