N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 7 ottobre 2011

Ricorso per conflitto tra enti n. 11 depositato il 7 ottobre 2011 per conflitto di attribuzione tra lo Stato e le Regioni ai sensi dell'art. 134, comma 2, Cost., dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953, e dell'art. 25 delle Norme integrative per i giudizi di fronte alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008 promosso dalla Regione Campania in persona del legale rappresentate pro tempore, on. Stefano Caldoro, Presidente della Giunta Regionale, rappresentata e difesa, giusta mandato a margine al presente ricorso e delibera di incarico dagli Avv.ti Maria d'Elia, Almerina Bove, dell'Avvocatura Regionale, nonche' dagli Avv.ti Prof. Beniamino Caravita di Toritto e Gaetano Paolino, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Poli, 29, presso gli uffici di rappresentanza della Regione contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore affinche' dichiari che non spetta allo Stato, e per esso, ai suoi organi giurisdizionali, la facolta' di annullare il D.P.G.R.C. n. 136 del 2010 con il quale, preso atto delle dimissioni irrevocabili di un assessore, e' stato nominato altro assessore.

Fatto 1. Con ricorso proposto dinanzi al Tar Campania, l'Avv. Annarita Petrone ha impugnato i decreti presidenziali di nomina dei componenti della Giunta regionale campana. La ricorrente ha lamentato la violazione del principio della equilibrata presenza di uomini e donne nella formazione degli organi e degli uffici regionali (di cui agli artt. 1, 5, 22, 35, 46 e 47 dello Statuto), in ragione della presenza di una sola componente di sesso femminile nell'attuale composizione dell'organo esecutivo della Regione.

In assenza di qualsiasi indicazione numerica nello Statuto che permetta di considerare perseguito l'obiettivo del riequilibrio di genere in seno agli organi di governo regionali, parte ricorrente ha affermato che in ogni caso, anche nella denegata ipotesi in cui fosse impossibile dare attuazione al principio in questione, le ragioni di una simile condizione avrebbero dovuto essere esplicitate nei provvedimenti presidenziali di nomina della Giunta.

Nel decidere il giudizio, il Tar, con sentenza n. 1985 del 2011, ha accolto il ricorso, annullando il decreto presidenziale n. 136 del 16 luglio 2010, con cui, nelle more della definizione del primo grado di giudizio, il Presidente della Giunta aveva sostituito l'assessore dimissionario dott. Ernesto Sica con altro assessore di sesso maschile, nella persona del dott. Vito Amendolara.

Nel merito, il Collegio ha affermato che gli atti di nomina dei componenti l'organo esecutivo regionale, seppur costituenti il risultato di una scelta caratterizzata da un elevato tasso di discrezionalita', non hanno natura di atto politico, bensi' di atto amministrativo, soggetti al rispetto dei parametri di legittimita' procedimentale e sostanziale che delimitano il potere presidenziale, e come tali suscettibili di sindacato in sede giurisdizionale.

Con riguardo all'art. 51 della Costituzione, richiamandosi alle precedenti sentenze della stessa sezione (Tar Campania Napoli, sez.

I, sentt. n. 12668/2010 e n. 1427/2011), il Tar Campania ne ha affermato la natura di 'parametro di legittimita' sostanziale di attivita' amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite conformativo'. Lo stesso giudice di prime cure, tuttavia, ricorda come la natura della norma costituzionale in oggetto sia tuttora dibattuta in giurisprudenza e foriera di orientamenti contrastanti (richiamandosi, in senso opposto a quello fatto proprio dalla gravata sentenza, TAR Milano, n. 354/2011 e TAR Lecce, n.

622/2010).

Nella vicenda concreta, dirimente sarebbe comunque la previsione contenuta nell'art. 46, comma 3, dello statuto campano, per cui 'il Presidente della Giunta regionale (...) nomina, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini, i componenti della Giunta'. Detta disposizione, collocandosi in un quadro di disposizioni tese a riconoscere e promuovere l'uguaglianza tra i sessi (artt. 4 e 5 dello Statuto campano), si sostanzierebbe 'in una azione positiva di riequilibrio in ambito politico delle presenze dei due sessi con riferimento (...) alla giunta regionale', delineando un precetto immediato e diretto sulla composizione dell'organo esecutivo della Regione.

Ad avviso del giudice di primo grado, l'obiettivo dell'equilibrata presenza dei sessi in seno all'organo esecutivo si assicurerebbe, in concreto, attraverso un giudizio di ragionevolezza ed adeguatezza teso a scongiurare la realizzazione di eccessi in un senso o nell'altro. Tuttavia lo stesso TAR riconosce che la sussistenza di un vincolo siffatto, derivante dall'art. 46, comma 3, dello Statuto, non escluderebbe l'ipotesi in cui non possa garantirsi un'equilibrata presenza in seno all'organo esecutivo in virtu' di ragioni oggettive. Ragioni che, qualora ricorressero, dovrebbero essere esplicitate nella motivazione dei provvedimenti presidenziali di nomina.

Alla luce delle argomentazioni richiamate, il giudice di primo grado ha ritenuto di accogliere il ricorso 'nei limiti dell'interesse della ricorrente', annullando il D.P.G.R.C. n. 136 del 16 luglio 2010, ultimo decreto presidenziale in ordine di tempo, con il quale si e' provveduto a sostituire l'assessore dimissionario dott. Ernesto Sica con altro assessore di sesso maschile (dott. Vito Amendolara), perpetuando il disequilibrio tra i sessi esistente nella Giunta regionale.

  1. La sentenza del Tar e' stata impugnata dalla Regione Campania e il Consiglio di Stato con la sent. n. 4502 del 2011 ha respinto l'appello in questione confermando la decisione del giudice di primo grado.

    Per quanto concerne la natura dell'atto di nomina degli assessori della Giunta, la decisione ha negato che esso possa ritenersi sottratto al controllo giurisdizionale in quanto avente natura di atto politico. Rifacendosi al dibattito che origina dalla prima meta' del XIX secolo, la pronuncia in commento tenta di enucleare i' tratti essenziali che caratterizzano gli atti politici (al fine delimitare la portata delle norme che ne escludono la sindacabilita' da parte del giudice amministrativo), in relazione agli atti amministrativi e agli atti di alta amministrazione.

    Il Consiglio di Stato sembra qui aderire a quell'orientamento in forza del quale e' possibile affermare la natura politica di un atto in presenza di un elemento oggettivo, consistente nella natura generale degli interessi perseguiti e nella liberta' nel fine dell'organo politico, e di un elemento soggettivo, caratterizzato dalla provenienza dell'atto da un organo costituzionale o di governo.

    Soggiunge tuttavia la sentenza n. 4502: 'Ma il vero argumentum principis a sostegno della insindacabilita' sembra essere la mancanza di parametri giuridici alla stregua dei quali poter verificare gli atti politici. Le uniche limitazioni cui l'atto politico soggiace sono costituite dall'Osservanza dei precetti costituzionali, la cui violazione puo' giustificare un sindacato della Corte costituzionale di legittimita' sulle leggi e gli atti aventi forza di legge o in sede di conflitto di attribuzione su qualsivoglia atto lesivo di competenze costituzionalmente garantite'.

    Il Consiglio di Stato prosegue poi definendo l'attivita' di alta amministrazione come 'l'attivita' amministrativa immediatamente esecutiva dell'indirizzo politico (...) anello di congiunzione tra la fase della programmazione politica e l'attivita' di gestione amministrativa'. Precisa che l'atto di alta amministrazione, 'di regola adottato dall'organo politico in un clima di 'fiduciarieta'', costituisce il primo momento attuativo, anche se per linee generali, dell'indirizzo politico a livello amministrativo'. A differenza dell'atto politico, esso esprime una potestas vincolata nel fine e soggetta al principio di legalita'. Poiche' gli atti di alta amministrazione costituiscono una species del piu' ampio genus degli atti amministrativi, soggiacciono pertanto al relativo regime giuridico, ivi compreso il sindacato giurisdizionale, sia pure con talune peculiarita' connesse alla natura spiccatamente discrezionale degli stessi.

    La sentenza, inoltre, evidenzia come la giurisprudenza abbia tentato di restringere la categoria dell'atto politico (Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209), conferendo, al contempo, i caratteri dell'alta amministrazione agli atti ove non vengono in rilevo supremi ed unitari compiti statali, bensi' interessi puntuali e contingenti. Ricorda inoltre che, tipicamente, 'gli atti politici costituiscono espressione della liberta' (politica) commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2001, n. 340) e sono liberi nella scelta dei fini'; gli atti amministrativi invece 'anche quando sono espressione di ampia discrezionalita', sono comunque legati ai fini posti dalla legge (cfr. Cass., S. U., 13 novembre 2000, n. 170)' (in realta' n. 1170). Sulla base di queste premesse afferma conclusivamente che 'non puo' certo riconoscersi natura di atto politico alla nomina degli assessori, a maggior ragione dove lo Statuto ponga un vincolo, che ne costituisce parametro di legittimita', con riguardo al rispetto dell'equilibrata composizione dei due sessi'.

    Prosegue inoltre il Supremo consesso ricordando come 'pur nell'ambito di una pluralita' di ordinamenti giuridici integrati, ma autonomi, e' stato ribadito che il principio della tutela giurisdizionale contro gli atti dell'Amministrazione pubblica (art.

    113 Cost.) ha portata generale e coinvolge, in linea di principio, tutte le Amministrazioni anche di rango elevato e di rilievo costituzionale' e inoltre che 'L'atto di nomina di un assessore regionale, da un lato, non e' libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del Presidente della Regione nell'amministrazione della Regione stessa, e dall'altro...

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