Il ruolo degli amministratori delle cooperative di credito dopo la riforma del diritto societario

AutoreFrancesco Salerno
Pagine695-728
Francesco Salerno
Il ruolo degli amministratori delle cooperative di credito
dopo la riforma del diritto societario*
S: 1. Premessa. – 2. I rimedi originariamente adottati dalla Riforma per ovviare agli eccessi di una
ripartizione di poteri squilibrata a favore degli amministratori di cooperative. – 3. Principali implicazioni
del generale rinvio alla disciplina delle società per azioni. – 4. (Segue): sistemi di amministrazione alter-
nativi a quello tradizionale. – 5. (Segue): disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia. – 6. Limiti di
ammissibilità della nomina degli amministratori delle banche cooperative mediante voto segreto. – 7. I
(più ampi) poteri degli amministratori delle banche cooperative in relazione all’attività di trading sulle
partecipazioni proprie. – 8. (Segue): il contributo dell’art. 150-bis t.u.b. alla soluzione di passate incer-
tezze interpretative. – 9. (Segue): la disciplina allo stato applicabile. – 10. Il principio della porta aperta:
specialità della disciplina applicabile alle banche cooperative. – 11. (Segue): competenze in tema di de-
terminazione del sopraprezzo. – 12. (Segue): illustrazione delle determinazioni degli amministratori ri-
guardo all’ammissione di nuovi soci. – 13. Requisiti di nomina degli amministratori di banche coopera-
tive. – 14. Competenza a nominare gli amministratori di banche cooperative. – 15. Implicazioni
dell’attribuzione ai soci di maggiori poteri riguardo alle scelte inerenti il momento mutualistico (cenni).
1. Il d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (t.u.b.), riserva l’esercizio dell’attività bancaria
da parte delle società costituite in forma cooperativa alle banche popolari ed alle banche
di credito cooperativo (art. 28, comma 1, t.u.b.).
In ragione della profonda diversità della rispettiva disciplina, ad accomunare questi
due tipi di banche è, essenzialmente, l’aspetto strutturale, l’adozione cioè – da parte di
entrambe – della forma cooperativa, con ogni conseguenza in termini di organizzazione
e funzionamento.
È noto, infatti, che da un punto di vista organizzativo la società cooperativa si con-
nota, nella comune accezione, quale impresa che svolge la propria attività sulla base di
una struttura ispirata a regole di partecipazione egualitaria, tra le quali primeggia quella
del voto pro-capite.
Per quanto ispirata a principi democratici, questa regola non manca tuttavia di in-
convenienti, favorendo (in collegamento con talune altre regole del modello cooperati-
vo, quali il capitale variabile, il limite massimo di partecipazione, etc.) fenomeni di
scarso coinvolgimento dei soci nella gestione della società, che hanno contribuito all’idea
di un modello organizzativo in grado di favorire una situazione di accentuata autonomia
rispetto alla compagine sociale e, con essa, la formazione di realtà governate da “profes-
sionisti della cooperazione”1.
* Il presente scritto è destinato a conuire, con opportuni adattamenti, in un lavoro monograco, in via di
ultimazione, riguardante il governo societario delle banche in forma cooperativa. Questo lavoro monogra-
co, iniziando dall’idea stessa, deve molto ai suggerimenti raccolti nel corso di indimenticabili conversazio-
ni con il prof. Umberto Belviso.
1 Così, U. B, Le cooperative a mutualità prevalente, Banca borsa, 2007, 5 ss, che riferendosi in special
modo al settore della grande distribuzione descrive, ecacemente, i rischi di un sistema cooperativo segna-
to dall’autoreferen zia lità dei managers.
696 Studi in onore di Umberto Belviso
Secondo una diusa opinione2, per taluni proli acquisita da un punto di vista
anche statistico3, questa situazione riguarderebbe anche le cooperative bancarie, che si
contraddistinguerebbero – tra l’altro – per la capacità di assicurare alle proprie strutture
di governo un grado di autonomia e di permanenza in carica maggiore rispetto a quello
delle banche costituite in forma di società per azioni.
Occasione per arontare, tra gli altri, questo tema, avrebbe potuto essere l’inseri-
mento nella riforma del diritto societario di una compiuta rivisitazione della disciplina
delle banche cooperative. Tale riforma, infatti, non avrebbe dovuto limitarsi alle norma-
li società lucrative e mutualistiche, ma, secondo le aspettative di molti, interessare (an-
che) le banche cooperative4.
Come invece è noto, la legge 3 ottobre 2001, n. 366 (recante la delega al governo
per l’attuazione della riforma organica del diritto societario, che nel prosieguo si avrà
2 R. C, L’ordinamento del credito, Bologna, 1993, 3^ ed, 327; L. S, Le banche popolari e l’orga-
nizzazione cooperativa della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1996, II, 350; R. C, La cooperazione di
credito nel quadro della riforma della legislazione cooperativistica, in La riforma della legislazione sulle coopera-
tive (a cura di Bucci – Cerrai), Milano, 1979, 341 ss; F. C, Cooperazione di credito e testo unico
bancario, in Quaderni di ricerca giuridica, Banca d’Italia, 1995, 9 ss.; G. P, Il governo delle banche po-
polari e di credito cooperativo, in Banca impresa società, 1998, 152 ss; A. P, Assetti proprietari dell’impre-
sa bancaria, in Coop. Credito, 1997, 268; T. P S, Il credito cooperativo in Italia: realtà e problemi,
in Coop. Credito, 1996, 227.
3 G. P – P. M – E. S, Fondamenti teorici della corporate governance e comportamen-
to delle banche popolari, in Working paper n. 2/2005, in www.unige.it, 21, ove l’analisi comparata di dati
statistici, riguardanti i presidenti dei consigli di amministrazione e degli amministratori delegati delle ban-
che in forma cooperativa e delle banche in forma di società per azioni, evidenzia un turnover tendenzialmen-
te più basso nelle banche cooperative rispetto a quello riscontrabile nelle altre banche. Il dato statistico
della maggiore permanenza in carica degli amministratori si ritrova inoltre menzionato nel disegno di legge
del 30 luglio 2002, n. 1657, d’iniziativa dei senatori Pedrizzi ed altri, ove si dà atto di una permanenza
media in carica nei consigli di amministrazione delle banche cooperative di 7 anni a fronte dei 5 anni rile-
vati nelle banche costituite in forma di società per azioni. Dati meno recenti sono inoltre rinvenibili in D.
M, Le banche popolari italiane, Associazione nazionale delle banche popolari, Quaderni di ricer-
ca, Roma, 1997; I, La corporate governance nelle banche popolari, in Bancaria, 1998, n. 12, 44 ss; C.
S – R. D S, Banche di credito cooperativo: assetti societari e di governo, in Coop.Credito, 1998, 40
ss; C. S T, Aspetti sociologici e di gestione delle casse rurali e artigiane, in Lettere Censcoop, n. 19,
supplemento, 1989.
4 Ad alimentare le aspettative di una riforma organica del diritto societario applicabile (anche) alle banche
cooperative era stato soprattutto il fatto che, nel dibattito che aveva accompagnato i lavori preparatori della
riforma del diritto societario a queste ultime era spettato un ruolo da “protagoniste di primo piano” (G.
P, Le banche cooperative, Milano, 1999, 53), sia come soggetti che come oggetto della riessione, tanto
da poi indurre alcuni commentatori ad aermare che “il credito cooperativo e le banche popolari in parti-
colare sono sempre state un ‘convitato di pietra’ in questa riforma” (A. Z, in Atti del convegno “La
riforma delle banche popolari”, a cura di PricewaterhouseCoopers, Milano 14 marzo 2005, in www.pwcglo-
bal.com.it, 8). Si vedano inoltre, con specico riferimento alle banche di credito cooperativo, la relazione di
C, Evoluzione della disciplina del governo societario: spunti di riessione con riguardo alle banche di
credito cooperativo, presentata al convegno Rapporti societari e relazioni di clientela nel credito cooperativo:
problemi aperti e problemi di intervento, organizzato a Perugia, il 16-18 ottobre 1998, dalla Federazione
lombarda delle banche di credito cooperativo, nonché quella di M. D, Proli di corporate governance
nelle banche di credito cooperativo e riforma del diritto societario, in occasione dell’intervento all’assemblea dei
soci della Federazione italiane delle banche di credito cooperativo casse rurali ed artigiane, tenutasi a Roma
il 20 novembre 1998.
Francesco SALERNO 697
anche modo di chiamare “Riforma del diritto societario” o anche solo “Riforma”), ha
rinviato ad altra sede la denizione di una nuova disciplina della cooperazione bancaria,
prevedendo in particolare che i principi ai quali il legislatore avrebbe dovuto informare
le innovazioni da apportare alla disciplina delle società cooperative non avrebbero trova-
to applicazione alle banche di credito cooperativo ed alle banche popolari, salva solo
l’emanazione di norme di mero coordinamento (art. 5, comma 3°).
In conformità a questa previsione della legge delega, il legislatore delegato aveva in
un primo momento completamente escluso le banche cooperative dalla Riforma5. Tut-
tavia, lo stesso legislatore, con il d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, ha fatto seguire l’in-
troduzione nel t.u.b., di una norma di raccordo, l’art. 150-bis, che elencando le norme
contenute nel codice civile non applicabili alle banche popolari ed alle banche di credito
cooperativo ha sancito una presunzione di applicabilità (anche alle banche cooperative)
delle restanti altre6.
Molte novità della Riforma, ivi comprese quelle riguardanti il funzionamento
dell’organo di amministrazione, sono in questo modo divenute applicabili, sempre che
compatibili (a norma dell’art. 2520, comma 1°, c.c.) con la speciale disciplina bancaria,
(anche) alle cooperative operanti nel settore del credito.
2. In passato la disciplina dell’organo di amministrazione delle società cooperative,
salvo solo alcune integrazioni7, rimandava interamente a quella delle società per azioni,
ciò prestando il anco alla critica di una disciplina inadeguata poiché non in grado di
garantire un suciente coinvolgimento dei soci cooperatori nella gestione della società8.
La situazione si prospettava ancor più critica alla luce della generale impostazione
della Riforma, che mirava espressamente ad accentuare l’autonomia dell’organo gestorio
rispetto a quello assembleare.
5 Questa iniziale completa esclusione, come noto, è stata opera dell’art. 223-terdecies, comma 2°, disp. att.,
c.c., introdotto dal d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha stabilito – sino al momento della sua integrale sosti-
tuzione, avutasi ad opera del d.lgs. 310/2004 – che alle banche popolari ed alle banche di credito coopera-
tivo “continuano ad applicarsi le norme vigenti alla data di entrata in vigore della legge n. 366 del 2001”.
6 Vale la pena segnalare, rimandando ad altra sede ogni approfondimento, che la disciplina introdotta dal
d.lgs. 310/2004, dà spazio a dubbi di legittimità per eccesso di delega, non sembrando essersi limitata
all’emanazione delle norme di mero coordinamento consentite dall’art. 5, comma 3°, l. 366/2001.
7 Prima della Riforma le principali integrazioni rispetto alla generale disciplina della società per azioni erano
rinvenibili nel vecchio testo dell’art. 2535 c.c., che faceva menzione della necessaria qualità di soci ovvero di
mandatari di persone giuridiche di tutti gli amministratori di cooperative; dell’obbligo da parte di questi
ultimi di prestare cauzione; della possibilità da parte dello statuto di prevedere che uno o più amministrato-
ri fossero scelti tra le diverse categorie di soci e che la nomina di uno o più amministratori fosse riservata allo
stato o ad altri enti pubblici. Questa possibilità di riservare la nomina di amministratori allo stato o ad altri
enti pubblici non era tuttavia consentita, come peraltro tutt’ora, agli statuti delle banche cooperative.
8 Le implicazioni del richiamo della disciplina delle s.p.a. in termini di limitata interferenza dei soci nella
gestione della società cooperativa, sono state molto criticate da V. B, Cooperazione e imprese coo-
perative, Napoli, 1977, per il quale “l’attività cooperativa, rectius dell’impresa cooperativa, postula necessa-
riamente e imprescindibilmente la partecipazione dei soci cooperatori allo svolgimento dell’attività stessa”.
Come tuttavia segnalato da F. D S, Manuale delle Società5, Torino, 1995, 830, questa annotazione
rappresentava più che altro “un’aspirazione non confortata dal dettato normativo”.

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