Le riforme costituzionali dopo il referendum del 25 e 26 giugno 2006

AutoreSaulle Panizza/Andrea Pertici
Pagine121-137

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    Il presente scritto è stato pensato ed elaborato congiuntamente dai due autori. Saulle Panizza ha poi materialmente scritto i paragrafi 1, 2, 4, 4.1, 4.2; Andrea Pertici ha invece scritto i paragrafi 3, 5, 5.1, 5.2,5.3, 6, 7.

@1. Introduzione

Per affrontare il tema della revisione costituzionale dopo il referendum del 25 e 26 giugno 2006, si impone, in via preliminare, qualche rapido cenno sulle tappe percorse lungo questa via nel nostro ordinamento.

La natura "programmatica" della Costituzione del 1948 fu alla base, com'è noto, di una lunga serie di "stagioni", dalla non attuazione dei primi anni di vita, alla fase di attuazione durante il centro-sinistra (tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta), all'affacciarsi dell'idea di revisione della Costituzione, per poi assistere all'inaugurazione della stagione dei tentativi di riforma in deroga all'art. 138, Cost. (con le leggi istitutive della "bicamerale De Mita-Iotti", nel 1993, e della "bicamerale D'Alema", nel 1997), intervallate dall'approvazione di alcune leggi di revisione.

L'epoca a noi più vicina non ha, poi, mancato di evidenziare anche altri fenomeni preoccupanti, allorquando la modifica costituzionale si è, per così dire, travestita da attuazione in via ordinaria (si pensi, solo per fare un esempio, alla riforma dell'ordinamento giudiziario, su cui v. in questo volume, il contributo di F. Dal Canto e T. Giovannetti), o ancora quando è invalsa la tendenza - ed è la storia, o la cronaca se si preferisce, delle due ultime legislature concluse (la XIII e la XIV) - di addivenire a modifiche di parti consistenti della Costituzione "a colpi di maggioranza", ciò che ha indotto a chiedersi se il procedimento di cui all'art. 138, Cost., con il ruolo in esso assegnato all'eventuale referendum popolare e con le maggioranze ivi previste, possa risultare ancora idoneo.

Il primo elemento cui prestare attenzione, nell'occuparsi delle riforme costituzionali, quindi, concerne proprio il profilo più strettamente procedimentale delle stesse, che - come ovvio - influisce inevitabilmente anche sul merito delle stesse. Page 122

@2. Revisione costituzionale e procedimento dell'art. 138, Cost

Il problema che al riguardo si pone, in via preliminare, è se l'art. 138, Cost. e il procedimento in esso descritto siano o meno modificabili.

In assenza di una esplicita dichiarazione della Costituzione di considerare il punto come immodificabile, eventuali limiti dovrebbero ricavarsi dal sistema in modo implicito. La sua ratio, del resto, non sembra quella di rendere pressoché impossibile, o comunque estremamente difficoltosa, la revisione costituzionale, bensì di tutelare alcuni valori ponendo regole attraverso cui se ne preservi la rigidità. Così, in coerenza con la più generale scelta fatta in favore della democrazia rappresentativa, si è voluto che il soggetto titolare del potere di revisione fosse il Parlamento e che si richiedesse una compiuta ponderazione degli effetti connessi alla decisione di operare una revisione costituzionale (doppia deliberazione e a distanza di tempo), con il necessario coinvolgimento di una maggioranza più ampia rispetto a quella necessaria per l'approvazione di una legge ordinaria e comunque con strumenti a tutela della minoranza, la quale, appellandosi al corpo elettorale, ha la possibilità di bloccare una legge di revisione costituzionale, pur se approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti le due assemblee parlamentari. Nel rispetto di questi principi, si ritiene da più parti possibile una modifica della disposizione, anche se, per il carattere autoreferenziale della stessa, non si potrà prescindere, per farlo, dall'osservanza del procedimento da questa delineato, pur quando, al limite, si trattasse di doverlo applicare per l'ultima volta.

In questa ottica, l'innalzamento della maggioranza richiesta per la revisione costituzionale, da talune parti avanzato, anche in passato, pareva coerente con il passaggio da un sistema elettorale di tipo proporzionale (che, come risulta da specifici e inequivocabili interventi dei costituenti, fu tenuto a base nel fissare le maggioranze indicate nell'art. 138, Cost.) a uno prevalentemente maggioritario. Quest'ultimo, peraltro - come noto - è stato nuovamente modificato con l. 270/2005 (su cui, in questo volume, v. il saggio di A. Pertici), la quale, tuttavia, prevedendo il "premio di maggioranza" altera comunque il principio di rappresentanza proporzionale e parrebbe, quindi, mantenere inalterata l'opportunità di un innalzamento delle maggioranze richieste dall'art. 138, Cost.

Tuttavia, le recenti vicende non mancano di suscitare un interrogativo più profondo, che origina dalla preoccupazione, per il significato stesso e il valore che la Costituzione deve avere nel sistema, che si dia la possibilità che una maggioranza approvi la "propria" revisione costituzionale, specie se "organica". Appare chiaro, in questi casi, un effetto di scadimento della Costituzione, e dunque del testo cui si lega strettamente il senso di continuità e di stabilità dell'ordinamento giuridico. L'auspicio e l'esigenza di far sì che ciò non accada assumono un rilievo ancora più pressante di fronte al continuo mutare delle maggioranze di governo, e sono ulteriormente rafforzati alla luce della grave difficoltà, oggi più che mai evidente, di addivenire alla necessaria stabilizzazione dei rapporti (specie tra Stato e Regioni), conseguente alla revisione costituzionale del titolo V della parte II e ai successivi provvedimenti di attuazione, e che richiede un tempo non breve per il formarsi di una giurisprudenza costituzionale sui tanti aspetti controversi.

C'è, allora, chi ha sollevato il dubbio che per un intervento di riforma organica della Costituzione si debba pensare all'introduzione di un procedimento particolare, prevedendosi la necessità di una più alta maggioranza ed eventualmente un ricorso al referendum in un significato diverso rispetto a quello, di strumento di minoranza, che gli è stato attribuito dai costituenti (ma il c.d. "paradosso delle riforme di garanzia", vale a Page 123 dire la considerazione che queste dovrebbero necessariamente essere approvate con l'apporto di quelle stesse forze politiche che, essendo in un certo momento maggioranza, potrebbero non mostrare particolare interesse all'elevazione dei quorum così come all'affermazione e valorizzazione delle strutture e degli strumenti di garanzia, pone seri interrogativi di fattibilità). Per altro verso, non si dovrebbe comunque dimenticare la continua tensione che il testo costituzionale ha subito negli ultimi quindici anni, epoca in cui il reiterato "parlare" di riforme ha finito, inevitabilmente, per produrre un effetto di indebolimento di esso, almeno agli occhi di una certa parte della pubblica opinione.

@3. L'apertura della XV legislatura: dalla contrapposizione alla disillusione?

La XV legislatura, in particolare, si è aperta quando ancora era pendente uno dei più ampi tentativi di riforma costituzionale della storia repubblicana. Infatti, come noto, nella XIV legislatura il secondo Governo Berlusconi si era fatto direttamente promotore di una riforma costituzionale dell'intera parte II della Costituzione (su cui v. anche, in questo volume, l'Introduzione di S. Panizza e R. Romboli), approvata da entrambe le Camere con i voti delle sole forze politiche di maggioranza. Su quel testo, quindi, era stato chiesto il referendum popolare, svoltosi il 25 e 26 giugno 2006, e che ha determinato la bocciatura della riforma (con il 61,3% di "NO" contro il 38,7% di "SÌ").

Tralasciando ogni considerazione sul merito della riforma, preme in questa sede sottolineare come sia così naufragato un ulteriore tentativo di riforma organica della Costituzione, dopo i (diversamente prodottisi) fallimenti delle commissioni bicamerali per le riforme. Questo pare avere creato, almeno per il momento, una certa difficoltà nel riprendere un percorso di riforme costituzionali, sulla cui necessità, relativamente a specifici aspetti, si è comunque registrato un certo riavvicinamento almeno tra alcune delle forze politiche dei due (principali) schieramenti sin dall'ultima fase della campagna referendaria. Lo stesso Presidente della Repubblica Napolitano, peraltro, ha più volte (e sin dal discorso pronunciato in occasione del giuramento) invitato le forse politiche di entrambi gli schieramenti a riprendere le riforme costituzionali, senza naturalmente indicare elementi di merito, ma sottolineando, invece, la necessità di procedervi attraverso la ricerca dell'accordo tra la maggioranza e l'opposizione.

Il punto della situazione, peraltro, risulta tracciato con una certa chiarezza dal Presidente della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, on. Luciano Violante, nella sua "introduzione alla riunione dell'ufficio di presidenza" della Commissione stessa, all'indomani del referendum costituzionale (il 4 luglio 2006), e dal ministro senza portafoglio per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, on. Vannino Chiti, in alcune audizioni svolte presso le Commissioni affari costituzionali delle due Camere sempre nel periodo immediatamente successivo alla consultazione popolare (tra il 12 e il 26 luglio 2006).

Il Presidente Violante parte dalla considerazione dell'ennesimo fallimento di un tentativo di riforma costituzionale per sostenere la necessità di "prendere atto che è diventato non più utile e del tutto improponibile il modello stesso di Grande Riforma come innovazione radicale e contestuale di parti fondamentali della Costituzione [...]: le grandi riforme cadono sotto il loro stesso peso e sotto la loro eccessiva complessità". Tuttavia, si sottolinea la "necessità di riavviare il processo di riforma", con metodo condiviso tra maggioranza e opposizione e la conseguente partecipazione "anche di parti politiche estranee, per ragioni storiche, al patto del 1948", e l'allargamento del dialogo "in forme per noi nuove...

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