Riforma delle locazioni ad uso abitativo e costituzione

AutoreVittorio Angiolini
Pagine3-7

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@1. I risvolti costituzionali della L. 9 dicembre 1998 n. 431.

Il rinnovamento della legislazione sulle locazioni abitative, avviato con la L. 9 dicembre 1998 n. 431, sottintende una diversa (re)impostazione dei problemi anche a livello costituzionale.

Già assai prima dell'avvento del cd. «equo canone» un costituzionalista italiano di formazione nord-americana, B. LEONI (Freedom and the law, 1961, 112 ss.), menzionava la nostra legislazione vincolistica sulle locazioni immobiliari per esemplificare la tendenza, da lui reputata caratteristica dell'Italia e più latamente dell'Europa continentale, a rinunciare alla soluzione di problemi socio-economici mediante l'utilizzazione dell'autonomia privata, per consegnarla alla legge come frutto della politica. Bisogna però aggiungere che l'evoluzione legislativa successiva ha superato l'immaginazione di LEONI. Sebbene la Corte costituzionale abbia per lunga pezza considerato la legislazione vincolistica sulle locazioni immobiliari come un regime di «eccezione», da taluno addirittura classificato come propriamente di «emergenza», e dunque derogatorio e temporaneo (cfr. P. PINNA, L'emergenza davanti alla Corte costituzionale, in Giur. cost., 1982, 592 ss.), le cose sono mutate ulteriormente con la L. n. 392 del 1978, di cui fu subito evidente a dottrina e giurisprudenza del diritto privato l'ambizione a porsi in veste di disciplina generale e stabile della materia.

La L. n. 392 del 1978 difatti non era valutabile, in termini giuridici, semplicemente come imposizione di vincoli assai estesi all'autonomia contrattuale del conduttore e soprattutto del proprietario in veste di locatore; ciò che si è fatto, nella legge ed ancor più nelle sue fin troppo conseguenti applicazioni giurisprudenziali, è di cancellare in linea di principio, dal settore delle locazioni abitative, l'autonomia contrattuale, lasciando alle parti del rapporto soltanto esigui spazi di «discrezionalità». Si è parlato al riguardo di tutela del «contraente debole», giustificata dalla «funzione sociale» della proprietà dell'art. 42 Cost. Questa rappresentazione della questione è, però, insufficiente a dar conto di quanto accaduto, anche in giurisprudenza: qui non si è trattato di limiti a ciò di cui le parti possono disporre, per assicurare ulteriori finalità dell'ordinamento oppure per impedire che, nell'esercizio di una persistente regolazione autonoma del rapporto, uno dei contraenti potesse sopraffare l'altro, rompendo l'equilibrio del rapporto singolarmente preso; si è trattato piuttosto di togliere in linea di principio l'autonomia contrattuale al proprietario-locatore, e con esso fatalmente anche all'altra parte del rapporto.

L'art. 79 della L. n. 392 del 1978, il quale comminava la nullità di ogni pattuizione recante al locatore un «vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge» è stato per lo più interpretato, anche in giurisprudenza, non solo nel senso di rendere imperative la generalità delle regole e dei principi dettati dal legislatore, bensì anche nel senso di stabilire un esercizio del potere di addivenire ad una pattuizione vincolante per così dire a senso unico: in buona sostanza, si è immaginato che il proprietario-locatore non potesse e dovesse strappare dalla disciplina del rapporto altri «vantaggi» che quelli ad esso espressamente conferiti ex professo dal legislatore, conformando per il resto ogni suo atto o comportamento alle finalità tipizzate dalla legge.

Il che corrisponde, più che a ciò che i giuristi chiamano «autonomia contrattuale privata», a ciò che essi, di solito con precipuo riferimento ai poteri della pubblica amministrazione, chiamano «discrezionalità». Lo schema tradizionale dell'autonomia privata, per cui la disciplina del rapporto pattuita nel contratto ha in sè la ragione del suo essere giuridicamente vincolante tra chi lo ha stipulato, giacché si dà per scontato che il contratto medesimo sia frutto dell'incontro di due parti presupposte eguali, pur entro i confini previamente tracciati dal diritto, è venuto meno; ad esso si è sostituita una disciplina del rapporto che riconosceva nel proprietario-locatore un'«autorità», e cioè non un soggetto libero, di cui frenare taluni eccessi, bensì un soggetto la cui posizione fosse da tenere costantemente sotto controllo quanto alle finalità perseguite, perché posta su di un piano diverso, e mai comparabile, alla posizione del conduttore con cui entrava in contatto.

Le premesse culturali, anche di indole costituzionale, di questo assetto sono notissime. Esse possono essere racchiuse nell'assunto che l'attività del proprietario che dà in locazione un'abitazione non sia propriamente un'attività economica produttiva di un servizio, di cui garantire la libera esplicazione, anche attraverso il contratto e con la salvaguardia dei «fini sociali», secondo i principi dell'art. 41 Cost., bensì sia riscossione di una rendita passivamente ricavata dal bene, direttamente e pressoché indefinitamente comprimibile dal legislatore a protezione del conduttore, quale appunto soggetto «debole», in nome della «funzione sociale» dell'art. 42 Cost.

Dietro questa lettura dei fatti, prima che dietro a tale interpretazione costituzionale, c'è anche un'istanza «ideologica», la quale, ovviamente, non interessa discutere; quello che interessa è, invece, constatare che questa logica sembra trovare una secca smentita nella L. n. 431 del 1998, la quale, oltre a ripristinare una qualche autonomia contrattuale nella disciplina delle locazioni abitative, riducendo il novero delle regole imperative, sembra proprio volere il contratto, ossia una pattuizione vincolante per sè tra due soggetti i quali, sebbene entro una cornice di vincoli tesi anche ad evitare uno squilibrio accentuato del tipo del rapporto, siano concepiti in via di principio su di un piano di parità. Il che richiama una lettura diversa della Costituzione. Ciò che viene «funzionalizzato», o meglio «indirizzato» a «fini sociali», non è tanto ciascun rapporto di locazione e quindi la posizione di ciascun proprietario nella sua individualità, per gli effetti dell'art. 42 Cost., ma è lo svolgimento delle contrat-Page 4tazioni per le locazioni abitative nel suo insieme, nelle sue risultanze finali di sistema (un economista direbbe, forse, di «mercato»); sicché, una volta soddisfatti tali vincoli posti complessivamente al tipo del contratto per la realizzazione dei «fini sociali», ogni proprietario ed ogni conduttore torna libero di autodeterminarsi, perché, evidentemente, si riconosce un valore apprezzabile all'autonomia contrattuale di chi dà in locazione, come attività economica che produce un servizio ex art. 41 Cost.

È perciò significativo che la L. n. 431 del 1998, sino dall'intitolazione, non rechi più tracce di una sua complementarietà o posizione ancillare alla L. n. 392 del 1978, come viceversa è accaduto con la pregressa legislazione su «patti in deroga» (i quali appunto erano «in deroga» al cd. «equo canone»): la L. n. 431 del 1998, e lo stesso art. 1 ne è l'attestazione, ha voluto ridefinire, discostandosi dalla legislazione anteriore, la disciplina delle locazioni ad uso abitativo per...

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