La ripartizione delle spese nel sistema normativo condominiale

AutoreNino Scripelliti
Pagine575-579

    Rielaborazione della relazione svolta al 17º Convegno del Coordinamento dei legali della Confedilizia svoltosi a Piacenza l'8 settembre 2007.


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@1. Premessa

- Il regime codicistico della comunione e del condominio traccia le linee di una disciplina sistematica, risalente e di non agevole adattamento alle nuove tipologie edilizie, della ripartizione delle spese nell'ambito della comunione e della comunità condominiale. I dati normativi di tale disciplina evidenziano la coesistenza e l'interazione di due linee guida, nessuna delle qualisembra avere prevalso nel diritto positivo, essendo piuttosto rimaste al livello dei principi ispiratori di norme, non sempre agevolmente coordinabili. Emergono infatti due diversi criteri di ripartizione delle spese: quello di maggiore e più intuitiva evidenza che consiste nel proporzionare l'entità della partecipazione alla quota di comproprietà delle parti comuni, a sua volta commisurata al rapporto di proporzionalità tra il valore della proprietà esclusiva ed il valore dell'intero edificio; ed il criterio della proporzionalità alla utilità ed all'uso che il comproprietario-condomino può trarre dalla parte comune. Va posto quindi il problema della interazione e del coordinamento dei due criteri dalla cui applicazione può discendere una diversa ripartizione degli oneri di mantenimento della comproprietà, non essendovi, infatti, una stretta correlazione tra entità della quota di comproprietà ed entità della facoltà di godere e di trarre utilità dal bene comune e, mutatis mutandis, dalle parti comuni condominiali delle quali propriamente si tratta nella presente nota.

Anche se a ben vedere, la misura di utilità ritraibile dalle parti comuni non è indifferente alla consistenza fisica delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, la quale rappresenta il dato elementare per la determinazione del valore venale evocato dagli artt. 1118 comma 1 e 1123 comma 1, e quindi il valore proporzionale espresso dalla tabella millesimale.

@2. I due criteri di ripartizione delle spese

- Alle radici del sistema normativo del quale si tratta si trova l'art. 1101 c.c. che, nel disciplinare la struttura elementare della proprietà collettiva o comproprietà e quindi la partecipazione alla comproprietà pro quota ideale a guisa di forma associativa, dispone (comma 2) che il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, avvenga in proporzione delle rispettive quote, salvo precisare di seguito (art. 1102, che disciplina specificamente l'uso della cosa comune) che ciascun partecipante può servirsene «purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto», con facoltà di apportarvi a proprie spese le modificazioni necessarie per il suo migliore godimento: norma dalla quale si evince che non esiste una stretta correlazione tra quota di partecipazione, oneri di manutenzione e misura del godimento della cosa comune 1. L'art. 1104 sotto la rubrica «obblighi dei partecipanti», conferma che ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune, ammettendo, a differenza delle regole del condominio, la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto 2. Per contro il rapporto di inscindibilità tra talune parti comuni essenziali all'esistenza dell'edificio e le parti di proprietà individuali, giustifica la norma di cui all'art. 1118, secondo la quale il condomino non può, rinunziando al diritto sulle parti comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione, con l'effetto di infliggere alla (tentata) rinuncia, la sanzione della totale inefficacia, e nella sostanza escludendo tale facoltà del condomino.

La disciplina condominiale della ripartizione delle spese ha la sua base nell'art. 1123, nel quale egualmente si riscontrano i due principi dei quali si è detto all'inizio: quello della proporzione al valore della proprietà individuale (comma 1) che, salvo diversa convenzione tra i condomini, assurge così a livello di regola generale 3; ed il principio subordinato (comma 2 e 3) della proporzione all'uso che ciascuno può fare 4 delle cose comuni, dettato per quelle destinate a servire i condomini in misura diversa. Per queste, il riferimento è da intendersi all'uso che ciascuno può farne 5 e quindi all'uso potenziale, più che a quello attuale 6.

Di questi principi la stessa normativa codicistica fornisce alcune applicazioni, la prima delle quali si rinviene nel comma 3 dello stesso articolo 1123 che conduce alle logiche conseguenze il principio della proporzione alla utilità dettato dal comma 2, prevedendo l'ipotesi dell'edificio che abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, nel quale caso le spese relative alla loro manutenzione saranno a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. Dal che discende il principio strettamente consequenziale, secondo il quale ad utilità zero corrisponde zero partecipazione alle spese.

Ulteriori norme sono egualmente applicative dei principi dettati dall'art. 1123: l'art. 1121, che disciplina le innovazioni gravose o voluttuarie alle partiPage 576 comuni, per le quali sia possibile, salvo eccezioni, l'utilizzazione separata e quindi una utilità differenziata, ammettendo l'esonero dei condomini dissenzienti e quindi non utilizzatori, da qualsiasi contributo nella spesa; l'art. 1124 che, quanto alla manutenzione e ricostruzione delle scale (e secondo la prevalente estensione giurisprudenziale, anche dell'ascensore), istituisce un criterio legale misto di partecipazione proporzionata tanto alla quota di comproprietà quanto alla utilità, questa ultima a sua volta desunta dall'altezza dal suolo della proprietà individuale servita dalle scale 7; l'art. 1125 che, quanto alle spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, esclude tali parti dalla proprietà generale attribuendole alle due proprietà individuali, sovrastante e sottostante, traenti diretta utilità dalla parte dell'edificio, ed in tal modo affermando una corrispondenza tra proprietà ed utilità; ed infine l'art. 1126 che, per i lastrici solari di uso esclusivo, dispone la nota regola della partecipazione per un terzo a carico dei condomini che ne hanno l'uso esclusivo e per i restanti due terzi, a carico di tutti i condomini dell'edificio «o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno»: La norma è di particolare interesse, in quanto ad una prima applicazione del criterio della utilità differenziata la cui applicazione, nel caso specifico, conduce alla stima juris et de jure nella misura di un terzo, del vantaggio a beneficio dei condomini diretti ed esclusivi utilizzatori del lastrico solare e quindi della loro partecipazione agli oneri di manutenzione, sembra far seguire nell'ambito dei proprietari individuali sottostanti ai quali sono attribuiti i due terzi da ripartire secondo le quote di comproprietà, una ulteriore distinzione in relazione alla loro collocazione sotto la proiezione del lastrico e quindi con riferimento alla primaria funzione di copertura.

In proposito si osserva anche che l'espressione della legge che fa riferimento alle unità immobiliari «a cui il lastrico solare serve», sembra limitare abbastanza artificiosamente la funzione della copertura del fabbricato alle unità immobiliari o alle loro porzioni ricadenti sotto la parte di lastrico solare oggetto di manutenzione, con apparente effetto di una doppia applicazione del principio della utilità, prima nell'ambito dell'intero ceto condominiale, e successivamente nell'ambito delle proprietà sottostanti, distinguendo quelle ricadenti sotto la proiezione del lastrico 8. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una interpretazione non condivisibile (sulla funzione unitaria di protezione svolta dalla copertura, si veda infra).

È invece da escludere l'influenza di diversi fattori, quali il tipo di uso e la destinazione concreta della unità immobiliare, che non costituisce una condizione permanente dell'immobile ed è soggetta a variazioni, ed il numero delle persone residenti nella unità immobiliare o utenti della stessa (familiari del condomino o del conduttore nel caso di uso abitativo, dipendenti o clienti nel caso di uso non abitativo): in proposito Cass. 12 gennaio 2007 n. 432.

@3. Il servizio reso dalle parti comuni dell'edificio, loro godimento ed utilità

- La presenza di casi tipici, sopra indicati, di valutazione legale dei vantaggi differenziati, ma derogabile ex art. 1138 comma 4, di differenti utilità di talune parti comuni, non impedisce all'autonomia condominiale di procedere al coordinamento dei due criteri, individuando casi atipici di differenti utilità e facoltà di uso che i condomini possono ricevere da altre parti comuni dell'edificio. Quanto alla funzione delle parti comuni occorre distinguere l'utilità naturale che talune di quelle enumerate dall'art. 1117 c.c. forniscono solo per effetto della loro esistenza e della loro funzione nell'ambito della struttura dell'edificio, dalla utilità per la quale si richiede l'uso attivo e la cooperazione da parte dei condomini. Nel primo caso si tratta delle funzioni strutturali e statiche svolte da un complesso di elementi del fabbricato, quali il terreno sul quale poggia l'edificio, le mura e le strutture portanti, le mura perimetrali comunque concorrenti alla definizione del volume dell'edificio anche sotto l'aspetto urbanistico, la copertura-tetto svolgente funzione protettiva del compendio immobiliare rispetto all'esterno, le aree scoperte comuni. Per queste parti condominiali più che di uso si può parlare di utilità essenziale per il mantenimento della consistenza dell'edificio condominiale, fornita a tutte le unità immobiliari in conformità della natura e della funzione originaria della parte...

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