Risarcimento del danno economico della casalinga

AutoreEdgardo Colombini
CaricaIspettore assicurativo
Pagine699-706

Page 699

Anche se non risalgono alla preistoria della attuale giurisprudenza - attesa la data ancora relativamente recente in cui vennero pronunciate - pensiamo che comunque debbano essere ormai considerate come dei residui fossili, utili soltanto per una storiografia sull'argomento, le due sentenze del Tribunale civile di Cagliari e del Tribunale civile di Firenze in materia di risarcimento danni economici di una casalinga, visto il ben diverso orientamento attuale degli operatori del diritto.

Affermò, infatti, il Tribunale di Cagliari (10 maggio 1983, n. 342, in questa Rivista 1984, 614) che «nulla spetta all'attrice a titolo di risarcimento per l'invalidità temporanea derivante dalla lesione da lei subita: essa è casalinga, e non è perciò ravvisabile alcun danno derivante dalla momentanea sospensione di tale attività (se non nel caso che siano state sostenute spese per la retribuzione di sostituti). Né a diverse conclusioni si giungerebbe pur ritenendo applicabile l'art. 4 L. 26 febbraio 1977 n. 39, a situazioni verificatesi - come quella in esame - anteriormente all'entrata in vigore della legge medesima, posto che anche tale norma presuppone, sia pure per implicito, l'esistenza di un danno risarcibile e, quindi, nel caso di invalidità temporanea, un lucro cessante o un danno emergente attuali ed effettivi. La ratio della fissazione di un parametro minimo forfettario per la liquidazione del danno è, infatti, solo quella di eliminare eventuali difficoltà di prova esistenti per alcune categorie di soggetti, e non anche quella di assicurare comunque una indennità in assenza di danno patrimoniale».

Non da meno fu, alcuni anni più tardi, il Tribunale civile di Firenze (24 maggio 1990, n. 885, in questa Rivista 1991, 219) per il quale, in pratica, nessun danno strettamente patrimoniale può riconoscersi a chi - come una casalinga - non risulti svolgere alcuna attività lavorativa retribuita dal momento che la valutazione del danno patrimoniale riportato da un danneggiato per danno alla persona, con conseguente invalidità temporanea, deve essere fatta con riguardo ai redditi del danneggiato stesso.

Orientamento che, in pratica - non senza qualche contraddizione - piacque al NISINI (Compendio di infortunistica, Ed. La Tribuna, Piacenza 1998, p. 144), secondo il quale «la determinazione del lucro cessante, o mancato guadagno, non è ovviamente possibile quando si tratti di soggetti che non sono in attualità di lavoro (bambini, pensionati, casalinghe, ecc.) e, in questi casi, l'inabilità temporanea è di esclusiva natura biologica»: quindi, nessun risarcimento a titolo di danno economico, anche se poi, poco più innanzi, finisce con il riconoscerne indirettamente l'esistenza. Infatti, nel caso di soggetto privo di un proprio patrimonio che viva con proventi derivanti da una attività illecita, l'Autore riconosce che il «lucro cessante può essere liquidato figurativamente con riferimento ad altre attività, vista la sentenza della Cassazione del 1º agosto 1986, n. 4927, in Resp. civ. e prev. 1987, 554 che liquida il danno da mancato guadagno di una prostituta sulla base del reddito medio di una casalinga». Con il che il reddito di una casalinga non è più una utopia, tanto è vero che si fa una ulteriore precisazione poco dopo osservando che «se il soggetto danneggiato svolge una attività di lavoro non retribuita (casalinga, religiosa, servizio di volontariato) sarà necessario avere riguardo al valore economico di detta attività, non avendo alcun riguardo l'eventuale gratuità della sua prestazione (Cass. 22 novembre 1991, n. 12546, in Giur. it. 1992, I, 1036: il danno subito dalla casalinga può essere determinato in misura superiore al reddito percepito da una colf poiché i compiti di moglie o di madre implicano un impegno ben superiore alle mansioni della colf)» (ibid., p. 148).

Ma - come abbiamo detto - si tratta di impostazioni in pratica seppellite sotto una valanga di decisioni giurisprudenziali che, pur attraverso criteri di valutazione divergenti fra di loro, hanno portato al riconoscimento del diritto delle casalinghe, ove danneggiate, al risarcimento di un danno patrimoniale.

E - si badi - questo stesso diritto non è solo ora riconosciuto dal momento che è possibile individuarne l'esistenza già oltre mezzo secolo fa.

La Corte di appello di Milano il 10 dicembre 1954 (in Resp. civ. e prev. 1954, 539) stabiliva già infatti che il reddito di una casalinga appartenente ad una famiglia di media borghesia può essere equitativamente fissato secondo i dati della comune esperienza.

Nel 1969 era la stessa Corte di cassazione (sent. n. 2259 del 23 giugno 1969, in Resp. civ. e prev. 1970, 298) ad affermare che «anche l'attività corrispondente al lavoro domestico è suscettibile di valutazione pecuniaria, ed essa deve, quindi, essere tenuta in considerazione ai fini del risarcimento, se per l'invalidità al lavoro, cagionata dal fatto illecito, non siasi potuta ulteriormente esplicare».

Affermazione di principio di rilievo, anche se poi mitigata e - quindi - paralizzabile sostenendosi che «il danno prodotto non è però ravvisabile in re ipsa, ben potendo la organizzazione familiare essere sistemata in modo tale da non risentire una specifica lesione patrimoniale dal sinistro che colpisca una donna di essa, se questa già da tempo anteriore si fosse servita di aiuti esterni o della collabora-Page 700zione di uno o più domestici». Criterio - quest'ultimo - che vedremo in epoca più vicina a noi essere censurato e ridimensionato pur nella sua possibile riconosciuta valenza.

Senza discriminazioni di sorta si sarebbe invece pronunciato il Tribunale civile di Saluzzo (4 gennaio 1975, in questa Rivista 1976, 517 e 522) che, dopo avere affermato in linea di principio che per i danni alla persona da inabilità temporanea il risarcimento deve essere liquidato in base a distinti criteri correlati alle diverse attività di lavoro svolte dai singoli soggetti danneggiati, per una casalinga puramente e semplicemente provvedeva alla liquidazione di una somma giornaliera calcolata in via equitativa.

Più complesso e articolato il ragionamento che individuiamo in una decisione del Tribunale di Napoli (sez. IV, 15 dicembre 1976, in questa Rivista 1977, 607-608) che accortamente faceva presente come il lavoro della casalinga - su cui incidono le conseguenze di un sinistro - non possa essere visto sempre e soltanto limitato all'accudimento delle faccende domestiche andando in taluni casi al di là di esso, in ambito però sempre collegato a quello di base.

Scrivevano infatti i giudici napoletani in quella occasione che «note sono le incertezze e le discussioni cui ha dato luogo, in dottrina ed in giurisprudenza, la determinazione del c.d. reddito figurativo della casalinga, in quanto, non essendo essa produttrice di reddito di lavoro (vale a dire di un reddito in diretto rapporto di produzione con l'attività lavorativa esercitata), non vi sono per lei mercede, salario, stipendio, reddito netto da cui desumere, con relativa facilità, l'entità del danno per lucro cessante patito in conseguenza dell'evento. In difetto quindi di tali metri di valutazione occorre procedere - ai fini della liquidazione del danno - alla determinazione del suo c.d. reddito figurativo mediante l'ancorazione del suo guadagno al valore-mercato di lavoro per analogia di mansioni. Vari, come noto, i criteri offerti dalla giurisprudenza per tale determinazione ed oscillanti dalla adeguazione al salario di una operaia o di una domestica alla commisurazione al livello culturale ed al titolo di studio di cui essa sia eventualmente in possesso. Tali parametri, già oggetto di censure da più parti, sono tutti, a parere del collegio, inaccettabili, perché partono da premesse unilaterali e non già da una visione globale e panoramica della complessa attività della casalinga. L'attività di costei, infatti, non si esaurisce - come avviene per altre categorie di soggetti produttori di reddito - in un solo campo, ma si estrinseca in campi ben disparati, che vanno dall'accudimento alle faccende domestiche, alla collaborazione con il marito nel mantenimento di rapporti sociali interessanti la sua attività di lavoro. Ora, se per talune di tali attività - e cioè per quelle relative all'accudimento alle faccende domestiche - agevole è il riferimento (cui correttamente si ricorre, in esse esaurendo il reddito della casalinga) al reddito che il mercato del lavoro attribuisce a chi, mercenariamente, esegua tali attività, altrettanto non è a dirsi per quel complesso di attività psico-fisiche caratteristiche della casalinga, quali quelle più su ricordate di allevamento ed educazione della prole e di collaborazione col coniuge nella gestione dell'azienda familiare e nel mantenimento dei rapporti sociali interessanti la sua attività di lavoro».

Ragionamento che peraltro possiamo riconoscere valido solo fino ad un certo punto, però, atteso che, quando si arriva a parlare di collaborazione con il coniuge nella gestione della azienda familiare e del mantenimento di rapporti sociali interessanti la sua attività di lavoro, siamo evidentemente al di fuori di quelle attività che sono proprie della...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT