n. 224 SENTENZA 16 - 19 luglio 2013 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), promosso dal Tribunale ordinario di Forli' nel procedimento vertente tra F.N. ed altri e il Comune di Forli' ed altro, con ordinanza del 27 giugno 2012 iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2013. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2013 il Giudice relatore Luigi Mazzella. Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale di Forli', in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 27 giugno 2012, iscritta al n. 14 del registro ordinanze dell'anno 2013, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), con riferimento agli articoli 10, 35, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, nonche' all'art. 5, comma 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 (attuata con decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61), 1.1. - Riferisce il giudice rimettente di avere riunito tre cause concernenti il controverso diritto di cinque ricorrenti alla conservazione del rapporto di lavoro part-time che le pubbliche amministrazioni convenute (Ministero di giustizia e Comune di Forli') avevano sottoposto a rivalutazione in forza dell'art. 16 della legge n. 183 del 2010, a tenore del quale «in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall'articolo 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze della amministrazioni pubbliche), e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale gia' adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008»;

che in tutti e cinque i casi sottoposti a giudizio, le ricorrenti avevano ricevuto comunicazioni dai rispettivi enti datori di lavoro che i loro rapporti di lavoro erano stati sottoposti a revisione ai sensi del citato art. 16 ed alcuni erano stati «ricostituiti a tempo pieno», mentre un altro rapporto era stato trasformato da tempo parziale orizzontale con prestazione lavorativa al 50% in tempo parziale orizzontale con prestazione lavorativa al 66,67%. 1.2. - Osserva il rimettente, innanzitutto, che la questione e' rilevante, perche' concerne precisamente il «titolo» in forza del quale gli enti hanno agito: laddove la norma fosse ritenuta costituzionalmente illegittima, infatti, essa non potrebbe incidere sulla regolamentazione del rapporto, come invece pretendono il Ministero ed il Comune resistenti;

la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno (ovvero la sua modifica ampliativa della durata della prestazione lavorativa) e' avvenuta, infatti, contro il volere delle ricorrenti e precisamente in forza della disposizione sopra ricordata, sicche' la valutazione di legittimita' della pretesa datoriale presupporrebbe necessariamente la validita' della norma dalla medesima applicata. 1.3. - Ad avviso del giudice a quo, la questione non e' neppure manifestamente infondata. Ai sensi della clausola 5, punto 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla direttiva del Consiglio delle Comunita' europee 97/81 del 15 dicembre 1997, «il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilita' di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessita' di funzionamento dello stabilimento considerato». Ma che si possa procedere a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessita' di funzionamento dello stabilimento considerato, non parrebbe sterilizzare il pregiudizio della conversione autoritativa del rapporto. Dissente sotto questo aspetto il rimettente da quell'indirizzo della giurisprudenza di merito che ha riconosciuto la compatibilita' della norma interna sul presupposto che «la disposizione va [...] intesa nel senso che qualora vi siano esigenze organizzative o tecniche o produttive che impongano la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno o viceversa, il datore, a fronte del rifiuto del lavoratore a dette trasformazioni, potrebbe procedere al licenziamento per ragioni risultanti da «necessita' di funzionamento dello stabilimento» (assimilabili alla nozione di giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante «Norme sui licenziamenti individuali»). Con la conseguenza che se poi il lavoratore non acconsentisse alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno e cio' integrasse un giustificato motivo oggettivo, si esporrebbe al rischio di esser licenziato. E cio', con il conforto della migliore dottrina, che interpreta l'art. 5 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES) - la' dove ha recepito la norma comunitaria prescrivendo che «il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento» - nel senso che «vieta il licenziamento motivato di per se' (cioe', esclusivamente) dal rifiuto della trasformazione, ferma rimanendo la possibilita' di pervenire ad un valido recesso in presenza di elementi...

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