n. 106 SENTENZA 14 - 18 aprile 2014 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di D.C.L., con ordinanza del 15 ottobre 2013, iscritta al n. 275 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2013. Visti l'atto di costituzione di D.C.L., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 marzo 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l'avvocato Alfredo Guarino per D.C.L. e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- La Corte di cassazione, terza sezione penale, con ordinanza del 15 ottobre 2013 (r.o. n. 275 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., sulla recidiva reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. La Corte rimettente premette che, con sentenza del 15 luglio 2011, il Tribunale ordinario di Torre Annunziata aveva dichiarato D.C.L. colpevole dei reati di cui agli artt. 81, capoverso, 572 e 609-bis cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione, ritenendo l'attenuante prevista dal terzo comma dell'art. 609-bis cod. pen. prevalente sulla contestata recidiva reiterata e infraquinquennale. La Corte d'appello di Napoli, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, rideterminando la pena in sei anni di reclusione, perche' aveva ritenuto che rispetto alla recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen., il giudizio di comparazione con l'attenuante del fatto di minore gravita' non potesse essere effettuato che in termini di equivalenza. L'imputato aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo che il giudice di appello aveva aggravato la pena senza tener conto delle risultanze processuali e della valutazione dell'attenuante dell'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., fatta dal giudice di primo grado, e aveva altresi' sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., sulla recidiva reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. Il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale e di legittimita' che ha prospettato un'interpretazione dell'art. 99, quarto comma, cod. pen., tale da configurare un'ipotesi di recidiva facoltativa, che il giudice puo' sia escludere, sia invece riconoscere, qualora il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo. Nel caso di specie, prosegue la Corte rimettente, il giudice di secondo grado aveva ritenuto che la contestata recidiva non potesse essere esclusa, perche' «i reati contestati all'imputato, gia' gravato di precedenti per evasione e violazione della normativa sugli stupefacenti, costituivano espressione di maggior colpevolezza e pericolosita' sociale in quanto si inquadravano "senza dubbio alcuno in una progressione criminosa ulteriore, essendo ampliato il ventaglio di beni aggrediti dalle condotte antigiuridiche del D.C.L."», e aveva ritenuto che il giudizio di comparazione tra la ritenuta recidiva e la circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., potesse essere espresso in termini di equivalenza, dato «il tassativo disposto di cui all'art. 69, comma 4, c.p.» da cui discende automaticamente «l'impossibilita' di ritenere la prevalenza della circostanza attenuante». Ritenuta percio' la rilevanza della questione, e facendo riferimento alla sentenza di questa Corte n. 68 del 2012, la Corte di cassazione rileva che «al pari della configurazione delle fattispecie astratte di reato anche la commisurazione delle sanzioni per ciascuna di esse e' materia affidata alla discrezionalita' del legislatore in quanto involge apprezzamenti tipicamente politici. Le scelte legislative sono pertanto sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione», sicche' la Corte costituzionale avrebbe il compito di verificare che l'uso della discrezionalita' legislativa rispetti sia il limite della ragionevolezza, sia il principio di proporzionalita' tra qualita' e quantita' della sanzione, da un lato, e offesa, dall'altro. Cio' posto, la questione sarebbe non manifestamente infondata con riferimento ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalita' sanciti dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. La Corte rimettente ricorda che la legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), ricorrendo all'unitaria nozione di atti sessuali, ha unificato nella violenza sessuale le fattispecie di congiunzione carnale violenta e di atti di libidine violenti, previste dalla precedente normativa, e che «la "unificazione" in una sola [ipotesi] criminosa di ogni attentato alla sfera sessuale ha indotto il legislatore, per differenziare sul piano sanzionatorio le ipotesi meno gravi (rientranti secondo la previgente disciplina negli atti di libidine), a configurare una circostanza attenuante speciale». Cosi', mentre l'art. 609-bis, primo comma, cod. pen., prevede una pena da cinque a dieci anni di reclusione, il terzo comma stabilisce che «nei casi di minore gravita'» la pena e' diminuita in misura non eccedente i due terzi, sicche', in caso di riconoscimento di siffatta attenuante, la stessa «(applicandosi l'attenuante nella massima estensione) puo' variare da un minimo di 1 anno e 8 mesi di reclusione ad un massimo di 3 anni e 4 mesi». La Corte aggiunge che «il massimo della pena edittale, previsto nell'ipotesi di riconoscimento della circostanza attenuante speciale di minore gravita' (anni 3 a mesi 4), e' [...], in modo considerevole, inferiore al minimo della pena prevista per l'ipotesi di cui al comma 1 (anni 5)», e cio' perche' le ipotesi di minore gravita' di cui al terzo comma dell'art. 609-bis cod. pen. si differenziano, rispetto a quelle delineate dal primo comma, per la minore offesa alla liberta' sessuale cagionata dal fatto di reato. Questa differenza, peraltro, era stata tenuta presente dal legislatore anche in materia di misure cautelari, in quanto, prima della sentenza n. 265 del 2010, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale (nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze...

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