Le riduzioni di capitale nelle società cooperative

AutoreEmanuele Cusa
Pagine367-388
Emanuele Cusa
Le riduzioni di capitale nelle società cooperative
S: 1. Premessa. – 2. Le funzioni del capitale sociale. – 3. L’eventuale riduzione reale del capitale in
caso di scioglimento del singolo rapporto sociale. – 4. Altri casi di riduzione reale del capitale. – 5. La
riduzione del capitale per perdite. – 5.1. La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. – 5.2.
L’azzeramento del capitale. – 5.3. Spese di costituzione della cooperativa e capitale.
1. Il tipo normativo ‘società cooperativa’ deve avere un capitale sociale variabile1,
ossia non nominale in ragione del fatto che il valore del capitale non può corrispondere
al contenuto di una clausola statutaria2.
La variabilità del capitale non nega nelle cooperative – diversamente dalle altre so-
cietà a capitale variabile ammesse nel nostro ordinamento (ossia dalle sicav)3 – l’autono-
mia concettuale ed operativa tra capitale sociale e patrimonio netto; alle prime, dunque,
diversamente dalle seconde, si applica la disciplina delle variazioni del capitale sociale
valevole per le società di capitali, in quanto compatibile (art. 2519 c.c.). La variabilità
(nel senso di non nominatività) del capitale impedisce però che i relativi aumenti o ri-
duzioni costituiscano una modicazione dell’atto costitutivo.
La variabilità del capitale, se nata per facilitare il perseguimento dello scopo mutua-
listico attraverso la porta aperta4, si è liberata dal suo substrato funzionale; pertanto, come
è variabile il capitale di cooperazione (ossia quello sottoscritto dai cooperatori, rappresen-
tato da partecipazioni di cooperazione), così è variabile il capitale di nanziamento (ossia
quello sottoscritto dai soci nanziatori, rappresentato da azioni di nanziamento)5; ma,
allora, la riduzione del capitale tanto di cooperazione quanto di nanziamento non costi-
tuisce normalmente una modicazione statutaria.
Da questo specico dato strutturale deriva che, in linea di principio e salvo le ecce-
zioni tra poco illustrate, la riduzione del capitale sociale, al pari del suo aumento, non
deve essere di competenza dell’assemblea (straordinaria, se la cooperativa è disciplinata
dalle disposizioni sulla s.p.a., d’ora innanzi coop-s.p.a.) dei soci chiamata a modicare
l’atto costitutivo o dell’organo gestorio a ciò delegato. Come osserverò nel prosieguo,
non è detto nemmeno che la riduzione del capitale sociale, al pari del suo aumento,
debbano comunque essere decisi dai soci, potendo entrambe queste decisioni essere pre-
se dagli amministratori delle cooperative in determinate ipotesi.
1 Sul punto cfr., da ultimo, G. B, La nuova società cooperativa, Bologna, 2010, 90 ss.
2 Con la stessa accezione l’aggettivo ‘nominale’ è utilizzato da P. S, Diritto commerciale2, II, Padova, 2009, 210.
3 Secondo infatti l’art. 45 T.U.F. le sicav hanno azioni senza un valore nominale o contabile e un capitale
«sempre uguale al patrimonio netto», le cui variazioni non sono disciplinate dagli artt. 2438-2447 c.c. In
argomento rinvio a R. C, Il mercato mobiliare6, Torino, 2010, 214 s.
4 Così, tra gli altri, G. B, Delle imprese cooperative, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca,
Bologna-Roma 1999, 376 ss.
5 Di questa opinione è E. C, Partecipazioni e capitale nelle società cooperative, in Studi per Franco Di Sa-
bato, t. III, Napoli, 2009, 355 ss., ove rimando per la dottrina in argomento, anche di segno opposto.
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La decisione di ridurre il capitale sociale non deve normalmente essere verbalizzata
dal notaio, non solo perché la stessa non comporta una modicazione dell’atto costitu-
tivo, ma anche perché, diversamente da altri casi (come quello disciplinato dall’art.
2410, comma 2, c.c.), non è stata espressamente imposta tale forma di verbalizzazione.
La regola della riduzione del capitale sociale senza modicazione dell’atto costituti-
vo subisce però due eccezioni. La prima si ha quando un’apposita clausola statutaria6
preveda un capitale sociale minimo e la successiva riduzione del capitale per perdite de-
cisa dai soci porti il valore del capitale al di sotto di detta soglia; come preciserò più
avanti, infatti, questa riduzione deve essere accompagnata dalla modicazione della pre-
detta clausola statutaria in modo che la stessa indichi dopo tale modica un valore non
superiore al valore contabile del capitale sociale. La seconda si ha invece quando la coo-
perativa con partecipazioni rappresentate da azioni, dando attuazione alla decisione di
ridurre il capitale sociale, sia costretta a ridurre il valore nominale unitario delle relative
partecipazioni.
2. Prima di ragionare sulla disciplina applicabile alle cooperative in caso di riduzio-
ne del loro capitale sociale, occorre soermarsi brevemente sulle diverse funzioni attri-
buibili al capitale delle cooperative7 e, in particolare, accertare se la presenza di un capi-
tale in queste società sia imposta anche a tutela dei terzi8.
Solo rispondendo positivamente a quest’ultima domanda è possibile sostenere l’appli-
cazione (anche solo parziale) alle cooperative di una serie di regole delle società di capitali
a salvaguardia del loro capitale, poiché dette regole sono state concepite con il principale
scopo di salvaguardare gli interessi dei terzi (e dei creditori sociali in particolare).
Il capitale sociale delle cooperative assolve una funzione organizzativa nell’interesse
dei soci; funzione organizzativa che è certamente più attenuata di quella presente nelle
società lucrative (in ragione, ad esempio, del voto capitario)9, ma che è in costante cre-
scita (si pensi ai nuovi diritti corporativi esercitabili da soci aventi una partecipazione
rappresentativa di una certa quota del capitale sociale, ai sensi degli artt. 2526, 2543,
comma 2, e 2545-quinquiesdecies, comma 1, c.c.). Non si dimentichi poi che nelle coo-
perative il capitale sociale non solo costituisce il parametro di misurazione di certi dirit-
ti patrimoniali (primo, fra tutti, quello al dividendo), ma concorre anche a determinare
(con le altre componenti del patrimonio netto), se la cooperativa abbia conseguito un
utile o una perdita di esercizio.
Il capitale sociale delle cooperative assolve altresì una funzione vincolistica nell’in-
teresse dei creditori sociali10, anch’essa in costante crescita, specialmente in ragione dei
6 Considerata legittima da E. C (nt. 5), 358.
7 Esaminate, ad esempio, da V. B, Diritto della cooperazione, Bologna, 1997, 292 ss.
8 Sulla possibilità de iure condendo di non imporre più un capitale sociale alle società con personalità giuridica
al ne di migliorarne l’ecienza e la competitività cfr., rispetto alle cooperative, E. C (nt. 5), 359, nt. 65,
e, più in generale, G.B. P, Rileggendo la ristampa di un libro sul capitale sociale e la responsabilità interna
nelle società di persone: il capitale oggi, in Riv. dir. impr., 2010, 201 ss., ove ulteriori citazioni.
9 Dello stesso avviso è M.S. S, Capitale sociale, in Enc. dir., Aggiorn., IV, Milano, 2000, 216.
10 Conformemente M.S. S (nt. 9), 216. Che la disciplina del capitale delle cooperative risponda
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tentativi legislativi volti a migliorare la struttura nanziaria di questi imprenditori. Fun-
zione vincolistica che è tecnicamente garantita attraverso due doveri: quello – certamen-
te valevole per le cooperative ai sensi del comb. disp. degli artt. 2424 e 2519 c.c. – di
appostare al passivo dello stato patrimoniale una voce ideale pari alla somma dei valori
imputati a capitale dei conferimenti eseguiti (in tutto o in parte); quello di sottoporre ad
eterovalutazione da parte di revisori legali le entità (diverse dal denaro e, in via eventua-
le, da quelle di cui all’art. 2343-ter c.c.) oggetto di conferimento11.
Questa funzione vincolistica è attenuata dal necessario carattere variabile del capi-
tale sociale e, soprattutto, dall’assenza di un suo importo minimo imposto ex lege, come
invece si prevede per le altre società con personalità giuridica. Tuttavia, se la variabilità
del capitale non comporta necessariamente una minor tutela dei creditori sociali (o,
detto diversamente, la variabilità del capitale non è incompatibile con la sua funzione
vincolistica), la mancata previsione legale di un valore minimo del capitale può realmen-
te pregiudicare le ragioni dei creditori sociali. Il che è confermato esaminando la disci-
plina speciale delle società esercenti determinate imprese alle quali si richiedono elevati
livelli di solvibilità: tali imprese (come, ad esempio, quelle bancarie) possono essere eser-
citate anche da cooperative (ossia da società con capitale necessariamente variabile), a
patto che il loro capitale sociale sia almeno pari a quello minimo legale12.
Se la disciplina del capitale delle cooperative, in ragione della sua essibilità, riduce
(ma non elimina) la funzione vincolistica del capitale sociale, la disciplina delle riserve
delle cooperative, certamente più stringente di quella prevista per le società di capitali,
compensa l’evidenziata riduzione: da un canto, almeno il trenta per cento degli utili
netti annuali deve essere allocato sempre a riserva legale (art. 2545-quater, comma 1,
c.c.); dall’altro, vi sono (nelle cooperative a mutualità prevalente) o vi possono essere
(nelle altre cooperative, se previste in un’apposita clausola statutaria) le riserve indivisi-
bili, le quali orono ai terzi creditori una tutela paragonabile (anzi superiore13) a quella
oerta dal capitale sociale, non potendo mai dette riserve essere ripartite tra i soci (nem-
meno in caso di scioglimento, diversamente dalla riserva legale) e costituendo le stesse
l’ultimo baluardo del capitale in caso di perdite sociali (art. 2545-ter c.c.)14.
all’esigenza di tutelare i creditori sociali è sostenuto anche dalla giurisprudenza, da ultimo rappresentata da
Trib. Cagliari, 20 luglio 2006, in Riv. giur. sarda, 2007, 187, con nota di C. I, Società cooperative, opera-
zioni sul capitale e iscrizione nel registro delle imprese.
11 Rammento che la formazione ttizia del capitale sociale, anche delle cooperative, costituisce un reato ai
sensi dell’art. 2632 c.c.; su questo delitto cfr., per tutti, G. M, La tutela penale del capitale sociale
nelle società per azioni, Firenze, 2007, 137-150.
12 L’esempio più signicativo è costituito dalle banche popolari, alle quali la Banca d’Italia [con circ. n. 229
del 21 aprile 1999 (d’ora innanzi Istruzioni di Vigilanza per le banche), Tit., Cap. 1, Sez. II] impone lo stes-
so capitale sociale minimo previsto per le s.p.a. esercenti l’attività bancaria (ossia 6,3 milioni di euro).
13 In eetti, il valore corrispondente al capitale sociale può essere quasi tutto distribuito ai soci attraverso
una riduzione facoltativa del capitale, sempre che il tribunale non accolga l’eventuale opposizione dei credi-
tori; di contro, ai sensi dell’art. 2545-ter c.c., il valore corrispondente alle riserve indivisibili è assolutamen-
te indisponibile per i soci, quand’anche vi fosse il consenso dei creditori sociali.
14 Sul punto cfr., da ultimo, G. P, sub art. 2545-ter c.c., in Codice civile Commentato2 a cura di G.
A e V. M, Assago, 2009, 2785 ss., il quale ricorda che la riserva, una volta che sia indivisibile
ex art. 2545-ter c.c., diventa intangibile (nel senso che il relativo vincolo è permanente, ineliminabile, irre-
versibile; sicché eventuali modiche volte a limitare o ad eliminare il carattere indivisibile della riserva non

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