Segreto processuale e divieto di pubblicazione tra norme vigenti, prassi devianti e prospettive de iure condendo

AutoreNicola Triggiani
Pagine278-280

    Intervento svolto nell’ambito del XXI Convegno Nazionale dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale sul tema “Il rito accusatorio a vent’anni dalla grande riforma. Continuità, fratture, nuovi orizzonti” (Lecce, 23-25 ottobre 2009). Il testo è destinato alla pubblicazione negli Atti del Convegno.

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Credo sia difficilmente contestabile che negli ultimi anni la situazione dei rapporti tra informazione e processo penale sia divenuta patologica e che ci siano, ormai quasi quotidianamente, degli eccessi giornalistici, soprattutto con riferimento alla divulgazione di notizie ed atti attinenti alla fase delle indagini preliminari.

Può essere interessante cercare di comprendere le ragioni di questo stato di cose.

È innegabile l’impegno profuso dai redattori del c.p.p. 1988 nel cercare di disciplinare una materia così delicata e complessa come quella dei rapporti tra giustizia penale e mass-media, che già durante la vigenza del c.p.p. 1930 aveva determinato profonde tensioni. E se andiamo a rileggere le norme che regolamentano la materia, e in particolare gli artt. 114, 115 e 329 c.p.p. vigente, dettati in attuazione della direttiva n. 71 legge-delega del 1987, ci rendiamo davvero conto dello sforzo compiuto dal legislatore nel difficile tentativo di contemperare i diversi e confliggenti interessi in gioco: l’efficienza delle indagini; il diritto all’informazione sulle vicende giudiziarie; il diritto di difesa; la presunzione di non colpevolezza; la riservatezza delle persone coinvolte, e, in particolare, dei soggetti minorenni; la verginità conoscitiva del giudice dibattimentale.

Questo impegno, com’è noto, si è tradotto in una molteplicità di divieti di pubblicazione, indirizzati, volta a volta, alla tutela di interessi processuali o extraprocessuali, anche se è indubbio che il legislatore abbia tutelato soprattutto il corretto e proficuo svolgimento dell’attività investigativa, prevedendo a tal fine anche ipotesi di “segretazione” o “desegretazione” lasciate alla discrezionalità del pubblico ministero.

D’altro canto, l’estrema difficoltà di trovare un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze sta tutta in quei sette commi dell’art. 114 c.p.p., divenuti otto con l’inserimento del comma 6 bis, in tema di divieto di pubblicazione delle immagini di persone in vinculis, ad opera della c.d. “legge Carotti”, dunque a dieci anni di distanza dall’entrata in vigore del “nuovo” codice.

Un “norma labirintica”: così Franco Cordero aveva subito ribattezzato l’art. 114 c.p.p. E in questo labirinto il legislatore è rimasto imprigionato da vent’anni, non riuscendo ancora a trovare la via d’uscita, se è vero che il d.d.l. Alfano in tema di intercettazioni telefoniche e di divieto di pubblicazione degli atti, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 giugno 2008 e attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato, è soltanto l’ultimo dei tentativi di riforma della disciplina sul segreto investigativo e sul divieto di pubblicazione che si sono susseguiti in questi anni, a riprova di una situazione da subito ritenuta insoddisfacente. Le prime significative proposte di modifica, rivolte soprattutto a tutelare meglio la...

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