Le sanzioni amminist rat ive ed il Diritto dell'Unione Europea

AutoreLuca Ciardi
Pagine1-11
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Arch. giur. circ. e sin. strad. 1/2013
Dottrina
LE SANZIONI AMMINISTRATIVE
ED IL DIRITTO
DELL’UNIONE EUROPEA
di Luca Ciardi (*)
SOMMARIO
1. Premessa. 2. Il primo “dogma” da mettere in discussione:
la f‌idefacienza privilegiata d’un verbale in virtù della sua
natura di atto pubblico. 3. Il secondo “dogma” da mettere
in discussione: l’irrilevanza dei vizi motivazionali e procedi-
mentali nell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione. 4. Un’altra
stortura tutta italiana da correggere: le “notif‌icazioni” delle
violazioni in mano ai “privati” (“in barba” agli artt. 6 e 8
C.E.D.U.). 5. Diritto dell’Unione ed art. 126 bis, comma 2,
C.d.S.. 6. Considerazioni in relazione al diritto di difesa ed
all’obbligo di procedere alla contestazione immediata degli
illeciti.
1. Premessa.
Per quanto, per lo meno in Italia, gli effetti pratici la-
scino pensare il contrario, l’entrata in vigore del Trattato
di Lisbona non avrebbe dovuto comportare il semplice
cambiamento del nome dell’Unione da “Comunità Euro-
pea” in – giust’appunto – “Unione Europea”.
Quello che appare essere uno stagnante immobili-
smo giurisprudenziale nel campo delle sanzioni ammini-
strative (con particolare riguardo a quelle concernenti le
violazioni del codice stradale), spinge, così, lo scrivente,
a tornare dopo lungo tempo sulle pagine di questa rivi-
sta, nel tentativo – che i più conservatori saranno liberi
di giudicare presuntuoso – di fornire spunti di rif‌lessione
non solo per coloro che, per professione o istituzione, sono
parti del processo di opposizione, ma anche per i giudici,
di ogni ordine e grado, per mettere in seria discussione
molti di quelli che sono stati, f‌ino ad oggi, supinamente
accettati come dogmi indiscutibili, a conferma dell’arre-
tratezza che aff‌ligge il nostro Paese praticamente in ogni
direzione, e che, accompagnata ad un’endemica incapacità
di premiare i meritevoli, allontanare gli incapaci e punire
gli irresponsabili, tanto nel pubblico, quanto nel privato,
rischia di ritardare, e di molto, il momento di uscita dalla
crisi economica rispetto ai partners europei.
Supina accettazione che, tra l’altro, non tiene conto
non solo dell’esistenza di organi giudiziari di rango supe-
riore a quello nazionale, ma persino del fatto che in tali
ambiti (Corte di Giustizia U.E. con sede nel Lussemburgo,
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Stra-
sburgo), alla Repubblica Italiana vengono ormai riservati
trattamenti e toni tipici del padre di famiglia esasperato
dal dover (vanamente) ripetere sempre le stesse cose al
f‌iglio “testone”.
Punto di partenza obbligato, per questa rif‌lessione, è
pertanto rappresentato dal Trattato di Lisbona, alla cui
entrata in vigore si è accompagnata quella della Carta
Fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea, nella quale
sono stati trasfusi, anche se dislocati in articoli diver-
samente ordinati e/o numerati, i principi ed i diritti già
sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei
Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (nel seguito
C.E.D.U.).
Convenzione che – giova ricordarlo – nel lontano 1950
venne aperta alla f‌irma delle Alte Parti Contraenti pro-
prio – ironia della sorte – nella capitale del Paese che,
da quando la Corte di Strasburgo esercita le sue funzioni,
è riuscito ad essere secondo, per numero di condanne
per conclamate violazioni dei Diritti Umani, solo ad una
nazione (la Turchia) che ancora non fa parte dell’Unione
Europea.
Da notare che l’ingresso della Turchia in ambito “co-
munitario” (termine, invero, non più appropriato, in virtù
della trasformazione da “comunità” in “unione”, ma tutto-
ra ampiamente in uso), viene osteggiato anche per tale
motivo, di tal che verrebbe spontaneo chiedersi se l’Italia
non ne verrà espulsa, allorquando, sulla base dell’attuale
“trend”, riuscirà a strappare il triste primato a coloro che,
in Europa, hanno lasciato un ricordo che ancora si tra-
manda, nonostante le atrocità commesse siano risalenti
nei secoli.
La conseguenza diretta di tale trasfusione, tenuto con-
to della giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, è (o
dovrebbe essere) rappresentata dal fatto che, potendo, un
giudice dell’Unione, rivolgersi in via pregiudiziale a tale
organo giudiziario transnazionale, non dovrebbe essere
più necessario esperire tutti i possibili gradi del giudizio
“interno” per ottenere, quando il “misfatto” si è già con-
sumato, una pronuncia della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo sull’eventuale contrasto d’una normativa nazio-
nale (o della sua esatta interpretazione e/o applicazione)
con i diritti sanciti dalla relativa Convenzione.
La conseguenza non è di poco conto, considerato che la
Corte che vigila sul rispetto dei Diritti Umani, com’è noto,

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