La sentenza nella bancarotta fraudolenta impropria

AutoreIgnazio Augusto Santangelo
Pagine937-945

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1. Va posto a premessa che la nota caratteristica, in tema di bancarotta fallimentare, insiste nel suo collegarsi con la pronuncia giurisdizionale dichiarativa, di cui esige precisarsene la natura giuridica e la funzione.1 Quanto al primo aspetto, essa si presenta come l’atto funzionale al processo fallimentare che - senza una portata esecutiva preordinata alla procedura concorsuale2 o di provvedimento d’urgenza3 - è catalogabile tra le sentenze di accertamento costitutivo;4 non si manca, comunque, di segnalare l’opinione che la riconduce nella c.d. giurisdizione obiettiva (identificata nella giurisdizione senza azione) che, valutando la indisponibilità della liquidazione ex parte debitoris, dà solo risalto all’attuarsi la tutela fallimentare come sanzione prescindendo dalla volontà delle parti private.5

La sentenza, in realtà, è un provvedimento dall’ampio respiro e dall’accertamento pregnante, come assiomaticamente lo comprovano l’effetto immutativo dello status del debitore, la profonda modifica operata sul suo patrimonio e nelle relazioni processuali che s’intrattengono con i creditori, l’elevazione a reati di fatti ordinariamente non punibili. La prima elementazione logico-contenutistica è indovata nell’accertamento sia della qualità imprenditoriale (singola o collettiva), sia dello stato di insolvenza, la cui conclusione positiva comporta la constatazione che l’alternativa processo esecutivo ordinario-processo esecutivo speciale volge a favore del secondo, sussistendone i presupposti. Segue il momento della costituzione, la quale è idonea ad immutare sulla situazione di diritto sostanziale nel patrimonio del debitore, dei creditori e dei terzi aventi rapporti giuridici sinanco esauriti, ma i fattori preminenti, che ne scaturiscono sino a divenire autonomi, risiedono nella creazione dello status del fallito e nella formazione del titolo esecutivo speciale.

Si annoti subito su tali contorni che il giudice penale, investito del giudizio relativo ai reati di cui all’art. 216 e segg. R.D. n. 267/42, non può sindacarla in ordine al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza ed a quelli soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità,6 sicché le modifiche (apportate con D.L.vo n. 169/2007) non incidono sui procedimenti in corso, seppure tale orientamento non sia incontrastato per quanto concernente le procedure penali avviate anteriormente alla L. n. 5/2006 e su cui resiste l’applicabilità, per il favor rei, della legge in materia previgente.7

Locutivamente, ed a designare in linea generale la res materiale nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sono rispettivamente i beni (art. 216 n. 1) ed il patrimonio (art. 217 n. 2) dell’impresa fallita, benché le due adozioni espressive restino prive di alcuna sostanziale invarianza poiché, i primi, in altro non consistono che negli elementi del patrimonio fallimentare, e, quest’ultimo, va inteso in assai ampia accezione che è comprensiva di diritti reali, immateriali e crediti di ogni natura, cioè di quella complessità entificabile come capace di produrre utilità e suscettibile di valutazione economica.

L’incursione sull’elemento oggettivo della predetta fattispecie di reato consente di osservare come esso si realizzi mediante comportamenti determinativi, correlativamente al danno dei creditori, della diminuzione della massa patrimoniale. Questa può essere fittizia od effettiva, ma la specificità delle condotte non è affatto incompatibile nelle due varianti, rilevando solo che, nella prima, si risponde penalmente anche per il tentativo, mentre, in quella in senso stretto, non è richiesto il nesso causale con il dissesto dell’impresa. Su ciò è transitato l’arresto giurisprudenziale che ritiene realizzabile il reato de quo tramite una pluralità di fattispecie - siano esse la sottrazione, la distrazione o l’occultamento di beni ed attività aziendali - le quali hanno a comune denominatore la fittizia diminuzione patrimoniale, sicché ne risulta del tutto ininfluente l’accertamento dei limiti di ciascuna fattispecie in quanto esse si equivalgono ed irrilevante la qualificazione nei suddetti modi.8

Più dibattuto appare, tuttavia, il concetto di distrazione; in dottrina esso consiste nell’estromissione di un bene in assenza di un subentro equivalente nel patrimonio acquisito al fallimento9 oppure nella destinazione del bene finalisticamente divergente da quello dovuto e legittimo,10 laddove una maggiore coerenza esegetica presenta la giurisprudenza rinvenendo l’ipotesi come realizzata nell’ingiustificata sottrazione di beni o di attività con depauperamento patrimoniale in danno della massa dei creditori11 e nel loro distacco senza effettiva contropartita o per scopi estranei all’impresa.12

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Occorre, allora, muovere da una precisa individuazione del bene giuridico tutelato nel fallimento, sia seguendo la dottrina dominante che legge nella bancarotta fraudolenta un reato contro il patrimonio o contro gli interessi dei creditori od, ancora, della loro esposizione a pericolo13, sia richiamando quella marginale e differenziante sulla definizione dell’oggetto patrimoniale, attraverso l’indicazione nel diritto di garanzia sui cespiti del soggetto (l’imprenditore o la società) debitore,14 sulla loro egualitaria distribuzione,15 sul diritto di credito vantato da coloro che abbiano intrattenuto rapporti commerciali.16 Tali teoriche prospettano, comunque, una sostanziale omogeneità argomentativa nel rinvenire una natura accessoria o complementare delle norme penali in tema di bancarotta rispetto ad altre contenute nella legge fallimentare.

Individuato il riferimento legislativo nei reati contro il patrimonio al complesso di rapporti giuridici, economicamente valutabili, facenti capo ad un soggetto, va richiamata la caratteristica peculiare (seppure non esclusiva) dell’illecito penale che consiste, non nella lesione, ma della modalità della lesione, in quanto interessa solo quella suscettibile d’essere ricondotta ad un comportamento avente in sé tutti gli indici moralizzati di lesività richiesti dalla previsione normativa; consegue da ciò, in relazione all’oggettività giuridica categoriale, l’affermazione di una natura necessariamente patrimoniale del danno stesso, su cui insiste il dibattito dottrinale operante una contrapposizione tra quello in senso economico e quello in senso giuridico (quale minus rispetto al primo), nonché sulla nozione di profitto.17

L’avanzare una connessione con i reati contro il patrimonio - in quanto le disposizioni dell’art. 216 e segg. R.D. n. 267/42 offrono supporto a regole di condotta volte ad assicurare l’interesse dei creditori e riferibili all’art. 2470 c.c. che vincola i beni del debitore alla garanzia - non è, però, persuasiva a motivo che il risalto attribuito alla condotta dispositiva del debitore sui suoi beni tralascia la funzione di preminenza della dichiarazione di fallimento. L’esegesi dell’art. 2470 c.c. è, infatti, genetica della responsabilità patrimoniale ma solo nell’aspetto della volontarietà dell’inadempimento, né alcun limite impone in ordine ad una libera disponibilità degli stessi sino a che pervenga la richiesta satisfattiva dell’obbligazione situata nell’apertura della procedura concorsuale; ne consegue la non identificabilità del bene giuridico tutelato dai reati fallimentari nel patrimonio dei creditori sociali, che resta sprotetto anteriormente all’accertamento giurisdizionale dello stato d’insolvenza e del suo correlativo inserimento.

A migliore risultato non si perviene con la collocazione del bene giuridico nell’economia pubblica mediante la distinzione tra gli obiettivi satisfattivi dei diritti dei creditori perseguiti delle disposizioni civilistiche in tema di fallimento e l’oggetto della normativa penale in tema di bancarotta ove l’oggetto di tutela consiste nell’interesse sociale del corretto andamento delle relazioni economiche.18

Va, sotto tale aspetto, osservato che il ricorso all’economia pubblica in funzione di bene giuridico non facilita l’interpretazione del reato di bancarotta fraudolenta a motivo della sua astrattezza concettuale e del fatto che vi ricorre un erroneo accostamento tra il danno scaturente dallo stato di insolvenza del debitore e quello promanante dalle condotte di bancarotta.

Seguendo un ulteriore assunto,19 preposto ad assolvere ad una funzione di sintesi, la bancarotta configura un reato tipicamente plurioffensivo, indirizzato alla tutela di beni giuridici, tanto gli interessi dei creditori, quanto quelli dell’economia pubblica; la tesi non appare, tuttavia, esaustiva (in ordine al principio di necessaria lesività od offensività) poiché l’indicazione dei beni giuridici contemplati non costituisce un’oggettività giuridica in via diretta di tali reati, sia nel comportamento lesivo, sia nel porre in pericolo tali beni.

2. Nell’individuazione dell’oggettività giuridica dei reati di cui all’art. 216 e segg. L. Fall. deve, dunque, procedersi ad alcune riflessioni; di esse, la prima, attiene all’essere raccolte nella complessiva disciplina sul fallimento (e le altre procedure concorsuali), mentre, la seconda, è relativizzata al riferimento a beni ed interessi che rappresentano la finalità di tutela della normativa tematica sulle procedure concorsuali.

Ciò posto, può asserirsi che sono posti in discorso reati in contrasto alla procedura concorsuale esecutiva, e, pertanto, lesivi di un interesse pubblicistico-processuale,20 né in adversum va obiettato che il processo giurisdizionale - in quanto viene finalizzato strumentalmente all’attuazione di ulteriori interessi (in sintesi, quelli della diminuzione patrimoniale in fraus creditorum e della conservazione probatoria nei fatti che ne implicano la veridicità) adiunti a quelli posti nella normativa sulla bancarotta - non può essere considerato un bene protetto penalmente;21 aggiungasi, inoltre, che ex ante la dichiarazione del fallimento non sussiste il reato e che le condotte assurgono a...

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