La Corte costituzionale ridisegna I confini della procreazione medicalmente assistita lecita

AutoreFrancesca Re
Pagine948-950

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  1. – Con la sentenza in epigrafe la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 2 e 3 dell’art. 14 della legge 19 febbraio 2004 n. 40, che detta norme in materia di procreazione medicalmente assistita, e più precisamente ha espunto dal testo normativo il limite di produzione dei tre embrioni nonché l’obbligo di impiantarli contestualmente nel corpo della donna, esigendo che il trasferimento avvenga senza pregiudizio per la sua salute.

    Secondo le ordinanze di remissione, la disciplina di cui ai commi 2 e 3, art. 14 della suddetta legge, nei quali si impone legislativamente il limite massimo di produzione embrionaria, obbligando la donna a sottoporsi all’impianto contestuale di tutti gli embrioni prodotti, contrastava con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 13 e 32, proprio in quanto i trattamenti invasivi a cui la donna è ripetutamente condannata, oltre a ledere il suo diritto alla salute ne compromettono la sua dignità sociale e la libertà di autodeterminarsi, prevedendo nello stesso momento, una uniformità di trattamento per situazioni tra loro dissimili1.

    Nello specifico, cominciamo ad analizzare le ragioni che hanno fondato la sentenza che si annota, con particolare riferimento ai commi 2 e 3 dell’art. 14, i quali hanno subito sostanziali modifiche, tali da ripercuotersi profondamente sull’intero impianto normativo della legge 40/2004.

  2. – Il comma 2 dell’art. 14, nel suo complesso, prevedeva che le tecniche di produzione degli embrioni non dovessero creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre, imponendo dunque un preciso protocollo medico-sanitario e uniformando il limite di produzione embrionaria senza prendere in considerazione le esigenze specifice di ogni caso clinico. La Consulta ha provveduto a dichiarare incostituzionali le parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre», in quanto contrari ai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost.

    a) Con riferimento all’art. 2 Cost., si è preso atto che la reiterata sottoposizione della donna a trattamenti invasivi e superflui rispetto alle altre possibilità che la scienza offre, reca senza dubbio un vulnus alla dignità umana. La disposizione del comma 2 obbligava, infatti, la donna all’impianto contestuale dei tre embrioni prodotti, andando a compromettere soprattutto la dignità di chi, già destinato alle sofferenze intrinsecamente connesse alle tecniche procreative, si trova costretto a sottoporsi a trattamenti fortemente invasivi, evitabili tramite il ricorso ad un più laico e razionale bilanciamento dei beni in gioco. L’eliminazione del limite dei tre embrioni dunque, nonostante da un punto di vista lessicale non demolisca l’intera normativa, comporta un importante cambiamento, in quanto ripristina una tutela per la donna non solo da un punto di vista medico-sanitario, bensì anche in relazione alla sua dignità umana.

    b) L’art. 3 della Costituzione viene chiamato in causa sia sotto il profilo della ragionevolezza sia sotto quello dell’uguaglianza.

    L’irragionevolezza della disciplina di cui al comma 2, art. 14, emerge dal fatto che da un lato la legge 40 si dichiara ispirata allo scopo di risolvere i problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità, e dall’altro impone il limite numerico di tre...

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