Riparazioni antieconomiche: annosa questione

AutoreAlfonso Attianese
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La pregevole sentenza del Tribunale di Cremona offre lo spunto per tornare sull'annosa questione delle cosiddette «riparazioni antieconomiche», il cui costo cioè sia superiore al valore ante-sinistro di un autoveicolo di vecchia costruzione o di esiguo valore commerciale.

Secondo parte della giurisprudenza di merito, in tali casi il creditore, che provveda ugualmente a far riparare l'autovettura danneggiata, non avrebbe diritto a ottenere la somma sborsata per ottenere il ripristino della stessa, ma dovrebbe accontentarsi della minor somma corrispondente al prezzo di mercato del bene danneggiato, giacché al risarcimento in forma specifica «non può farsi luogo (art. 2058, comma secondo, c.c.) quando esso risulti eccessivamente oneroso per il debitore».

La tesi de qua sembra trovare apparente conforto nella sentenza n. 2402/98 della Cassazione civile. Tuttavia, leggendo la motivazione di tale sentenza (pubblicata in questa Rivista 1998, 566) ci si accorgerà che il caso in allora esaminato dal Supremo Collegio (il proprietario della vecchia autovettura non aveva provveduto alla sua riparazione, né aveva provato l'effettivo danno patito, avendo fondato la sua pretesa sulla semplice esibizione di un preventivo, a fronte di un altro preventivo, per un costo inferiore, prodotto dal convenuto assicuratore) era radicalmente diverso da quello deciso dal Tribunale di Cremona, e che i giudici di merito (il cui operato fu ritenuto incensurabile dalla Cassazione), respingendo la domanda, avevano voluto impedire che il sinistro si risolvesse in un indebito arricchimento per il danneggiato, il quale, invece di utilizzare il tantundem assegnatogli dal giudice per provvedere alla riparazione del veicolo, ben avrebbe potuto disporre della somma liquidatagli nel modo che avesse ritenuto più conveniente.

Ciò posto, va riconosciuto che, se funzione propria del risarcimento è quella di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'effetto lesivo, la misura del danno non può subire il limite rappresentato dal valore di scambio del bene danneggiato, ma deve essere ragguagliata all'intero pregiudizio subito dal creditore (C.C. 88/6856, 79/1066, 76/3109, 76/857, 74/619).

In effetti, come ricordato la migliore dottrina (v., da ultimo, FRANZONI, in Comm. Scialoia-Branca 1993, p. 826 ss.) e la giurisprudenza (v. per tutte, Cass. civ. 17 febbraio 1979 n. 1066), tra il criterio oggettivo (...

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