Brevi riflessioni in tema di nomina alle cariche sociali nell'impresa sociale

AutoreCaterina Luisa Appio
Pagine3-20
Caterina Luisa Appio
Brevi riessioni in tema di nomina alle cariche sociali
nell’impresa sociale
S: 1. Premessa. – 2. La nomina delle cariche sociali nelle imprese sociali: le cause legali d’ineleggi-
bilità. – 3. Le cause statutarie d’ineleggibilità. – 4. La nomina delle cariche sociali negli “enti associa-
tivi”. La regola generale. – 5. Segue. I «soggetti esterni» all’organizzazione che esercita l’impresa socia-
le. – 6. Segue. La clausola di salvezza: le norme legali e statutarie previste per i singoli tipi di enti e il
giudizio di compatibilità con la «sua» natura dell’ente prescelto.
1. Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 1551, l’impresa sociale è una quali-
ca che può essere attribuita a qualsivoglia organizzazione privata, ivi compresa una
delle tipologie societarie contemplate nel libro V del codice civile, che eserciti una atti-
vità diretta a realizzare una nalità di interesse generale e che abbia i requisiti delineati
negli artt. 2, 3 e 4 del medesimo decreto.
Così facendo, il legislatore, piuttosto che disegnare una veste formale che funga da
contenitore giuridico, sì da ricomprendere tutti quei soggetti che intendano esercitare
un’impresa avente le caratteristiche innanzi elencate, ha preferito individuare uno status
che i diversi tipi di organizzazioni private2 possono assumere a condizione che rispettino
i suddetti caratteri3.
In particolare, il legislatore, anziché imbarcarsi in una denizione formale di ente
esercente un’impresa sociale, ha optato per una normativa a maglie larghe che, limitan-
dosi a dettare principi cardine inerenti la causa e l’oggetto dell’attività, ha ssato dei
paletti di tipo soggettivo, nel cui ambito far convivere i caratteri propri della qualica
“impresa sociale” con gli elementi del tipo organizzativo prescelto. E difatti, scorrendo
le varie disposizioni contenute nel decreto in esame, emerge che in molte di esse (in
particolare in quelle concernenti i proli di tipo organizzativo e gestionale) le regole
contemplate si applicano “in quanto compatibili” con quelle previste per il singolo tipo,
eletto a veste formale per lo svolgimento dell’attività di cui all’art. 14.
1 «Disciplina dell’impresa sociale a norma della legge 13 giugno 2005, n. 116».
2 Tuttavia, il riferimento alle “organizzazioni”, da intendersi come enti collettivi, e le formalità richieste per
la costituzione dall’art. 5 del decreto in esame inducono ad escludere che possano assumere la qualica di
impresa sociale le persone siche. Così per tutti R. C, L’impresa sociale: prime annotazioni esegetiche, in
Giur. comm., 2006, I, p. 861.
3 Sul punto v. M.V. D G, Introduzione, in La nuova disciplina dell’impresa sociale. Commentario al D.
Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, a cura di M.V. De Giorgi, Padova, 2007, p. 7, la quale evidenzia che il legisla-
tore ha in tal caso mostrato indierenza rispetto alla forma, optando per la tesi della neutralità.
4 Per un elenco completo delle disposizioni contenute nel decreto in esame che rinviano alle norme dettate
in sede di disciplina delle specie di organizzazione che ha assunto le sembianze di impresa sociale, cfr. V.
B, Può esistere un’impresa sociale?, in Giur. comm., 2006, I, p. 836. Sul punto v. altresì R. C,
op. cit., p. 863, il quale rileva che il rinvio ad un giudizio di compatibilità, ovvero la salvezza delle regole
previste per i singoli tipi utilizzabili per l’esercizio di una impresa sociale, conducono l’interprete a dubitare
del carattere di norma speciale altrimenti attribuibile alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 155/2006.
4 Studi in onore di Umberto Belviso
L’opzione legislativa prescelta è stata in prima battuta e da più parti salutata con
favore5, in quanto consente agli operatori del c.d. terzo settore di beneciare, da un lato,
dell’utilizzo di forme giuridiche, quali in particolare gli enti di cui al libro V del codice
civile6, generalmente non utilizzabili per il raggiungimento di nalità sociali; dall’altro,
della responsabilità limitata in riferimento a modelli organizzativi privi di autonomia
patrimoniale perfetta7.
La scelta di emanare una disciplina neutrale sotto il prolo tipologico non va, tut-
tavia, esente da critiche, posto che non sempre lo scopo delineato negli artt. 2 e 3, d.lgs.
n. 155/2006 si pone in automatica e perfetta sintonia con la disciplina della struttura
prescelta8, facendo così ricadere sull’interprete il niente aatto semplice compito di ve-
ricare la compatibilità fra qualica e veste giuridica9. In altri termini, non può con
certezza aermarsi che, per il sol fatto di non aver costretto l’impresa sociale in una rigi-
da armatura formale, gli scopi delineati nel decreto in esame siano senza eetti sulla
struttura organizzativa, rendendosi anche per questo aspetto necessario eettuare un
giudizio di compatibilità fra causa sottesa a tale nuova impresa e strumento eletto a con-
tenitore per lo svolgimento della stessa. Né, per altro, contribuisce a superare l’impasse il
fatto di aver individuato regole di contenuto ampio, trattandosi molto spesso di una
ampiezza che nisce per rendere le norme ingestibili da parte dell’operatore, costretto ad
una dicile opera di spola fra il signicato generalmente riconosciuto ad una determi-
nata nomenclatura se collocata nel suo naturale habitus, e quello a cui il legislatore del
d.lgs. 155/2006 sembra fare riferimento.
A ciò va aggiunta la circostanza che il decreto in esame «imprime una marcata
“societarizzazione”10 al regime giuridico dell’impresa sociale», rendendo sotto alcuni pro-
li quasi impossibile l’adattamento di molte delle regole denite nel decreto in esame
alla forma giuridica prescelta11.
5 In tal senso è innanzitutto F. C, L’impresa a nalità sociale, in Pol. dir., 2000, p. 641 s., il quale, già
prima dell’emanazione della legge delega, auspicava che il legislatore optasse per un regime di pluralismo
tipizzato, pregurando un sistema in cui concorressero più modelli organizzativi nell’ambito del genus im-
presa sociale. Auspicio confermato dallo stesso Autore in La legge delega sull’impresa sociale: riessioni critiche
tra passato (prossimo) e futuro (immediato), in Impresa sociale, 2, 2005, p. 63.
6 Sul punto v. V. B, op. cit., p. 847, il quale intravede nell’apertura agli enti disciplinati dal Libro V
il duplice intento di «patrimonializzare il mondo degli enti di promozione sociale» e «di dare il crisma della
legittimità dell’esercizio dell’attività d’impresa ad alcune gure per le quali si dubitava di tale possibilità».
7 Come è noto, difatti, l’art. 6 del decreto in esame, al comma 1, statuisce che nelle organizzazioni che
esercitano un’impresa sociale il cui patrimonio è superiore a ventimila euro, se iscritte nell’apposita sezione
del registro delle imprese, delle obbligazioni sociali risponde soltanto l’organizzazione con il suo patrimonio.
8 Come autorevolmente aermato in dottrina in sede di commento del disegno di legge governativo appro-
vato dalla Camera dei deputati il 20 novembre 2003 (G.C.M. R, Proli giuridici dell’impresa sociale,
in Giur. comm., 2004, I, p. 1164), la qualica di impresa sociale non sottrae l’ente dall’applicazione della sua
disciplina civilistica. In particolare, all’”imprenditore sociale” si applicherà innanzitutto la disciplina del tipo
prescelto e solo ulteriormente quella in tema d’impresa sociale.
9 In tal senso è anche R. C, op. cit., p. 863.
10 Così testualmente G. M, Sub art. 8, in AA. VV., Commentario al decreto sull’impresa sociale (D.lgs.
24 marzo 2006, n. 155), a cura di A. Fici e D. Galletti, Torino, 2007, p. 130.
11 Non a caso, in sede di commento della legge delega vi era stato chi auspicava che il legislatore delegato
escludesse dal novero dei soggetti idonei ad assumere la qualica di impresa sociale le associazioni non rico-
nosciute e le società di persone. Cfr. sul punto D. G, La legge delega sull’impresa sociale: brevi ries-

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