La sanzione detentiva è ancora attuale? Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio dopo il D.L.vo 16 marzo 2015, n. 28

AutorePaolo Diglio
Pagine403-410
403
dott
Rivista penale 5/2015
DOTTRINA
La sanzione detentiva
è ancora attuaLe?
prospettive di riforma
deL sistema sanzionatorio
dopo iL d.L.vo 16 marzo
2015, n. 28
di Paolo Diglio
Le grandi inchieste giudiziarie degli ultimi mesi
(Mose, Expo, Maf‌ia Capitale e, da ultimo, Grandi Opere)
e le correlate schermaglie sviluppatesi attorno all’esame
del disegno di legge anticorruzione hanno ridato vigore al
dibattito, sempre aperto, su quale sia la strada da percor-
rere per ricondurre il nostro sistema penale ad un grado
di accettabile eff‌icienza. La giusta cura per sovvertire lo
stato patologico endemico in cui versano principalmente
gli apparati giudiziario e penitenziario passa attraverso
scelte ponderate che servano da viatico per il presente e
da antidoto per il futuro. Bisogna, prima di tutto, evita-
re di farsi trasportare da spinte populistico-emozionali,
che possono tutt’al più costituire solo l’incipit per un’as-
sennata valutazione ad ampio spettro, rispetto alla quale
risulta propedeutica un’analisi retrospettiva dell’intero
fenomeno. Il che non vuol dire banalizzare e radicalizzare
il problema, come vorrebbe qualche miope “nostalgico”,
che, strumentalizzando gli eventi, sostiene che basterebbe
riportare le lancette del tempo al famigerato “periodo in
cui i treni arrivavano in orario”. Lo sguardo deve essere
sì rivolto all’indietro, ma in direzione di un orizzonte pro-
spettico ben più distante, rappresentato da quella parti-
colare temperie culturale, all’interno della quale vengono
normalmente individuate le origini e le fonti del diritto
penale “moderno”. Stiamo parlando del periodo dei lumi,
quello in cui “la dea Ragione dominava su ogni cosa”. È
proprio attraverso l’eccelso pensiero di personaggi come
Bentham, Montesquieu, Voltaire, Feuerbach, Hommel,
Beccaria, ecc. che possiamo celebrare la reale validità
delle soluzioni attualmente ritenute più accreditate a
dipanare l’intricata matassa a cui abbiamo fatto cenno.
Oggigiorno non si fa altro che parlare di inasprimento
sanzionatorio, ma il rigorismo è davvero la panacea di tutti
i mali? Di quest’idea non sembrava essere Cesare Beccaria
che, nelle battute conclusive della sua celebre opera “Dei
delitti e delle pene” affermava che la pena deve essere
“… pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili
nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata
dalle leggi.” Per capire se, a distanza di oltre due secoli
e mezzo, le convinzioni dell’insigne giurista milanese
siano ancora attuali e comprendere, pertanto, quale sia il
percorso che il moderno legislatore (rectius, le istituzioni
nell’ambito delle rispettive competenze) debba(no) intra-
prendere per riportare tutti gli ingranaggi ad un corretto
funzionamento, dobbiamo innanzitutto interrogarci su
quali erano e quali sono le f‌inalità della sanzione penale.
Torniamo per un attimo alle parole con le quali il mar-
chese di Gualdrasco e di Villareggio suggella il suo prezioso
“libretto”, vero e proprio manifesto della cultura illumini-
stica. Rileggendole ci vengono in mente l’articolato mu-
tamento di paradigma che questa “corrente di pensiero”
ha prodotto ed i conseguenti effetti salutari di cui ancor
oggi godiamo. Ci sovviene la separazione dei poteri statua-
li, la produzione delle prime Carte dei diritti dell’uomo,
la nascita dello Stato di diritto con le sue Costituzioni e
codif‌icazioni e, soprattutto con riferimento all’economia
del presente contributo, la nuova concezione del diritto
penale, avulso dalla sua originaria matrice morale e sus-
sidiario rispetto agli altri strumenti ordinamentali egual-
mente deputati a garantire l’ordinato e pacif‌ico convivere
sociale.
La visione illuministica dell’ordito criminale come
extrema ratio, che trasuda dalle richiamate parole di Bec-
caria, sottende una concezione della pena che si discosta
da quella che dominava nella nostra penisola al tempo in
cui l’opera vide luce. In effetti, se ci soffermiamo sulla san-
zione penale ed analizziamo la stessa in una prospettiva
diacronica, ci rendiamo subito conto che diverse sono le
“teorie della pena” che si sono alternate o hanno convis-
suto nel corso del tempo. In particolare, giusta l’orien-
tamento prevalente nella scienza penalistica italiana
durante l’età dei lumi, ossia quello della Scuola Classica,
incarnata da Carrara, Carmignani, Pessina e molti altri,
la funzione della pena era retributiva (o satisfattoria).
Da quest’angolo di visuale, informato ad un diritto penale
tendenzialmente illuminato, ma fortemente eticizzato,
la sanzione serviva a compensare il male arrecato alla
società con l’atto criminoso (malum passionis propter
malum actionis).
Quello della Scuola Classica è, in realtà, un concetto di
pena che pecca di originalità, in quanto attinge non solo
dalla risalente teoria della punizione di stampo vetero-
cattolico (puniatur quia peccatum est), ma anche dalla
f‌ilosof‌ia idealista di Kant e dei suoi successori, come Hegel
e Fichte. Paradigmatiche al riguardo sono sia la metafora
kantiana dell’ultimo assassino imprigionato in un’isola, il
quale va giustiziato nonostante la società che la abita ab-
bia deciso di sciogliersi (1), sia la visione hegeliana della
pena intesa come “negazione della negazione del diritto”
(2). L’alba della teoria retributiva è, tuttavia, ben più risa-
lente. Di pena come contraccambio non solo parlano già
Pitagora ed Aristotele, ma una rif‌lessione più oculata per-
mette di scorgere un rapporto di stretta parentela con la
“legge del taglione”, ovvero quella pratica esistente presso
la generalità dei popoli antichi, icasticamente sintetizzata
dall’apoftegma “occhio per occhio, dente per dente” e legit-

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