Il rito speciale del lavoro come modello processuale

AutoreDomenico Dalfino
Pagine1-64
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CAPITOLO PRIMO
IL RITO SPECIALE DEL LAVORO
COME MODELLO PROCESSUALE
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Il rito speciale del lavoro come modello processuale
DOMENICO DALFINO
SOMMARIO: 1. Rito del lavoro, esigenze di differenziazione e di specializzazione, effettività della tutela
giurisdizionale. - 2. La riforma del 1973: novità, obiettivi, aspettative. - 3. Il principio di eventualità, le
preclusioni, le prime «aperture» della giurisprudenza in ordine al divieto di ius novorum in appello. -
4. Il ritorno al formalismo e la circolarità degli oneri posti a carico delle parti. - 5. I poteri istruttori del
giudice: limiti e rimedi. - 6. Tecniche di rinvio e prevalenza del rito del lavoro. - 7. Le riforme degli anni
novanta: l’avvicinamento del rito ordinario al rito del lavoro e la c.d. “privatizzazione” del pubblico im-
piego. - 8. Rito del lavoro, tendenze innovative e nuove modifiche. - 8.1. Progetti di riforma 2001-2006. -
8.2. Gli interventi normativi del 2005-2006. - 8.3. Gli interventi normativi del 2008: l’avvicinamento
del rito del lavoro al rito ordinario. - 8.4. La novella del 2009: la delega per la semplificazione e la ri-
duzione dei riti e gli ulteriori interventi (diretti e indiretti). - 8.5. Il c.d. “collegato lavoro”
(l. 183/2010). - 8.6. La c.d. “manovra finanziaria” (d.l. 98/2011, conv. con modif. in l. 111/2011).
1. Rito del lavoro, esigenze di differenziazione e specializzazione, effettività
della tutela giurisdizionale
Le norme contenute nel titolo IV del libro II del codice di procedura civile
e, in particolare, quelle di cui agli art. 413 ss., introdotte dalla l. n. 533 del 1973,
disciplinano il rito applicabile alle controversie in materia di lavoro; allo stesso
tempo, però, offrono uno schema procedimentale dalla vocazione espansiva molto
spiccata, tale da determinarne l’utilizzazione anche in altri e differenti contesti.
Le ragioni risiedono principalmente, per un verso, nella sua elevata concen-
trazione, che dovrebbe contribuire ad assicurare una tendenziale celerità di tute-
la, ferma restando la pienezza della cognizione; per un altro, nella marcata am-
piezza dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, la quale, a sua volta, dovrebbe
favorire il raggiungimento della c.d. verità materiale, ossia l’accertamento pie-
no dei fatti.
Non deve meravigliare, dunque, che, dopo una fase di progressiva (anche
se settoriale estensione), il legislatore nel 2009 abbia ritenuto possibile e oppor-
tuno compiere un passo più deciso1, in forza del quale il rito del lavoro ha as-
sunto la veste di vero e proprio modello processuale, accanto a quello somma-
rio di cognizione e a quello ordinario2. In particolare, la delega contenuta nell’art.
54, 4° comma, lett. b, l. 18 giugno 2009, n. 69, in vista della semplificazione e
riduzione dei numerosi riti esistenti, aveva stabilito che in quello del lavoro
1 Al contempo, la l. n. 69 del 2009 ha anche abrogato l’art. 3 l. n. 102 del 2006, che rinviava alle
norme del rito del lavoro per le cause di risarcimento danni da morte o lesioni derivanti da incidenti
stradali. Cfr. § 6.
2 La legge delega, va precisato, ha escluso la possibilità di intervenire sulle disposizioni proces-
suali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché su quelle contenute nel r.d. 14
dicembre 1933, n. 1669, nel r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, nella l. 20 maggio 1970, n. 300, nel codi-
ce della proprietà industriale di cui al d.leg. 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui
al d.leg. 6 settembre 2005, n. 206.

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