Brevi considerazioni semantiche: il “diritto vivente” ed il “diritto giurisprudenziale”. Dalla iurisprudentia romana alla moderna “giurisprudenza”
Autore | Federico Procchi |
Occupazione dell'autore | Avvocato. Membro della Scuola Superiore dell’Avvocatura. Professore ufficiale di Storia del diritto Romano nell’Università degli Studi di Pisa, è autore e curatore di pubblicazioni in materia di diritto romano, diritto civile e penale, diritto europeo. |
Pagine | 117-125 |
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“La vita mi metteva innanzi altri problemi che la scuola, e direi che in confronto agli esami sempre nuovi che la realtà mi costringeva a superare, quelli dell’Università diventavano uno scherzo …”
(Rudolf von Jhering, Serio e faceto nella giurisprudenza)
@1. Premessa: nascita e recezione in Italia della categoria del c.d. “diritto vivente”
Può essere utile, non solo per esigenze di chiarezza terminologica, soffer- mare la nostra attenzione sui mutevoli signifi cati che le locuzioni “diritto vivente” e “diritto giurisprudenziale” possono, di volta in volta, assumere nel linguaggio giuridico corrente.
La discussione sul tema, come l’attento lettore avrà notato, è sottostante in particolare alla trama di alcuni contributi: se, da un lato, Eligio Resta 89 rivendica giustamente l’ampiezza della formula “lebendes Recht” come intesa nella concezione sociologica di Eugen Ehrlich e Guido Alpa 90 si sforza di tenere separate le nozioni di “diritto giurisprudenziale”, “diritto vivente” e “nomofi lachia”, è comunque un dato di fatto che, nell’uso comune del linguaggio giuridico i tre termini vengano spesso intesi ed usati come sinonimi, atti ad indicare la corrente inter- pretazione ed applicazione di una norma giuridica nella prassi dei tribunali o, quanto meno, della giurisprudenza di legittimità.
Tale fraintendimento è dovuto, prima di tutto, alla mancata ricezione nel nostro ordinamento della prospettiva di Eugen Ehrlich che, nella sua Grundlegung der Soziologie des Rechts (1913), fa uso della metafora del “diritto vivente” per designare, in via generale, il «diritto che regola la vita sociale sebbene non sia formulato in proposizioni giuridiche» 91, ivi compresi gli usi normativi contra Page 118legem, destinati a soccombere di fronte al diritto vigente ogni qual volta un rap- porto giuridico da essi regolato venga portato alla cognizione di un tribunale dello Stato 92.
L’espressione “diritto vivente” nel signifi cato di più frequente uso in Italia risale, invece, ad una felice defi nizione di Marcel Planiol che per primo ebbe modo di affermare che la giurisprudenza rappresenta «la forma vivente del diritto» 93: spetta ai tribunali applicare il diritto ai rapporti della vita. «Conoscere la giurisprudenza signifi ca allora conoscere il diritto nella sua realtà quotidiana, e perciò apprendere come i singoli casi vengano concretamente disciplinati dalle norme giuridiche mediante la loro coordinazione ed integrazione, e, dove occorra, con il loro adattamento alle nuove esigenze: in una parola, mediante l’interpretazione» 94.
Più specifi camente, in Italia la formula “diritto vivente” è tornata in auge in una nozione elaborata progressivamente dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (v. praecipue sent. n. 161/1967 e n. 26/1984) che intende l’espressione alla stregua di «interpretazione giurisprudenziale consolidata» di una disposizione di legge. In presenza di un siffatto “diritto vivente” «la Corte si astiene dall’interpretare le disposizioni di legge sottoposte al suo esame e assume ad oggetto del giudizio di legittimità costituzionale il signifi cato ad esse attribuito dalla giurisprudenza consolidata. Se tale signifi cato è costituzionalmente corretto, la Corte respinge la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo in base a una diversa interpretazione. Se al contrario, così interpretata, la disposizione appare in contrasto con la Costituzione, la Corte la dichiara costituzionalmente illegittima indipendentemente dalla possibilità di un’altra interpretazione che la armonizzerebbe con la fonte superiore »95.
In questo senso, quindi, la Consulta mostra di intendere il “diritto vivente” come oggetto del giudizio di costituzionalità delle leggi; in altri termini, esso nient’altro sarebbe se non lo stesso “diritto vigente”, così come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza costante.
@2. Il “diritto vivente” come “diritto giurisprudenziale”?
Una volta scelta la via di circoscrivere, quanto meno nella nostra esperienza giuridica, il “diritto vivente” all’opera interpretativa ed applicativa dei giudici, non deve stupire troppo che esso venga spesso identifi cato anche con la locuzione “diritto giurisprudenziale”; nella prassi, infatti, le due espressioni sono sovente intese come sinonimiche.
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In verità, tuttavia, il riferimento al c.d. “diritto giurisprudenziale” non solo non chiarisce defi nitivamente i problemi descrittivi e contenutistici della categoria dogmatica cui si intende far riferimento, ma, anzi, può essere foriero di ulteriori, spiacevoli equivoci.
Il problema in questione deriva direttamente dall’accentuata polisemia del lemma italiano “giurisprudenza” da cui deriva l’aggettivo che qualifi ca la tipologia di diritto in questione: si impongono, pertanto, alcune precisazioni terminologiche.
Come è stato giustamente osservato 96, «giurisprudenza» può signifi care:
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in via generale, la conoscenza e la scienza del diritto;
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in senso tecnico, la giurisprudenza come attività dei tribunali nel loro ius dicere;
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più raramente, il complesso degli organi giurisdizionali, come soggetti dell’attività iusdicente.
Da un punto di vista storico il più antico signifi cato della parola è da ricollegarsi all’etimologia iuris-prudentia che denota uno stretto legame con la scienza del diritto e, più in particolare, con la rifl essione speculativa posta in essere dai giuristi, non a caso defi niti iuris prudentes 97. Sarebbe tuttavia erroneo ritenere che tali speculazioni non abbiano di per sé alcun legame con il diritto vivente. In tal senso basti considerare quella che a buon diritto può essere considerata l’esperienza giuridica più importante per la nostra tradizione: la “giurisprudenza romana”. In tale contesto, infatti, è pacifi co, come avremo subito modo di illustrare 98, che l’attività interpretativa dei prudentes debba considerarsi a pieno titolo del novero delle fonti di produzione del diritto.
Di questa tradizione è fi glia la moderna denominazione degli studi universitari in Italia: “Facoltà di Giurisprudenza” pone infatti l’accento sul complesso dell’attività scientifi ca posta in essere, piuttosto che sull’oggetto degli studi come avviene in altri paesi di “Civil Law” o, in genere, nel “Common Law”.
Ad eccezione di questo campo, tuttavia, deve essere rimarcato che l’uso di “giurisprudenza” nel senso di “scienza del diritto” fi nisce per essere marginale nel linguaggio corrente, preferendosi altre espressioni 99. Il lemma ha quindi subito, almeno nella terminologia giuridica italiana, un percorso di specifi cazione speculare rispetto a quello della parola “dottrina” che designava, almeno inizialmente, l’opinione di uno o più “dottori” e quindi, anche dei giudici. I due ter- mini, aventi un tempo (almeno in parte) giurisdizione sul medesimo campo semantico, sono addivenuti nella moderna terminologia giuridica italiana ad un regolamento di confi ni che riconosce al lemma “dottrina” una signoria pressoché assoluta nell’indicazione della rifl essione teorica in contrapposizione con il frutto dell’attività pratica dei tribunali cui tende sempre più ad essere riservato l’epiteto di “giurisprudenza” 100.
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Può essere altresì interessante notare che gli Autori chiamati a redigere la voce “Giurisprudenza” nelle enciclopedie giuridiche 101 di più recente pubblicazione hanno inteso assolvere al proprio compito in modo non uniforme, differenziando appunto l’oggetto della loro indagine.
Nel 1970 Gino Gorla optava decisamente per la “giurisprudenza dei tribunali”, giacché «per signifi care la scienza del diritto e la dottrina, esiste un altro uso del linguaggio 102».
In tempi più recenti (1989) Luigi Lombardi Vallauri, facendo tesoro di un proprio precedente, accuratissimo studio 103, redigeva la voce “Giurisprudenza” dell’Enciclopedia Giuridica Treccani prescindendo dall’aspetto dell’investitura formale di chi ius dicit, per soffermarsi invece sul fenomeno giurisprudenziale riconnesso all’autorevolezza dei soggetti che ne siano, in qualche modo protagonisti. In quest’ottica sono giuristi tutti gli esperti di diritto: «siano essi legislatori, amministratori pubblici o privati, giudici, avvocati, notai, consulenti, docenti, scrittori, operatori qualifi cati 104».
Da ultimo, nel licenziare la medesima voce apparsa (1993) nel Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Pier Giuseppe Monateri ha trattato dap- prima brevemente la «giurisprudenza come scienza del diritto» (sia forense che dottorale) per soffermarsi poi, con maggiore puntualità, sulle problematiche della “giurisprudenza diritto delle corti” 105.
La medesima oscillazione concettuale è ravvisabile in alcune tra le più diffuse lingue dell’Europa continentale: polisemici il lemma tedesco “Jurisprudenz” e quello spagnolo “jurisprudencia”. Più ristretto, invece, il campo semantico del francese “jurisprudence”, oggi di fatto limitato all’attività giusdicente dei tribunali 106.
Totalmente diversa, infi ne, la tradizione del “Common Law” inglese in cui il termine...
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