Alcune riflessioni sull'inutilizzabilità ex art. 729 C.P.P. Di atti e documenti acquisiti per rogatoria all'estero

AutoreFrancesco Nuzzo
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  1. - La ratifica dell'accordo italo-svizzero, firmato in Roma il 10 settembre 1998 per migliorare i rapporti di cooperazione e di assistenza giudiziaria tra i due Paesi, ha offerto al legislatore l'occasione di riscrivere varie disposizioni del codice di procedura penale sulle rogatorie internazionali, la cui disciplina è cristallizzata nella L. 5 ottobre 2001, n. 367, entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 2001Serie gen. n. 234.

    Vivaci discussioni accompagnarono l'iter di formazione della legge, e i primi commentatori hanno evidenziato che la novella palesa evidenti collegamenti tra la vicenda parlamentare e alcuni procedimenti ancora in corso, onde l'impressione che siano stati elevati a dignità normativa assunti prospettati in sede processuale come eccezioni difensive, disattese dai giudici 1. Il punto di maggiore frizione riguarda il combinato disposto degli artt. 696 e 729 c.p.p., modificati rispettivamente dagli artt. 9 e 13 della legge citata, che contempla l'inutilizzabilità degli atti compiuti all'estero per una serie di inosservanze formali circa le «modalità» delle rogatorie, con una scelta difforme da quella ordinaria del codice di procedura penale, all'interno del quale tale grave sanzione è prevista solo per le prove ammesse contra legem, vale a dire per gli atti probatori che violano diritti o garanzie fondamentali e, quindi, non possono essere posti a base della decisione 2.

    Come si vedrà nel prosieguo, la soluzione adottata appare anche in controtendenza rispetto agli orientamenti internazionali sulla cosiddetta assistenza giudiziaria minore (in confronto all'istituto dell'estradizione), caratterizzata dall'esigenza di assicurare maggiore fluidità ai rapporti tra gli Stati e di renderli meno permeabili a ragioni diverse da quelle di giustizia, attraverso la previsione di più moderne forme di collaborazione e l'eliminazione di ostacoli alla rapida ed efficace cooperazione, favorendo tra gli attori della collaborazione «un dialogo ravvicinato - al di fuori dei tradizionali canali ministeriali - ... precedente, contestuale e successivo alla esecuzione delle commissioni rogatorie internazionali» 3. Non è nemmeno superfluo notare che nell'area dell'Unione europea viene avvertita «la necessità e l'urgenza di instaurare meccanismi di cooperazione giudiziaria in materia penale basati su regole minime comuni e su una maggiore cooperazione degli Stati membri» 4, di fronte alla sfida di una criminalità sempre più agguerrita, che trascende ormai la sfera di sovranità dei singoli Stati: la collaborazione tra i Paesi è stata ripensata nella prospettiva di «uno spazio giuridico e giudiziario comune» 5, con delimitazione di nuovi confini per l'azione nel settore della giustizia e degli affari interni. Questo indirizzo, finalizzato a determinare il superamento della cooperazione di tipo «orizzontale» 6 e l'apertura dei sistemi penali nazionali e dei rapporti di cooperazione al «grande flusso dell'integrazione» 7, rivela l'inadeguatezza strutturale del vigente strumento rogatoriale, a causa della macchinosità del relativo procedimento e l'estrema lunghezza dei tempi di esecuzione 8. La dottrina, comunque, ha da tempo osservato che la rogatoria all'estero, in materia di prove, mostra un crescente logorio: «per quante valutazioni, di ammissibilità e di merito, si vogliano compiere sui dati ex post, essa, nella sua originaria impostazione, è piuttosto agli antipodi con l'esigenza della prova nel contraddittorio degli interessati» 9.

    A prescindere dalle esplicitate riserve, la L. n. 367/2001 appartiene, ormai, alla realtà dell'ordinamento italiano e occorrerà adoperarsi per favorirne, nei limiti del possibile, le interpretazioni più ragionevoli, fondate sul complessivo assetto delle norme internazionali e dei principi costituzionali 10.

  2. - Il tema degli atti rogatoriali inutilizzabili impone una preliminare analisi dell'art. 696 c.p.p. che, nella versione modificata, recita: «1. Le estradizioni, le rogatorie internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. 2. Se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme che seguono».

    Posta tra le disposizioni generali in materia di rapporti internazionali, la previsione non ha la funzione di fissare una gerarchia delle fonti 11, atteso che «i codici, essendo delle leggi, non possono "dettar" legge alle leggi, né, d'altro lato, "per" legge si può regolare il valore delle norme di origine convenzionale» 12, ma assume un «carattere ricognitivo ed eminentemente pedagogico» 13; esegue, cioè, una sorta di ricognizione delle regole che operano nell'ambito dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere, e afferma il principio che le norme codicistiche rilevano in via del tutto residuale (c.d. principio di sussidiarietà) 14. Queste ultime, infatti, sono destinate a occupare gli spazi lasciati liberi dalla normativa convenzionale, per cui hanno una valenza integrativa e suppletiva, anche se ciò non vuol dire che siano applicabili solo di rado, poiché non sono pochi i profili lasciati in ombra dai trattati, i quali spesso abbisognano, per l'attuazione concreta, di disposizioni di «collegamento» che le rendano operanti: tale compito è svolto appunto dal diritto interno, pur se devono essere individuati, con estremo rigore, «i limiti entro i quali l'applicazione del diritto interno costituisce una lecita integrazione dell'accordo applicabile e, quando, invece, si trasforma in una sorta di modifica unilaterale dei patti cui corrisponde una sostanziale violazione degli stessi» 15.

    Nessun particolare rilievo, tuttavia, assume la circostanza che il legislatore italiano abbia avvertito l'indispensabilità di modificare il quadro descrittivo dell'art. 696 c.p.c., per richiamare la Convenzione europea di assistenza giudiziariaPage 4 del 1959, ratificata con L. 23 febbraio 1961, n. 215, volta che tale normativa pattizia, sotto molti profili, appare superata da altri accordi bilaterali e multilaterali intesi sempre più a completare, semplificare e rendere più efficace l'operatività della stessa. Non è lontano dal vero chi afferma che trattasi di un'innovazione praticamente inutile, la quale nulla aggiunge all'originaria formulazione; la norma continua a presentare un contenuto aperto, e sembra indubbio, ad esempio, che in essa saranno ricomprese ipso iure le clausole delle due Convenzioni tra gli Stati membri dell'Unione europea in tema di estradizione, l'una firmata dall'Italia il 10 marzo 1995 a Bruxelles e l'altra, firmata il 27 novembre 1996, nonché quelle della Convenzione dell'Unione europea in tema di assistenza giudiziaria del 29 maggio 2000, quando saranno ratificate dall'Italia 16.

    Tanto premesso, diventa più agevole esaminare le diverse fattispecie dell'art. 729 c.p.p., tipizzate da un esteso e rigoroso presidio di inutilizzabilità, anche se l'interazione sistematica della presente con altre disposizioni, necessariamente correlate alla funzionalità del meccanismo legislativo, permette di contenere in limiti di ragione la latitudine dell'impianto sanzionatorio.

    Cominciamo con l'analisi del comma 1, il quale statuisce che «la violazione delle norme di cui all'art. 696, comma 1, riguardanti l'acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all'estero comporta l'inutilizzabilità dei documenti e dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi» 17. Precetto e sanzione sono di indiscutibile chiarezza, ma l'interprete non può non sottolineare subito che l'inutilizzabilità viene riferita a clausole del diritto internazionale le quali, «oltre che richiamate per genus e non per species, sono di natura contrattuale e formulate nella logica del do ut des» 18. Invano si invocherebbe, poi, il brocardo in claris non fit interpretatio, per sottrarsi a una indagine che, senza trascurare l'importanza del dato testuale, deve essere eseguita anche sulla base del «diritto vivente» in materia di cooperazione giudiziaria internazionale, dove la prassi, a tacer d'altro, costituisce un rilevante fattore di riferimento 19. Con un'ulteriore aggiunta: la normazione convenzionale, nella parte che qui interessa, è diretta a regolamentare impegni e rapporti reciproci tra gli Stati e a garantire le rispettive prerogative, piuttosto che a tutelare interessi individuali, come ritiene anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la circostanza che nell'ambito di una procedura rogatoriale, lo Stato richiesto di assistenza trasbordi, in ipotesi, dai limiti formali posti a propria garanzia in attuazione delle convenzioni internazionali, riguarda lo Stato richiedente solo sul piano dei rapporti interstatali e non può quindi, in mancanza di specifiche previsioni del suo ordinamento, far sorgere all'interno di esso diritti soggettivi in capo ai singoli 20.

    Orbene, il comma 1 dell'art. 729 commina la sanzione di inutilizzabilità, anzitutto, quando non siano osservate le norme pattizie circa l'«acquisizione» di documenti o di altri mezzi probatori, sicché appare quasi naturale evocare l'art. 3 della Convenzione europea del 1959 che, in ordine alle commissioni rogatoriali aventi a oggetto il compimento di atti istruttori o la trasmissione di corpi di reato, di fascicoli o di documenti, conferma il principio di diritto internazionale universalmente riconosciuto del locus regit actum 21, prevedendo che la parte richiesta farà eseguire la rogatoria «nelle forme previste dalla propria legislazione» (comma 1). Ridotte deroghe a quest'ultima...

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