N. 284 SENTENZA 5 - 12 dicembre 2012

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente:Franco GALLO;

Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 27 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosso dalla Regione Veneto, con ricorso notificato il 21 febbraio 2012, depositato in cancelleria il 23 febbraio 2012 ed iscritto al n.

29 del registro ricorsi 2012.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi gli avvocati Luca Antonini, Bruno Barel, Andrea Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 21 febbraio 2012, la Regione Veneto ha sollevato questione di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e, tra queste, dell'art. 27, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.

Osserva la Regione ricorrente che la norma censurata detta una nuova disciplina in tema di valorizzazione, trasformazione, gestione ed alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, la quale risulterebbe lesiva della autonomia regionale. Si sottolinea, in particolare, che il comma 1 del citato articolo ha inserito un nuovo articolo (il 33-bis) nel decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sotto la rubrica 'Strumenti sussidiari per la gestione degli immobili pubblici'. La nuova disposizione prevede, al comma 1, che l'Agenzia del demanio promuova la costituzione di societa', consorzi o fondi immobiliari per la valorizzazione, trasformazione, gestione ed alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, senza nuovi oneri per la finanza pubblica. Al comma 2 stabilisce che l'avvio della verifica di fattibilita' di tali iniziative e' promosso dalla Agenzia del demanio. Al comma 3 aggiunge, poi, che, ove le anzidette iniziative prevedano la forma societaria, ad esse 'partecipano i soggetti apportanti e il Ministero dell'economia e delle finanze Agenzia del demanio, che aderisce anche nel caso in cui non vi siano inclusi beni di proprieta' dello Stato in qualita' di finanziatore e di struttura tecnica di supporto. L'Agenzia del demanio individua, attraverso procedure di evidenza pubblica, gli eventuali soggetti privati partecipanti' e - puntualizza ancora la disposizione in esame - 'la stessa Agenzia, per lo svolgimento delle attivita' relative alla attuazione del presente articolo, puo' avvalersi di soggetti specializzati nel settore, individuati tramite procedure ad evidenza pubblica o di altri soggetti pubblici'.

Secondo la Regione ricorrente, la disposizione all'esame attribuirebbe all'Agenzia del demanio un ruolo determinante per la valorizzazione, trasformazione, gestione ed alienazione del patrimonio pubblico anche di proprieta' delle Regioni e degli altri enti territoriali, sia attraverso la costituzione di societa', consorzi o fondi immobiliari, sia attraverso la selezione dei privati partecipanti e dei soggetti specializzati dei quali avvalersi. Il riferimento anche ai beni demaniali, in larga parte trasferiti alle Regioni dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (Attribuzione a comuni, province, citta' metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42) nell'ambito del cosiddetto 'federalismo demaniale', mostrerebbe l'intendimento di devolvere nuovamente allo Stato un ruolo primario nella valorizzazione, gestione e alienazione degli immobili pubblici, anche regionali. La circostanza, poi, che le operazioni debbano essere compiute senza oneri per la finanza pubblica e che l'Agenzia del demanio partecipi alle iniziative societarie anche quando non sono interessati immobili dello Stato, lascerebbe trasparire l'intendimento dello Stato di gestire il processo di valorizzazione anche degli immobili pubblici regionali attraverso risorse finanziarie messe a disposizione dalle stesse Regioni o dagli altri enti territoriali.

Le richiamate disposizioni si porrebbero, dunque, in contrasto con gli artt. 118 e 119 della Costituzione, 'ove si prevede che le Regioni abbiano un proprio patrimonio e che quindi possano gestirne, nella loro autonomia amministrativa organizzativa e finanziaria, la valorizzazione'.

Il comma 7 del nuovo art. 33-bis citato introduce, a sua volta, disposizioni sostitutive dei commi 1 e 2 dell'art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la compatibilita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. I predetti due commi disciplinano la procedura di dismissione del patrimonio immobiliare di Regioni, Comuni e altri enti locali, prevedendo la redazione di un piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, con l'effetto di classificare i beni inclusi nell'elenco come patrimonio disponibile, e stabiliscono, altresi', l'assegnazione ai beni in dismissione delle rispettive destinazioni d'uso urbanistiche, con la deliberazione di approvazione da parte del consiglio comunale. L'originario comma 2 del medesimo art. 58 - rammenta la Regione - fu dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 340 del 2009, secondo la quale, 'avuto riguardo all'effetto di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e valorizzazione', detta disposizione finiva per riguardare, con carattere prevalente, la materia del 'governo del territorio', per la quale lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi generali, spettando alle Regioni di emanare la normativa di dettaglio. Ebbene - deduce la Regione ricorrente - anche il testo del comma 2 dell'art. 58 novellato non si sottrarrebbe allo stesso vizio di costituzionalita', in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, giacche' solo in apparenza sarebbe riservata alle Regioni la disciplina delle varianti urbanistiche necessarie per assegnare le destinazioni d'uso degli immobili pubblici in dismissione: la disposizione censurata, infatti, per un verso assegnerebbe alle Regioni un termine assai breve entro il quale esercitare la potesta' legislativa concorrente, per altro verso ne delineerebbe anche il contenuto in dettaglio. Essendo quindi certa la inosservanza di un termine cosi' breve per l'esercizio della competenza regionale, la disposizione rispetterebbe solo all'apparenza l'autonomia regionale, per di piu' dettando una disciplina mal coordinata: l'art. 25, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), infatti, che si applicherebbe in caso di inosservanza del termine di legge per l'esercizio delle attribuzioni regionali, non si riferirebbe al tema delle varianti agli strumenti generali, finalizzate ad attribuire una destinazione d'uso a immobili pubblici in dismissione.

Il comma 2 dell'art. 27 del decreto impugnato - prosegue la ricorrente - inserisce l'art. 3-ter nel decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliari), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, nel...

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