Riflessioni sulla compatibilità tra la struttura del reato di cui all’art. 416 Bis C.P. Ed I sodalizi criminali di matrice etnica

AutorePaola Scevi

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1. L’applicabilità della fattispecie di associazione mafiosa ai sodalizi criminali di matrice etnica. Profili generali

La fattispecie di cui all’articolo 416 bis c.p., relativa alle associazioni di tipo mafioso, è stata modificata dalla l. 24 luglio 2008, n. 125, in sede di conversione del d.l. 23 maggio 2008, n. 92 (“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”) con l’intento, da un lato di rendere più rigoroso il trattamento sanzionatorio, e d’altro lato di estendere l’applicabilità della norma incriminatrice anche alle associazioni straniere (inserendo nel corpo del disposto normativo l’espressione “anche straniere”, tanto nella rubrica, quanto nell’ultimo comma).1

L’applicabilità della fattispecie di associazione mafiosa ai sodalizi criminali di matrice etnica richiede un’analisi dei requisiti ai quali l’art. 416 bis c.p. condiziona l’applicazione della fattispecie stessa, nonché una disamina dell’ultimo comma dell’art. 416 bis, onde valutare la compatibilità tra la struttura del reato in esame ed i moduli organizzativi della criminalità straniera.

È necessaria al riguardo una considerazione preliminare. Prima dell’entrata in vigore della l. 13 settembre 1982, n. 646,2 l’applicabilità dell’art. 416 c.p. nei confronti della fenomenologia criminosa di stampo mafioso era controversa in dottrina3; la giurisprudenza, d’altra parte, era orientata in senso positivo.4

L’esigenza di risolvere il nodo interpretativo della sussumibilità delle realtà associative di mafia nella fattispecie dell’associazione per delinquere, nonché quella di rendere più efficace la repressione di questa forma di criminalità è dunque all’origine della legge Rognoni-La Torre.

Il legislatore del 1982 tipicizza l’associazione di tipo mafioso, differenziandola dall’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. mediante un criterio definitorio, contenuto nel terzo comma dell’art. 416 bis, facente leva sia sui mezzi usati, il ricorso al metodo mafioso, sia sulle finalità perseguite dagli associati di mafia, ivi descritte e che devono essere intese in senso alternativo e non cumulativo.

La norma costituisce una specificazione della fattispecie generale di associazione per delinquere,5 in quanto definisce associazioni connotabili in forza delle loro peculiari modalità operative, nonché della loro già avvenuta acquisizione di un potere di controllo diffuso in seno alla collettività interessata, conseguente all’uso della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.

La disposizione in esame risente di una tipizzazione del metodo mafioso basata su parametri socio-criminologici, desunti dalla elaborazione giurisprudenziale intervenuta in tema di misure di prevenzione e prescinde dal riferimento ad un’area geografica, come si evince dalla lettera dell’ultimo comma dell’art. 416 bis c.p., anche nella sua originaria formulazione.

Occorre inoltre evidenziare che il fatto associativo tipizzato dall’art. 416 bis c.p., è da distinguere nettamente dall’accordo di più soggetti a commettere illeciti, la cui non punibilità è espressamente sancita dall’art. 115 c.p.L’incriminazione dell’accordo, invero, dovrebbe legarsi sul piano sanzionatorio al reato che ne costituisce oggetto e, in caso di commissione dell’illecito, la pena relativa dovrebbe assorbire quella riferita all’accordo stesso.

Diversamente, nel caso dell’associazione, la sanzione prescinde dalla realizzazione dei delitti scopo, talché si è posto in luce come il fatto dell’associazione sia già portatore di un autonomo disvalore, che conferisce alla disposizione un substrato di materialità tale da escludere un contrasto con gli artt. 18 e 25 Cost. e da permettere una sua distinzione nei confronti delle ipotesi di concorso nel reato continuato.6

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Quanto alla distinzione tra accordo non punibile ex art. 115 c.p. e associazione, l’elemento discretivo è stato individuato nel concetto di organizzazione. La dottrina ha enucleato una nozione di organizzazione, idonea a sostanziare il concetto di associazione, facendo leva sull’inciso “per ciò solo” - a cui è subordinata la configurabilità dell’archetipo punito dall’art. 416 c.p. - che fa derivare la punibilità dalla mera esistenza del sodalizio, indipendentemente dalla realizzazione dei delitti scopo. Il concetto di associazione si contraddistingue nella “idoneità ad articolarsi in ruoli e competenze che non si identificano con le attività connesse alla realizzazione dei singoli delitti risultando al contrario predisposte in vista di un programma criminoso generico, è proprio in questa caratterizzazione che risiede la natura potenzialmente permanente della organizzazione criminosa”.7

In ordine alla distinzione tra delitti associativi e concorso nel reato continuato che costituisce da sempre un problema nodale nella esperienza applicativa, va considerato che può esservi associazione per delinquere senza che i delitti commessi siano uniti da un vincolo di continuazione - quando vi sia soltanto un generico programma criminoso -, così come può esservi un reato continuato commesso in concorso di persone senza associazione per delinquere - allorché i soggetti abbiano agito per i diversi delitti con uno stesso disegno criminoso, ma senza creare alcuna struttura organizzativa permanente, ossia senza una predisposizione di mezzi (anche non particolarmente complessa).

Per quanto riguarda l’identificazione del bene giuridico tutelato, mentre il reato di cui all’art. 416 c.p. ruota intorno ad una nozione di ordine pubblico quanto mai fluida ed inafferrabile, inidonea a trovare adeguata concretizzazione a causa della genericità della fattispecie8 la particolare connotazione della fattispecie in esame, che si incentra sul metodo mafioso normativamente definito, ne ha reso meno controversa l’individuazione.

Il concetto di ordine pubblico viene utilizzato, com’è noto, in due diverse accezioni, una “ideale”, l’altra “materiale”. Nella sua accezione “ideale”, l’ordine pubblico rappresenta il complesso dei principi e delle istituzioni di un ordinamento ed è, in buona sostanza, sinonimo di ordine legale costituito. Nella sua accezione “materiale”, l’ordine pubblico viene tradizionalmente inteso nel senso di buon assetto e di regolare andamento della vita sociale nello Stato e se ne distinguono due componenti, una oggettiva, relativa alla pace sociale ed alla sicurezza dei singoli, ed una soggettiva, speculare alla prima, consistente nella pubblica tranquillità.9

Si è sostenuto in dottrina che i requisiti della forza di intimidazione e della conseguente condizione di assoggettamento e omertà sono tali da far emergere con nitidezza, quale bene giuridico tutelato dalla norma, una nozione di ordine pubblico materiale e non meramente ideale, la cui offesa effettiva deriva dai metodi utilizzati dal sodalizio10 al di fuori di qualsiasi schema di pericolo concreto o presunto.

Altra dottrina ravvisa per contro nell’art. 416 bis c.p. un reato di pericolo, in cui la lesione costituisce una mera eventualità connessa all’ipotesi, non necessaria per l’integrazione del delitto, che l’associazione inizi a sfruttare le proprie potenzialità.11

La fattispecie dunque “trova la propria oggettività giuridica nella libertà e nella tranquillità di un numero indeterminato di persone, conculcate in atto dall’utilizzazione del metodo mafioso”.12 Talché, diversamente rispetto ad altri reati associativi, qui il disvalore penale viene a radicarsi, più che sulle finalità criminose del sodalizio, sul metodo e l’apparato strumentale dello stesso.13 Si incrimina non il mero fatto associativo, bensì un’organizzazione delinquenziale già avviata e consolidata e in quanto tale espressiva di un pregiudizio attuale ed operante per l’ordine pubblico: dunque non una semplice associazione “per delinquere”, ma un’associazione “che delinque”.14

La fattispecie ha carattere plurioffensivo, in quanto caratterizzata da un’attitudine a ledere, oltre all’ordine pubblico, e come talora si rileva, la libertà morale dei singoli e della pubblica amministrazione,15 altri interessi, ancorché in via mediata ed eventuale. Invero, il metodo mafioso, in quanto attuato in forma organizzata, ha una vasta capacità di condizionamento delle libere scelte di azione nei diversi campi della vita civile (politico, amministrativo, economico, sociale). Assume al riguardo particolare rilevanza l’ordine economico in generale, inteso come libertà di mercato e di iniziativa economica.16

2. Requisiti ai quali l’art. 416 bis. c.p. condiziona l’applicazione della fattispecie di associazione mafiosa

La definizione analitica dell’associazione di tipo mafioso contenuta nel terzo comma dell’art. 416 bis c.p. è imperniata sui requisiti della forza di intimidazione del vincolo associativo e conseguenti effetti di assoggettamento e di omertà, sul metodo mafioso - consistente nell’avvalersi della forza di intimidazione - nonché sull’individuazione delle finalità perseguite dagli associati.

L’elaborazione del concetto penalistico di associazione, maturata in relazione all’art. 416 c.p., viene recepita in sede di analisi dell’art. 416 bis c.p.; la dottrina prevalente invero ha evidenziato che i requisiti ricavabili dalla descrizione del metodo mafioso sono aggiuntivi e non sostitutivi rispetto ai tradizionali elementi costitutivi dell’associazione per delinquere.17

2.1 La forza di intimidazione del vincolo associativo La condizione di assoggettamento e di omertà deve essere conseguenza puntuale di una manifestazione attuale della forza di intimidazione del sodalizio criminoso.18

Occorre uno stato di sottomissione o succubanza psicologica, non momentaneo od occasionale, dell’aggregato sociale in cui opera il sodalizio criminoso, mentre l’elemento dell’omertà, ossia il rifiuto generalizzato a collaborare con

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l’Autorità statale, manifestato con favoreggiamenti, testimonianze false e reticenti, vale più ad evidenziare una specifica...

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