Riforma del875-885 processo civile e controversie di infortunistica stradale

Autoredi Pierlorenzo Diso
CaricaAvvocato, Foro di Lecce
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@1. Premessa.

– La recente riforma del processo civile, contenuta nella legge 18 giugno 2009, n. 69 (in G.U. 19 giugno 2009 n. 140, S.O. 95/L, in vigore dal 4 luglio 2009), ha toccato ogni grado di giudizio (primo grado innanzi al giudice di pace e al tribunale, appello, cassazione) e ogni tipologia procedimentale (cautelare, cognizione, esecuzione).

La ratio legis appare complessivamente quella di razionalizzare e semplificare lo svolgimento dei processi, così da sveltire i tempi di definizione degli stessi e dare risposte celeri alla crescente domanda di giustizia dei cittadini.

Ponendosi come novella di carattere generale, il summenzionato intervento legislativo interessa anche il particolare e delicato settore delle controversie in materia di circolazione e sinistri stradali. All’interprete è demandato il compito di individuare quelle norme della riforma che più direttamente incidono in esso. Verranno di seguito esaminate le principali novità contenute nella riforma, come primo approccio a scopo prevalentemente informativo.

@2. Difetto di giurisdizione, incompetenza, litispendenza e continenza.

@@2.1. La nuova disciplina del difetto di giurisdizione.

– L’art. 59 L. 69/09 ha introdotto la nuova disciplina concernente la decisione delle questioni di giurisdizione, tema che solo marginalmente riguarda il settore delle controversie in materia di circolazione e sinistri stradali.

La nuova normativa ha una collocazione extracodicistica; in sede applicativa, si porrà, quindi, il problema del coordinamento con la disciplina codicistica già esistente, con particolare riferimento al regolamento di giurisdizione (art. 41 c.p.c.).

Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione è vincolante per il giudice e per le parti anche in altro processo

(art. 59 comma 1 L. 69/09).

Viene assegnato un termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui sopra per riproporre la domanda al giudice ivi indicato. Se la domanda viene riproposta, le parti sono vincolante all’indicazione. Sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio.

Restano ferme le preclusioni e le decadenze processuali intervenute. La domanda va riproposta con le modalità e le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile (art. 59 comma 2). Dal tenore della norma, invero, non appare chiaro se, per effetto della riproposizione della domanda, si determini una translatio judicii o una vera e propria rinnovazione del processo davanti al giudice munito di giurisdizione.

Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate nel processo le Sezioni Unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio con ordinanza tale questione davanti alle medesime Sezioni Unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito, ferme restando le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione (art. 59 comma 3).

La mancata riassunzione o prosecuzione del giudizio nei termini previsti, comporta l’estinzione del processo che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda (art. 59 comma 4).

Se la domanda proposta al giudice privo di giurisdizione viene riproposta a quello munito di giurisdizione, le prove raccolte davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova dal giudice munito di giurisdizione (art. 59 comma 5).

@@2.2. La disciplina dell’incompetenza.

– Per effetto dell’art. 45 comma 2 L. 69/09 viene modificato l’art. 38 c.p.c. relativo all’incompetenza.

L’incompetenza per materia, valore e territorio deve essere eccepita nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, a pena di decadenza.

L’eccezione di incompetenza per territorio deve contenere anche la indicazione del giudice che la parte ritiene competente, altrimenti si ha per non proposta (art. 38 comma 1).

Fuori dei casi di competenza territoriale derogabile, quando le parti costituite aderiscono alla indicazione del giudice competente per territorio, laPage 876competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo (art. 38 comma 2).

L’incompetenza per materia, per valore e per territorio derogabile sono rilevate d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. (art. 38 comma 3).

Le questioni di competenza sono dicise in base alle risultanze degli atti processuali e, quando si renda necessario per l’eccezione del convenuto o il rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni (art. 38 comma 4).

Ma la novità più saliente in tema di incompetenza è che la relativa declaratoria – per effetto dell’art. 45 comma 4, comma 5 lett. b) e comma 6 lett. a) della L. 69/09, nonché dell’art. 46 comma 9 lett. a) e lett. b) della L. 69/09 – deve essere pronunciata dal giudice adito (monocratico o collegiale) con ordinanza, e non più con sentenza; ordinanza impugnabile con regolamento di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c.

@@2.3. La disciplina della litispendenza e della continenza.

– Per effetto dell’art. 45 comma 3 L. 69/09 che ha modificato l’art. 39 c.p.c. anche la litispendenza e la continenza vanno dichiarate con ordinanza, impugnabile col regolamento di competenza.

La prevenzione della causa è determinata dalla notifica della citazione o dal deposito dal ricorso.

@3. L’intervento sui termini processuali, la disciplina delle spese e la sanatoria dei vizi di rappresentanza e assistenza.

@@3.1. Le modifiche ai termini processuali.

– Nell’ottica di accelerazione dei tempi del processo si pongono le numerose modifiche ai termini processuali, che gravano però soltanto sulle parti private, mentre sembrano non toccare gli uffici.

Per l’art. 45 comma 6 lett. b) L. 69/09 che modifica l’art. 50 c.p.c. la riassunzione della causa a seguito di regolamento di competenza deve avvenire entro tre mesi, non più entro sei mesi.

L’art. 46 comma 11 modifica l’art. 296 c.p.c. relativo alla sospensione del processo su istanza delle parti, portando il relativo termine da quattro a tre mesi. Trattasi, peraltro, di norma preossoché disapplicata nella prassi, stante la lunghezza dei rinvii delle cause ben superiori al termine ivi previsto.

L’art. 46 comma 12 L. 69/09 modifica l’art. 297 comma 1 c.p.c. portando da sei a tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all’art. 3 c.p.p. o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’art. 295 c.p.c., il termine entro il quale le parti debbono chiedere la prosecuzione del giudizio.

L’art. 46 comma 14 L. 69/09 modifica l’art. 305 c.p.c. portando da sei a tre mesi dall’interruzione il termine perentorio entro il quale il processo interrotto deve essere proseguito o riassunto, pena l’estinzione.

L’art. 46 comma 15 L. 69/90 modifica l’art. 307 comma 1 c.p.c. portando da un anno a tre mesi il termine per la riassunzione del processo in caso di mancata costituzione delle parti dopo la notifica dell’atto introduttivo o di cancellazione della causa dal ruolo disposta dal giudice nei casi previsti dalla legge;il termine decorre dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell’art. 166 c.p.c., se nessuna delle parti si è costituita, ovvero dalla data del provvedimento di cancellazione del giudice, pena l’estinzione del processo per inattività delle parti. È fatto salvo il disposto degli artt. 181 c.p.c. e 290 c.p.c.

Il processo, una volta riassunto a norma dell’art. 307 comma 1 c.p.c., si estingue se nessuna delle parti si costituisce, ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo (art. 307 comma 2 c.p.c.).

Quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine per rinnovare la citazione, proseguire, riassumere o integrare il giudizio, detto termine non può essere inferiore a un mese, né superiore a tre (art. 307 comma 3 c.p.c.). Se le parti non compiono l’attività processuale loro demandata (rinnovazione della citazione, prosecuzione, riassunzione o integrazione del giudizio) nel termine previsto dalla legge o fissato dal giudice, il processo si estingue.

Per il contenuto innovativo dell’art. 307 comma 4 c.p.c. v. infra par. 8.4.

L’art. 46 comma 19 L. 69/09 modifica l’art. 353 c.p.c. (ma vedi anche gli artt. 354 c.p.c. e 383 c.p.c.) per il quale, nel caso in cui il giudice di appello riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice. Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi – non più di sei mesi – dalla notificazione della sentenza.

Infine, l’art. 46 comma 21 L. 69/09 interviene sull’art. 392 c.p.c.modificando il termine entro il quale va fatta da ciascuna delle parti la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio: il nuovo termine è di non oltre tre mesi – in luogo del vecchio termine di un anno – dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione.

Sulla modifica dell’art. 372 c.p.c. si dirà più avanti al par. 8.6.

In rispondenza all’abrogazione dell’art. 184 bis c.p.c., ad opera dell’art. 46 comma 3 L. 69/09, è stato aggiunto dall’art. 45 comma 19 L. 69/09 all’art. 153 c.p.c. un comma finale per il quale la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in...

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