N. 15 SENTENZA 23 - 26 gennaio 2012

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 12, comma 11, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica) convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Corte d'appello di Genova, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra l'Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e L. L., ed altra, con ordinanza del 22 novembre 2010, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2011.

Visti l'atto di costituzione dell'INPS nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l'avvocato Lelio Maritato per l'INPS e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto La Corte d'appello di Genova, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 102, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora in avanti, CEDU), approvata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 12, comma 11, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.

La rimettente premette che, con sentenza del Tribunale di Massa, e' stata respinta l'opposizione proposta dalla signora L. L. avverso cartella esattoriale per l'importo di euro 11.276, 85, avente ad oggetto il pagamento dei contributi addebitati all'opponente a titolo di iscrizione alla gestione previdenziale commercianti, per l'attivita' lavorativa svolta nell'ambito di una societa' a responsabilita' limitata - che gestisce un negozio di vendita al dettaglio di capi di abbigliamento - in cui la stessa opponente ricopre l'incarico di vice-presidente del consiglio di amministrazione; e' stata accolta, invece, la domanda subordinata formulata dalla ricorrente, diretta ad ottenere l'annullamento della iscrizione alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), con condanna dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) alla restituzione della relativa contribuzione.

Avverso detta sentenza l'Istituto ha proposto appello, chiedendo che anche la domanda subordinata, formulata in primo grado, sia respinta, sulla base delle seguenti argomentazioni: 1) l'iscrizione alla gestione separata, di cui alla norma ora citata, e' collegata alla riscossione del reddito per il lavoro di amministratore della societa' ed e' cumulabile con ogni altra forma di assicurazione obbligatoria; 2) l'art. 1, comma 208, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nel prevedere l'obbligo di iscrizione dei lavoratori autonomi all'assicurazione per l'attivita' alla quale essi si dedicano in misura prevalente, si riferisce ad attivita' a contenuto omogeneo, ovvero caratterizzate, sotto l'aspetto qualitativo, dalla stessa tipologia di apporto professionale e differenziate unicamente per i diversi settori produttivi nei quali sono inquadrabili; 3) la contribuzione, dovuta alla gestione separata fa carico alla societa', unica legittimata, quale sostituto di imposta, a chiedere la restituzione della contribuzione.

La rimettente riferisce, altresi', che la parte privata ha proposto, a sua volta, appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e, in subordine, il rigetto dell'appello dell'INPS. Al riguardo ha sostenuto di non essere obbligata all'iscrizione alla gestione commercianti, non sussistendo i requisiti di cui all'art. 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996, in particolare non essendo socia della societa', ne' familiare coadiutrice di un socio il quale presti la propria attivita' lavorativa nella societa' stessa e svolgendo unicamente le proprie incombenze gestionali nella qualita' di amministratore.

La Corte d'appello di Genova aggiunge che, come si evince dagli atti, la sig.ra L. L., figlia della socia B. L., e' vice-presidente della societa', esercita tutte le relative attribuzioni e si occupa anche della vendita all'interno del negozio di abbigliamento, il cui esercizio costituisce l'oggetto sociale.

Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbero i presupposti per l'iscrizione alla gestione commercianti di cui all'art. 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996, non potendosi ritenere che l'attivita' di vendita nel negozio sia attuata dalla sig.ra L. L. nell'esercizio dei compiti gestionali di vice-presidente. Circostanza pacifica e', poi, l'iscrizione di quest'ultima anche alla gestione separata per lo svolgimento dell'attivita' di amministratore.

In questo quadro, la Corte territoriale osserva che, per la decisione sulle impugnazioni (principale e incidentale), si rende necessario valutare se alla fattispecie sia applicabile l'art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996 e sostiene che la soluzione negativa, propugnata dalla difesa dell'INPS, sarebbe stata smentita dalla sentenza n. 340 (recte: 3240) del 12 febbraio 2010, pronunciata dalla Corte di cassazione a sezioni unite, che ha ritenuto applicabile, per l'individuazione dell'iscrizione ai fini assicurativi, il criterio dell'attivita' svolta in misura prevalente, ai sensi del citato art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996.

Pertanto, si dovrebbe valutare quale delle due attivita' (di amministrazione o di vendita) sia svolta dalla parte privata in misura prevalente, al fine di accertare quale sia la gestione previdenziale cui essa debba essere iscritta.

Tuttavia - la rimettente prosegue - nelle more del giudizio di appello e' entrato in vigore l'art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il quale, con disposizione autoqualificata d'interpretazione autentica, ha stabilito che il citato art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attivita' autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all'assicurazione prevista per l'attivita' prevalente, sono quelle esercitate in forma d'impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell'INPS.

Pertanto, restano esclusi dall'applicazione del detto art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali e' obbligatoriamente prevista l'iscrizione alla gestione previdenziale di cui all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995.

La Corte genovese ritiene, quindi, che in forza di tale norma il giudizio di prevalenza previsto dall'art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996 sia escluso per i casi di soggetti iscritti contemporaneamente alla gestione commercianti e separata, dovendosi applicare soltanto per il caso di concorrenza tra attivita' ascrivibili alle gestioni artigiani, commercianti e coltivatori diretti.

In altri termini, applicando la norma sopravvenuta anche alle fattispecie precedenti alla sua entrata in vigore (come dovuto, stante la sua dichiarata natura interpretativa), la soluzione della controversia de qua dovrebbe condurre ad affermare la legittimita' della (doppia) pretesa contributiva dell'INPS.

Su tali presupposti, la rimettente afferma la rilevanza della sollevata questione di legittimita' costituzionale.

In punto di non manifesta infondatezza, la Corte d'appello di Genova ritiene che il citato art. 12, comma 11, violi, in primo luogo, l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 CEDU.

Premesso che, nel caso di sospettato contrasto tra una norma nazionale e la normativa CEDU, il giudice ordinario non puo' disapplicare la prima, ma deve sollevare questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. (sono citate le sentenze n. 349 e n. 348 del 2007), la rimettente sottolinea come il significato del cosiddetto 'diritto ad un giusto processo' di cui all'art. 6 CEDU sia stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo (ex multis: causa Scordino contro Italia del 2007), nel senso di ritenere legittimo l'intervento del legislatore in materia civile con norme dotate di efficacia retroattiva, purche' lo stesso sia giustificato da 'superiori motivi di interesse generale', quale non puo' considerarsi quello meramente di 'cassa'.

La rimettente ricorda che, con le richiamate sentenze n. 349 e n.

348 del 2007, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima per violazione dell'art. 117, primo comma, in relazione alla normativa CEDU, la novella introdotta con efficacia retroattiva in materia di determinazione della indennita' di espropriazione. Diversamente, con la sentenza n. 311 del 2009, la Corte costituzionale ha ritenuto preminente l'esigenza di armonizzazione delle situazioni lavorative all'origine differenziate perseguita dalla normativa di interpretazione autentica di cui all'art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2006), in tema di inquadramento del personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), tenuto anche conto del fatto che la vicenda normativa non determinava una reformatio in malam partem di una situazione in precedenza acquisita, essendo stati salvaguardati i livelli retributivi gia' raggiunti.

Ad avviso della Corte d'appello di Genova, il legislatore nazionale, con il censurato art. 12, comma 11...

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