Il riparto di competenza tra tribunale per I minorenni e tribunale ordinario
Autore | Prof. Filippo Danovi |
Occupazione dell'autore | Università degli Studi di Milano-Bicocca |
Pagine | 119-134 |
Page 119
@1. Premessa
Il diritto di famiglia e delle persone rappresenta per tradizione uno dei settori dell'ordinamento maggiormente caratterizzati da una connaturata e intrinseca "instabilità", essendo rivolto a disciplinare legami intersoggettivi per loro natura (e a dispetto delle possibili schematizzazioni e inquadramenti in categorie sistematiche) relativi, variabili e comunque sempre differenti, peculiari e quasi unici nel loro genere. Questa caratteristica impone quindi un costante aggiornamento e un'accorta attualizzazione degli istituti giuridici, in linea con l'evoluzione delle dinamiche sociali e del costume.
Se questa appare la necessaria premessa, occorre altresì considerare che quel microcosmo che all'interno del concetto polisenso di famiglia è rappresentato dalla "famiglia di fatto", costituisce un terreno di indagine ancora più "instabile", per almeno due ordini di ragioni.
In primo luogo, la stessa locuzione con la quale si tende a descrivere il fenomeno lascia intendere come lo stesso tenda naturalmente a fondarsi più sul dato concreto dell'esperienza di vita dei soggetti interessati che su una aprioristica regolamentazione giuridica delle relazioni intessute. Ancora oggi, malgrado il sentire dominante si stia orientando decisamente in senso opposto, non sono del tutto sopite le istanze anche volte a espungere dall'area del diritto positivo le situazioni di convivenza familiare, pur stabile e consolidata. Secondariamente, non può dimenticarsi il fatto che le nostre leggi fondamentali del diritto civile (e segnatamente i due codici) sono state promulgate in un periodo caratterizzato da una temperie culturale certamente lontana da quella attuale,Page 120ma evidentemente in misura non ancora perfettamente idonea a liberarsi dalla vischiosita di quella; il percorso evolutivo della legislazione in questo settore risulta pertanto sempre particolarmente laborioso e difficile e ne costituiscono - su tutto - riprova i ripetuti tentativi di attribuire una disciplina giuridica alle unioni o convivenze non fondate sul matrimonio.
@2. L'uguaglianza tra i figli legittimi e i figli nati fuori dal matrimonio come canone portante del sistema. Il ruolo della l. 8 febbraio 2006, n. 54
Un punto fermo, peraltro, è stato raggiunto anche in questa materia, ed è rappresentato dall'idea che, se il rapporto di convivenza ancora non riesce a rinvenire una organica disciplina giuridica che soddisfi interamente il sentire comune, la posizione dei figli minori, non più "illegittimi" né "naturali" ma - come oggi si tende sempre più spesso a dire - "nati fuori dal matrimonio" deve essere al contrario assicurata e garantita in modo conforme a quella dei figli che nascono e crescono all'interno di una famiglia tradizionale, fondata sul vincolo coniugale dei genitori. In questo senso, a partire dal precetto contenuto nell'alt. 30, 3° comma, della nostra Carta costituzionale, che assicura ai figli nati fuori dal matrimonio "ogni tutela giuridica e sociale", ma ancora in quanto "compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima", l'evoluzione legislativa è stata connotata da una costante opera di adeguamento del tessuto normativo nel dichiarato intento di pervenire a una totale parificazione della posizione e della tutela giuridica del minore, indipendentemente dalla sua storia familiare e dal suo personale vissuto.
Mossa da questo stesso intento, anche la 1. 8 febbraio 2006, n. 54, recante nuove "disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", ha stabilito che le disposizioni introdotte, formalmente all'interno del codice civile nella parte dedicata alla separazione tra i coniugi, debbano in realtà considerarsi dotate di una maggiore valenza applicativa ed estendersi anche ai "procedimenti di scioglimento o cessazione degli effettivi civili del matrimonio, nullità del matrimonio nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati" (art. 4, 2° comma, 1. n. 54/2006).
Con questa formula il legislatore si è verosimilmente illuso che l'auspicata unificazione e parificazione della tutela potesse essere raggiunta mediante una semplice norma di richiamo (neppure sorretta dalla prudente clausola di compatibilita), senza purtroppo comprendere che per la limitata portata riformatrice della legge la disposizione in esame è risultata comunque inidonea a realizzare l'obiettivo finale e anzi di fatto ha sollevato numerosi e giustificati interrogativi e perplessità.
In estrema sintesi e limitandoci ai profili che qui interessano, infatti, se l'applicazione delle "nuove" norme alla famiglia di fatto non desta particolari problemi per quanto riguarda le novità di carattere sostanziale (in ordine ai principi, criteri e regole sull'affidamento condiviso dei minori a seguito della crisi tra i genitori), la disciplina processualePage 121dei relativi procedimenti (da sempre contraddistinta da una particolare frammentazione normativa) ha invece sollevato una vera e propria congerie di dubbi interpretativi, alcuni dei quali sono stati sciolti soltanto ad esito di una attenta ricostruzione degli interpreti e dell'opera nomofilattica compiuta dalla Suprema corte.
@3. L'individuazione del giudice competente per l'affidamento e il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio: il sistema tradizionale
In particolare, in relazione ai procedimenti volti all'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, ai diversi problemi che hanno sollevato le norme della 1. n. 54/2006 sull'affidamento condiviso (in merito all'individuazione dei poteri del giudice e delle parti all'interno del processo, nonché allo stesso ambito di applicazione dei nuovi istituti), si è posta in via preliminare una ulteriore e delicata questione, concernente "a monte" l'individuazione della stessa autorità giudiziaria deputata all'assunzione dei relativi provvedimenti.
In questo settore, come è noto, il sistema era stato in precedenza e per lungo tempo organizzato secondo un fondamentale dualismo (frutto della compresenza di due organi giurisdizionali, il tribunale ordinario e il tribunale minorile, dotati di poteri decisori separati e autonomi) e conseguente riparto delle competenze: da un lato, invero, i provvedimenti in materia di affidamento venivano devoluti al tribunale per i minorenni (e ciò in virtù del richiamo all'art. 317-bis c.c. contenuto nell'alt. 38, 1° comma, disp. att. c.c.), dall'altro, invece, il contenzioso di carattere economico (sulla determinazione del mantenimento e sui profili ad essa riconnessi) era considerato di necessaria competenza del tribunale ordinario (non essendo la norma di riferimento - l'art. 148 c.c. - richiamata dall'alt. 38,1° comma, disp. att. c.c. e non ritenendosi che il giudice minorile avesse alcun potere in ordine alle questioni di natura economica).
Molteplici sono le critiche che per anni sono state mosse al predetto sistema "dualistico", nella convinzione che la scissione delle competenze irragionevolmente discriminasse la tutela giurisdizionale dei figli naturali rispetto a quelli legittimi.
Da un lato, infatti, la previsione di una competenza in capo al giudice minorile ma limitata alle sole questioni personali imponeva di fatto una necessaria scissione dei provvedimenti e delle decisioni riguardanti i figli naturali; d'altro lato, poi, la previsione di detta competenza in capo all'organo giurisdizionale che, in materia civile, è il giudice della "patologia assoluta" (poiché volto a pronunciarsi sui provvedimenti maggiormente invasivi, limitativi o addirittura ablativi della potestà genitoriale), ingenerava il dubbio che il conferimento di poteri nel campo "ordinario" dell'affidamento fosse in qualche modo ulteriormente contrario al canone di uguaglianza e ragionevolezza1.
Page 122
Tuttavia, per quanto l'impianto normativo effettivamente non fosse (e non sia tuttora) esemplare per chiarezza e coerenza, lo stesso ha per lungo trovato l'avallo del Giudice delle leggi, che ha configurato la duplicità di regime sopra descritta come espressione di discrezionalità legislativa, rispondente a scelte di politica del diritto non sindacabili e comunque non contrastanti con il principio costituzionale di uguaglianza e con la garanzia del diritto d'azione2.
@4. La l. n. 54/2006 e il conflitto interpretativo che ne è derivato
A seguito dell'entrata in vigore della nuova legge sull'affidamento condiviso, l'aspirazione ad attuare una concentrazione delle competenze per i procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio ha indotto i commentatori e molti tribunali a ritenere che la nuova legge potesse avere finalmente realizzato l'obiettivo prefissato e posto fine alla scissione della potestas iudicandi derivante dal tradizionale riparto tra giudice ordinario e giudice minorile.
In questa prospettiva, favorita dalla sopra descritta clausola finale "generale" rappresentata dall'alt. 4, 2° comma, si è sottolineata la portata ampia e generale del nuovo art. 155 c.c. e l'utilizzo di espressioni sintomatiche di una volontà aggregatrice (tale in particolare sarebbe l'avverbio "altresì" contenuto nella norma) che prescriva una decisione unica e contestuale su tutti gli aspetti relativi alla prole minore.
Non vi è stata, tuttavia, uniformità di vedute circa l'organo giudiziario nella cui competenza dovrebbe - in questa nuova chiave di lettura - essere concentrato il contenzioso.
In proposito, una tesi dichiaratamente "progressista" ha sostenuto che l'art. ili-bis c.c. dovrebbe considerarsi abrogato in quanto l'art. 155 c.c. costituirebbe ormai a tutti gli effetti l'unica norma regolatrice dell'affidamento (e ciò tanto per i figli nati all'interno del matrimonio quanto per i figli nati fuori di esso). La caducazione dell'alt, ili-bis c.c. avrebbe conseguentemente comportato anche il venir meno del richiamo a tale norma contenuto nell'alt. 38 disp. att. c.c, così che tutti i procedimenti relativi ai figli naturali sarebbero ormai appannaggio del giudice ordinario3.
...
Per continuare a leggere
RICHIEDI UNA PROVA